il diritto penale internazionale, nella sua portata giuridico-normativa, è peculiare per la sua tendenza “creativa”. Vale a dire: mentre il diritto penale interno è volto prevalentemente a procedimentalizzare, razionalizzare e limitare un fenomeno socio-politico spontaneo e preesistente – la reazione pubblica alla devianza –, quello internazionale cerca di istituire una risposta punitiva a crimini internazionali che storicamente non si può dare per presupposta, e di cui tuttavia fortemente si avverte la necessità, ove si abbia come scopo finale l’utopia della “pace perpetua” che non può prescindere da una adeguata prevenzione mediante una stabile e comprovata minaccia di pena. Questa dinamica inversa fa sì che, mentre le elaborazioni teoriche e i principi costituzionali del diritto penale nazionale tendono naturalmente al garantismo, dovendo smussare e indirizzare un potere punitivo che le precede e che per una sua forza intrinseca piegherebbe in senso repressivo, le istanze che alimentano il diritto penale internazionale spingono, invece, in termini estensivi, dovendosi colmare gravi lacune di tutela, rispetto a crimini di macroscopica gravità, che offendono un minimo senso etico condiviso e, dunque, sollecitano un istinto collettivo di carattere retributivo. La risposta istituzionale immediatamente avvertita come necessaria e “adeguata”, in tale campo, è proprio quella penale, anche perché è la risposta sino a non molto tempo fa quasi del tutto carente, e ancora oggi in larga misura precaria e incompleta (se non altro per la mancanza di un potere esecutivo internazionale, strumentale a quello giudiziario). Tenendo a mente queste logiche di fondo si può interpretare l’evoluzione della trattazione dei crimini internazionali prima da parte di giudici nazionali, quindi di fronte a Tribunali Internazionali ad hoc, infine da parte di una Corte Penale Internazionale permanente e munita di una giurisdizione tendenzialmente universale. Un’evoluzione che esprime una direzione, ma che non deve intendersi in senso rigorosamente diacronico, come una successione di modelli, perché il livello nazionale continua tutt’ora a convivere con i diversi livelli internazionali, determinando una stratificazione di competenze già di per sé non poco problematica.

Recensione a Wenin R., Fornasari G., Fronza E. (a cura di), La persecuzione dei crimini internazionali. Una riflessione sui diversi meccanismi di risposta – die Verfolgung der internationalen Verbrechen. Eine Überlegung über die verschiedene Reaktionsmechanismen, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, pp. 236 / Antonio Vallini. - In: RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE. - ISSN 0557-1391. - STAMPA. - (2016), pp. 1125-1126.

Recensione a Wenin R., Fornasari G., Fronza E. (a cura di), La persecuzione dei crimini internazionali. Una riflessione sui diversi meccanismi di risposta – die Verfolgung der internationalen Verbrechen. Eine Überlegung über die verschiedene Reaktionsmechanismen, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, pp. 236

VALLINI, ANTONIO
2016

Abstract

il diritto penale internazionale, nella sua portata giuridico-normativa, è peculiare per la sua tendenza “creativa”. Vale a dire: mentre il diritto penale interno è volto prevalentemente a procedimentalizzare, razionalizzare e limitare un fenomeno socio-politico spontaneo e preesistente – la reazione pubblica alla devianza –, quello internazionale cerca di istituire una risposta punitiva a crimini internazionali che storicamente non si può dare per presupposta, e di cui tuttavia fortemente si avverte la necessità, ove si abbia come scopo finale l’utopia della “pace perpetua” che non può prescindere da una adeguata prevenzione mediante una stabile e comprovata minaccia di pena. Questa dinamica inversa fa sì che, mentre le elaborazioni teoriche e i principi costituzionali del diritto penale nazionale tendono naturalmente al garantismo, dovendo smussare e indirizzare un potere punitivo che le precede e che per una sua forza intrinseca piegherebbe in senso repressivo, le istanze che alimentano il diritto penale internazionale spingono, invece, in termini estensivi, dovendosi colmare gravi lacune di tutela, rispetto a crimini di macroscopica gravità, che offendono un minimo senso etico condiviso e, dunque, sollecitano un istinto collettivo di carattere retributivo. La risposta istituzionale immediatamente avvertita come necessaria e “adeguata”, in tale campo, è proprio quella penale, anche perché è la risposta sino a non molto tempo fa quasi del tutto carente, e ancora oggi in larga misura precaria e incompleta (se non altro per la mancanza di un potere esecutivo internazionale, strumentale a quello giudiziario). Tenendo a mente queste logiche di fondo si può interpretare l’evoluzione della trattazione dei crimini internazionali prima da parte di giudici nazionali, quindi di fronte a Tribunali Internazionali ad hoc, infine da parte di una Corte Penale Internazionale permanente e munita di una giurisdizione tendenzialmente universale. Un’evoluzione che esprime una direzione, ma che non deve intendersi in senso rigorosamente diacronico, come una successione di modelli, perché il livello nazionale continua tutt’ora a convivere con i diversi livelli internazionali, determinando una stratificazione di competenze già di per sé non poco problematica.
2016
Antonio Vallini
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