Il presente contributo propone alcune riflessioni circa l’adeguatezza delle modalità attuative dell’art. 47 della Costituzione, con particolare riferimento alle politiche destinate a tutelare e favorire il risparmio popolare impiegato in prodotti finanziari emessi dal sistema bancario. Il default di quattro banche popolari (Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca Etruria, Banca Marche e Cassa di Risparmio di Chieti), avvenuto a novembre del 2015, ha posto al centro del dibattito i temi della fiducia dei risparmiatori nei confronti del sistema bancario italiano e della tutela, nel senso indicato dall’Art. 47 della Costituzione, del risparmio impiegato in prodotti finanziari emessi dalle banche italiane. Si è trattato di un fenomeno limitato (il fallimento di quattro piccole banche locali), ma non può purtroppo escludersi che esso possa assumere nel futuro, più o meno prossimo, dimensioni maggiori, anche di ordine “sistemico”. L’attuale stato di salute del sistema bancario italiano non è buono. L’incidenza del credito non performing sul totale degli impieghi del sistema continua a mantenersi a livelli elevati: al 31 marzo 2016 il credito deteriorato complessivo lordo (sofferenze, inadempienze probabili e finanziamenti scaduti/sconfinati) ammontava a 333,2 miliardi di euro, pari al 18,3% degli impieghi totali (percentuale quasi tripla rispetto al 2008), di cui 196 miliardi erano rappresentati da sofferenze (10,8% degli impieghi; più del triplo rispetto al 2008). Dal 2015 si sta progressivamente riducendo l’entità dei nuovi flussi di credito deteriorato: il che non significa che la qualità del credito bancario stia migliorando; più precisamente tale qualità sta peggiorando a ritmi meno elevati rispetto al passato. La situazione appare particolarmente delicata per le banche più piccole, che mostrano un “grado di copertura” del credito deteriorato più basso rispetto alla media del sistema. A fine 2015 le 32 banche appartenenti ai primi 5 gruppi bancari italiani (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banca Monte dei Paschi di Siena, UBI Banca, Banco Popolare) avevano effettuato svalutazioni complessive dei crediti deteriorati mediamente pari al 46% (59% per le sole sofferenze), mentre “il resto del sistema bancario” (banche di credito cooperativo, altre banche popolari, ecc.) aveva in media svalutato tali crediti per circa il 40% (53% se guardiamo alle sole sofferenze). Se “il resto del sistema” adeguasse il proprio “grado di copertura” a quello dei primi 5 gruppi bancari dovrebbe imputare a conto economico circa 45 miliardi di Euro di ulteriori rettifiche su crediti. I mercati sembrano percepire questi sintomi di vulnerabilità: nella prima metà del 2016 i titoli bancari quotati alla Borsa Italiana hanno perduto circa 50 miliardi di capitalizzazione. Il crollo dei titoli bancari avvenuto nel 2011 e nel 2012 fu motivato dalla crisi finanziaria globale ed amplificato dal “rischio-Italia”. Oggi il rischio sovrano è superato o quanto meno fortemente ridimensionato. È dunque verosimile che tra le cause di questo recente calo dei titoli azionari bancari vi siano proprio l’elevato peso del credito deteriorato e le perdite latenti (ovvero non ancora emerse contabilmente), che il mercato collega all’esistenza di una non adeguata “svalutazione” di tale credito. Le nuove norme europee sul “bail in”, previste dalla Bank Recovery and Resolution Directive, in vigore dall’inizio di quest’anno, prevedono il coinvolgimento, in caso di default di una banca, insieme agli azionisti ed agli obbligazionisti subordinati, anche degli obbligazionisti ordinari. La platea dei risparmiatori potenzialmente coinvolti si è dunque ampliata notevolmente: se infatti le obbligazioni subordinate sono oggi poco diffuse tra i risparmiatori italiani (rappresentano appena il 4% della raccolta bancaria totale), quelle ordinarie hanno un grado di diffusione pari a quello dei titoli di stato (e rappresentano circa il 25% della raccolta bancaria). Un possibile scenario di breve e medio termine è dunque quello che vede il ripetersi su scala più ampia di fenomeni di crisi e fallimento di istituti bancari italiani, con coinvolgimento diretto, generato dalla normativa sul “bail in”, anche dei detentori delle obbligazioni ordinarie; e con conseguente rilevante estensione della platea dei risparmiatori coinvolti. In questo contesto è naturale domandarsi se la tutela del risparmio impiegato in obbligazioni bancarie è oggi adeguata nel senso richiesto dall’Art. 47 della Costituzione. Il fallimento delle 4 banche popolari avvenuto a fine del 2016 ha messo in discussione la fiducia dei risparmiatori italiani nei confronti delle piccole banche locali ed ha indotto molti di essi a spostare i propri risparmi verso banche di dimensioni maggiori, ritenute più solide e quindi più sicure. Tuttavia l’impressione è che si sia trattato di comportamenti generati da reazioni emotive del momento, più che da effettiva consapevolezza dei rischi finanziari che si stavano correndo e delle soluzioni possibili per limitarli. Queste vicende finanziarie ed i comportamenti dei risparmiatori che ad esse hanno fatto seguito hanno dunque paradossalmente fatto emergere l’inadeguato grado di consapevolezza dei detentori di obbligazioni bancarie circa i rischi che stavano correndo, evidenziando l’esistenza di un inadeguato grado di tutela del risparmio nel senso richiesto dall’Art. 47 della Costituzione. Nel nostro paese Banca d’Italia e Consob hanno tra i loro compiti quello della tutela dei risparmiatori, ma per nessuna delle due istituzioni tale tutela rappresenta l’unico, specifico obiettivo. Banca d’Italia ha come missione principale la “stabilità del sistema bancario”. Consob ha come obiettivi principali la «tutela degli investitori» e la tutela della «stabilità e del buon funzionamento del sistema finanziario», due mandati che hanno mostrato di non essere perfettamente compatibili tra loro, con il secondo che ha spesso finito per prevalere sul primo. L’istituzione di una authority specificamente preposta alla protezione ed alla tutela del risparmiatore potrebbe fornire una contributo fondamentale alla riduzione del gap di tutela sopra citato . Con la missione specifica ed unica di proteggere e tutelare il risparmio l’azione di tale authority sarebbe certamente più efficace e, soprattutto, sarebbe più immediata e chiara la sua responsabilità politica, impedendo lo scaricabarile tra istituzioni cui si assiste quando le funzioni sono condivise o sovrapposte. La creazione di una authority italiana con la missione specifica di tutelare il risparmio popolare, oltre a rappresentare una via naturale per realizzare il dettato costituzionale, potrebbe altresì contribuire in modo decisivo a ripristinare e mantenere la fiducia dei risparmiatori italiani nel sistema bancario ed in quello finanziario in generale.

Vulnerabilità del sistema bancario nazionale e tutela del risparmio / Francesco, Ciampi. - STAMPA. - (2017), pp. 54-66.

Vulnerabilità del sistema bancario nazionale e tutela del risparmio

Francesco Ciampi
2017

Abstract

Il presente contributo propone alcune riflessioni circa l’adeguatezza delle modalità attuative dell’art. 47 della Costituzione, con particolare riferimento alle politiche destinate a tutelare e favorire il risparmio popolare impiegato in prodotti finanziari emessi dal sistema bancario. Il default di quattro banche popolari (Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca Etruria, Banca Marche e Cassa di Risparmio di Chieti), avvenuto a novembre del 2015, ha posto al centro del dibattito i temi della fiducia dei risparmiatori nei confronti del sistema bancario italiano e della tutela, nel senso indicato dall’Art. 47 della Costituzione, del risparmio impiegato in prodotti finanziari emessi dalle banche italiane. Si è trattato di un fenomeno limitato (il fallimento di quattro piccole banche locali), ma non può purtroppo escludersi che esso possa assumere nel futuro, più o meno prossimo, dimensioni maggiori, anche di ordine “sistemico”. L’attuale stato di salute del sistema bancario italiano non è buono. L’incidenza del credito non performing sul totale degli impieghi del sistema continua a mantenersi a livelli elevati: al 31 marzo 2016 il credito deteriorato complessivo lordo (sofferenze, inadempienze probabili e finanziamenti scaduti/sconfinati) ammontava a 333,2 miliardi di euro, pari al 18,3% degli impieghi totali (percentuale quasi tripla rispetto al 2008), di cui 196 miliardi erano rappresentati da sofferenze (10,8% degli impieghi; più del triplo rispetto al 2008). Dal 2015 si sta progressivamente riducendo l’entità dei nuovi flussi di credito deteriorato: il che non significa che la qualità del credito bancario stia migliorando; più precisamente tale qualità sta peggiorando a ritmi meno elevati rispetto al passato. La situazione appare particolarmente delicata per le banche più piccole, che mostrano un “grado di copertura” del credito deteriorato più basso rispetto alla media del sistema. A fine 2015 le 32 banche appartenenti ai primi 5 gruppi bancari italiani (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banca Monte dei Paschi di Siena, UBI Banca, Banco Popolare) avevano effettuato svalutazioni complessive dei crediti deteriorati mediamente pari al 46% (59% per le sole sofferenze), mentre “il resto del sistema bancario” (banche di credito cooperativo, altre banche popolari, ecc.) aveva in media svalutato tali crediti per circa il 40% (53% se guardiamo alle sole sofferenze). Se “il resto del sistema” adeguasse il proprio “grado di copertura” a quello dei primi 5 gruppi bancari dovrebbe imputare a conto economico circa 45 miliardi di Euro di ulteriori rettifiche su crediti. I mercati sembrano percepire questi sintomi di vulnerabilità: nella prima metà del 2016 i titoli bancari quotati alla Borsa Italiana hanno perduto circa 50 miliardi di capitalizzazione. Il crollo dei titoli bancari avvenuto nel 2011 e nel 2012 fu motivato dalla crisi finanziaria globale ed amplificato dal “rischio-Italia”. Oggi il rischio sovrano è superato o quanto meno fortemente ridimensionato. È dunque verosimile che tra le cause di questo recente calo dei titoli azionari bancari vi siano proprio l’elevato peso del credito deteriorato e le perdite latenti (ovvero non ancora emerse contabilmente), che il mercato collega all’esistenza di una non adeguata “svalutazione” di tale credito. Le nuove norme europee sul “bail in”, previste dalla Bank Recovery and Resolution Directive, in vigore dall’inizio di quest’anno, prevedono il coinvolgimento, in caso di default di una banca, insieme agli azionisti ed agli obbligazionisti subordinati, anche degli obbligazionisti ordinari. La platea dei risparmiatori potenzialmente coinvolti si è dunque ampliata notevolmente: se infatti le obbligazioni subordinate sono oggi poco diffuse tra i risparmiatori italiani (rappresentano appena il 4% della raccolta bancaria totale), quelle ordinarie hanno un grado di diffusione pari a quello dei titoli di stato (e rappresentano circa il 25% della raccolta bancaria). Un possibile scenario di breve e medio termine è dunque quello che vede il ripetersi su scala più ampia di fenomeni di crisi e fallimento di istituti bancari italiani, con coinvolgimento diretto, generato dalla normativa sul “bail in”, anche dei detentori delle obbligazioni ordinarie; e con conseguente rilevante estensione della platea dei risparmiatori coinvolti. In questo contesto è naturale domandarsi se la tutela del risparmio impiegato in obbligazioni bancarie è oggi adeguata nel senso richiesto dall’Art. 47 della Costituzione. Il fallimento delle 4 banche popolari avvenuto a fine del 2016 ha messo in discussione la fiducia dei risparmiatori italiani nei confronti delle piccole banche locali ed ha indotto molti di essi a spostare i propri risparmi verso banche di dimensioni maggiori, ritenute più solide e quindi più sicure. Tuttavia l’impressione è che si sia trattato di comportamenti generati da reazioni emotive del momento, più che da effettiva consapevolezza dei rischi finanziari che si stavano correndo e delle soluzioni possibili per limitarli. Queste vicende finanziarie ed i comportamenti dei risparmiatori che ad esse hanno fatto seguito hanno dunque paradossalmente fatto emergere l’inadeguato grado di consapevolezza dei detentori di obbligazioni bancarie circa i rischi che stavano correndo, evidenziando l’esistenza di un inadeguato grado di tutela del risparmio nel senso richiesto dall’Art. 47 della Costituzione. Nel nostro paese Banca d’Italia e Consob hanno tra i loro compiti quello della tutela dei risparmiatori, ma per nessuna delle due istituzioni tale tutela rappresenta l’unico, specifico obiettivo. Banca d’Italia ha come missione principale la “stabilità del sistema bancario”. Consob ha come obiettivi principali la «tutela degli investitori» e la tutela della «stabilità e del buon funzionamento del sistema finanziario», due mandati che hanno mostrato di non essere perfettamente compatibili tra loro, con il secondo che ha spesso finito per prevalere sul primo. L’istituzione di una authority specificamente preposta alla protezione ed alla tutela del risparmiatore potrebbe fornire una contributo fondamentale alla riduzione del gap di tutela sopra citato . Con la missione specifica ed unica di proteggere e tutelare il risparmio l’azione di tale authority sarebbe certamente più efficace e, soprattutto, sarebbe più immediata e chiara la sua responsabilità politica, impedendo lo scaricabarile tra istituzioni cui si assiste quando le funzioni sono condivise o sovrapposte. La creazione di una authority italiana con la missione specifica di tutelare il risparmio popolare, oltre a rappresentare una via naturale per realizzare il dettato costituzionale, potrebbe altresì contribuire in modo decisivo a ripristinare e mantenere la fiducia dei risparmiatori italiani nel sistema bancario ed in quello finanziario in generale.
2017
9788892113213
La dualità istituzionale del risparmio popolare
54
66
Francesco, Ciampi
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