Vygotskij muore l’11 giugno 1934 e il giorno dopo la polizia segreta è in casa sua e requisisce le carte, fra le quali potevano trovarsi, se non fossero stati messi in salvo, i fogli dell’ultimo capitolo del libro, dettati dal letto, ormai prossimo alla morte. Dopo la sua morte, comincia un’opera di costruzione della sua figura che lo allontana sempre di più dal Vygotskij reale. A curare l’opera è Kolbanovskij, direttore allora dell’Istituto di Psicologia a Mosca. Salvo il primo e il settimo, si tratta di capitoli tratti da saggi precedenti. Nel 1956 si ristampa “Pensiero e linguaggio”, in una edizione curata da Leont’ev e Lurija, la cui introduzione rimpiazza quella di Kolbanovsij, dove sono eliminati i riferimenti a Freud, a Sapir, a pedologi come Blonskij, sostituendo la parola pedologia con pedagogia, il termine “test” con “compito”, introducendo corsivi dove Vygotskij non li aveva previsti e eliminandoli dove c’erano, e così via. Nella traduzione americana del 1962, si confeziona un Vygotskij per i lettori americani, eliminando i riferimenti a Marx, Engels, Lenin, semplificando i passi troppo filosofici, tagliando e riassumendo fino a giungere da 300 a 150 pagine. Un netto stravolgimento nel quale si inserisce la vicenda di Piaget, al quale viene chiesta da Lurija di scrivere quella che sarà non una prefazione, come chiesto, ma una post-fazione del libro, in cui scriverà che “venticinque anni prima” quello psicologo russo aveva criticato alcune sue tesi fondamentali. Mecacci sottolinea l’estrema problematicità di questo fatto, alla luce di alcuni riscontri con date e luoghi precisi, da cui emerge l’improbabilità di questa affermazione di Piaget, insieme a quella di non aver potuto mai leggere i suoi scritti e di non essersi potuto mai incontrare con Vygotskij. Negli anni ’60 e ’70 “Pensiero e linguaggio” diventa uno dei libri a sostegno della psicologia cognitiva, punto di riferimento per dibattiti importanti. Nel 1978, il filosofo statunitense Toulmin, sulla “New York Review of Books”, battezza Vygotskij come il “Mozart della psicologia”, un genio, morto troppo presto, pieno di idee ancora inesplorate, teorico del pensiero e del linguaggio, della mente nella società, una sfida per i comportamentisti e i meccanicisti statunitensi e canadesi. Nel 1982 inizia la pubblicazione delle opere di Vygotskij in sei volumi. Ma di Vygotskij si pubblicano più le opere inedite quando era vivo, che quelle che egli stesso pubblicò durante la sua vita e che documentano la sua attività concreta in quegli anni. Ne emerge la figura di un grande teorico, piuttosto che uno sperimentalista, peraltro protagonista delle lotte sociali e culturali degli anni ’20 e ’30. “Sepolto nel cimitero di Novodevič, alla periferia di Mosca, dove altri poeti e intellettuali della Rivoluzione stroncati dallo stalinismo riposano dentro tombe coperte da mucchi di foglie secche, Vygotskij è stato così di nuovo sotterrato sotto mucchi di parole inventate che egli non disse mai.” (Mecacci, dall’Introduzione alla traduzione di Vygotskij, 1934, tr. it. 1990). Nel 1936 viene promulgato il decreto del Comitato centrale del PCUS contro la pedologia. Esce un articolo critico di A. V. Kozyrev e P. A. Turko sulla “Scuola pedologica del prof. L. S. V.”. Nel 1937 è pubblicato il libro di E. Rudneva dal titolo “Le distorsioni podologiche di V.”. Nel 1956 si ha la riabilitazione di Vygotskij con la pubblicazione del libro “Ricerche psicologiche scelte”, in cui si trova compreso “Pensiero e linguaggio”, anche se in forma censurata. Nel 1962 è pubblicata in forma ridotta la traduzione americana, grazie alla quale si diffonderà Vygotskij in Occidente, con prefazione di Bruner e commenti di Piaget. “Pensiero e linguaggio” compare in traduzione italiana a cura di Angiola Massucco Costa. Nel 1978, il filosofo Toulmin consacra Vygotskij come il Mozart della psicologia. Nel 1979, si tiene a Roma, a cura dell’Istituto di Psicologia del CNR, un convegno su Vygotskij. Altri convegni sono tenuti a Chicago (1980), Acapulco (1984), Parigi (1987), Budapest (1988). Tra il 1982 e il 1986 escono i sei volumi della “Raccolta delle opere”. Dagli anni ’80 in poi sono state pubblicate numerose opere di e su Vygotskij in tutto il mondo e si parla ormai di scuola vygotskijana. Le edizioni russe sono tre: quella del 1934, quella del 1956, quella del 1982. Mecacci fornisce notizie sulle traduzioni, in tutto il mondo, aggiornate al 1990: quella americana del 1962, quella tedesca del 1964, quella argentina del 1964, quella italiana del 1966, quella danese del 1971-1974, quella francese del 1985, un’altra traduzione rivista americana del 1986, ed una del 1987. Sono inoltre presenti traduzioni in giapponese (1962), ungherese (1967), polacco (1971), rumeno (1972), finlandese (1982), bulgaro (1983). Luciano Mecacci (pp. XIX-XXI) fornisce infine alcune informazioni sul “Lessico Vygotkijano”, a proposito delle scelte adottate nella sua traduzione integrale condotta sull’edizione russa del 1934. Da queste informazioni, dovrebbe risultare quanto sia stata complessa l’affermazione della teoria di Vygotskij. Allo stesso tempo, il lettore dovrebbe aver notato quanto sia stata vasta l’estensione dei Paesi nei quali il pensiero di Vygotskij si è diffuso. Siamo quindi di fronte a una serie di idee che per profondità ed estensione dei Paesi e dei Continenti nelle quali sono penetrate non sono certo seconde a nessuna teoria anche contemporanea. Ugualmente, dovrebbe essere chiaro che si tratta di concetti nuovi e di metodologie di ricerca ancora oggi innovative nel campo dello studio dello sviluppo del linguaggio.

LEV SEMENOVIC VYGOTSKIJ, PENSIERO E LINGUAGGIO, ROMA - BARI, LATERZA, 1990. INTRODUZIONE, TRADUZIONE E COMMENTO DI LUCIANO MECACCI. (PP. III-424) / L. APRILE. - In: BOLLETTINO DI PSICOLOGIA APPLICATA. - ISSN 0006-6761. - STAMPA. - 199:(1991), pp. 59-60.

LEV SEMENOVIC VYGOTSKIJ, PENSIERO E LINGUAGGIO, ROMA - BARI, LATERZA, 1990. INTRODUZIONE, TRADUZIONE E COMMENTO DI LUCIANO MECACCI. (PP. III-424).

APRILE, LUIGI
1991

Abstract

Vygotskij muore l’11 giugno 1934 e il giorno dopo la polizia segreta è in casa sua e requisisce le carte, fra le quali potevano trovarsi, se non fossero stati messi in salvo, i fogli dell’ultimo capitolo del libro, dettati dal letto, ormai prossimo alla morte. Dopo la sua morte, comincia un’opera di costruzione della sua figura che lo allontana sempre di più dal Vygotskij reale. A curare l’opera è Kolbanovskij, direttore allora dell’Istituto di Psicologia a Mosca. Salvo il primo e il settimo, si tratta di capitoli tratti da saggi precedenti. Nel 1956 si ristampa “Pensiero e linguaggio”, in una edizione curata da Leont’ev e Lurija, la cui introduzione rimpiazza quella di Kolbanovsij, dove sono eliminati i riferimenti a Freud, a Sapir, a pedologi come Blonskij, sostituendo la parola pedologia con pedagogia, il termine “test” con “compito”, introducendo corsivi dove Vygotskij non li aveva previsti e eliminandoli dove c’erano, e così via. Nella traduzione americana del 1962, si confeziona un Vygotskij per i lettori americani, eliminando i riferimenti a Marx, Engels, Lenin, semplificando i passi troppo filosofici, tagliando e riassumendo fino a giungere da 300 a 150 pagine. Un netto stravolgimento nel quale si inserisce la vicenda di Piaget, al quale viene chiesta da Lurija di scrivere quella che sarà non una prefazione, come chiesto, ma una post-fazione del libro, in cui scriverà che “venticinque anni prima” quello psicologo russo aveva criticato alcune sue tesi fondamentali. Mecacci sottolinea l’estrema problematicità di questo fatto, alla luce di alcuni riscontri con date e luoghi precisi, da cui emerge l’improbabilità di questa affermazione di Piaget, insieme a quella di non aver potuto mai leggere i suoi scritti e di non essersi potuto mai incontrare con Vygotskij. Negli anni ’60 e ’70 “Pensiero e linguaggio” diventa uno dei libri a sostegno della psicologia cognitiva, punto di riferimento per dibattiti importanti. Nel 1978, il filosofo statunitense Toulmin, sulla “New York Review of Books”, battezza Vygotskij come il “Mozart della psicologia”, un genio, morto troppo presto, pieno di idee ancora inesplorate, teorico del pensiero e del linguaggio, della mente nella società, una sfida per i comportamentisti e i meccanicisti statunitensi e canadesi. Nel 1982 inizia la pubblicazione delle opere di Vygotskij in sei volumi. Ma di Vygotskij si pubblicano più le opere inedite quando era vivo, che quelle che egli stesso pubblicò durante la sua vita e che documentano la sua attività concreta in quegli anni. Ne emerge la figura di un grande teorico, piuttosto che uno sperimentalista, peraltro protagonista delle lotte sociali e culturali degli anni ’20 e ’30. “Sepolto nel cimitero di Novodevič, alla periferia di Mosca, dove altri poeti e intellettuali della Rivoluzione stroncati dallo stalinismo riposano dentro tombe coperte da mucchi di foglie secche, Vygotskij è stato così di nuovo sotterrato sotto mucchi di parole inventate che egli non disse mai.” (Mecacci, dall’Introduzione alla traduzione di Vygotskij, 1934, tr. it. 1990). Nel 1936 viene promulgato il decreto del Comitato centrale del PCUS contro la pedologia. Esce un articolo critico di A. V. Kozyrev e P. A. Turko sulla “Scuola pedologica del prof. L. S. V.”. Nel 1937 è pubblicato il libro di E. Rudneva dal titolo “Le distorsioni podologiche di V.”. Nel 1956 si ha la riabilitazione di Vygotskij con la pubblicazione del libro “Ricerche psicologiche scelte”, in cui si trova compreso “Pensiero e linguaggio”, anche se in forma censurata. Nel 1962 è pubblicata in forma ridotta la traduzione americana, grazie alla quale si diffonderà Vygotskij in Occidente, con prefazione di Bruner e commenti di Piaget. “Pensiero e linguaggio” compare in traduzione italiana a cura di Angiola Massucco Costa. Nel 1978, il filosofo Toulmin consacra Vygotskij come il Mozart della psicologia. Nel 1979, si tiene a Roma, a cura dell’Istituto di Psicologia del CNR, un convegno su Vygotskij. Altri convegni sono tenuti a Chicago (1980), Acapulco (1984), Parigi (1987), Budapest (1988). Tra il 1982 e il 1986 escono i sei volumi della “Raccolta delle opere”. Dagli anni ’80 in poi sono state pubblicate numerose opere di e su Vygotskij in tutto il mondo e si parla ormai di scuola vygotskijana. Le edizioni russe sono tre: quella del 1934, quella del 1956, quella del 1982. Mecacci fornisce notizie sulle traduzioni, in tutto il mondo, aggiornate al 1990: quella americana del 1962, quella tedesca del 1964, quella argentina del 1964, quella italiana del 1966, quella danese del 1971-1974, quella francese del 1985, un’altra traduzione rivista americana del 1986, ed una del 1987. Sono inoltre presenti traduzioni in giapponese (1962), ungherese (1967), polacco (1971), rumeno (1972), finlandese (1982), bulgaro (1983). Luciano Mecacci (pp. XIX-XXI) fornisce infine alcune informazioni sul “Lessico Vygotkijano”, a proposito delle scelte adottate nella sua traduzione integrale condotta sull’edizione russa del 1934. Da queste informazioni, dovrebbe risultare quanto sia stata complessa l’affermazione della teoria di Vygotskij. Allo stesso tempo, il lettore dovrebbe aver notato quanto sia stata vasta l’estensione dei Paesi nei quali il pensiero di Vygotskij si è diffuso. Siamo quindi di fronte a una serie di idee che per profondità ed estensione dei Paesi e dei Continenti nelle quali sono penetrate non sono certo seconde a nessuna teoria anche contemporanea. Ugualmente, dovrebbe essere chiaro che si tratta di concetti nuovi e di metodologie di ricerca ancora oggi innovative nel campo dello studio dello sviluppo del linguaggio.
1991
L. APRILE
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