Il costituto di Siena volgarizzato nel 1309-10 costituisce un monumento e un simbolo della civiltà senese del primo Trecento, come il Palazzo Pubblico e come la Maestà di Duccio da Boninsegna. Ma brilla davvero di luce propria, è in grado di parlare direttamente ai destinatari, a coloro che non sapevano il latino e per i quali era stata fatta la traduzione? La stessa domanda può essere fatta per gli statuti fiorentini di metà Trecento che vengono anch’essi volgarizzati perché tutti gli artifices ne possano prendere direttamente conoscenza. Se si esaminano i manoscritti che contengono le traduzioni, sia a Siena che a Firenze, non si trovano però i segni di quella costante e frequente consultazione che ci si aspetterebbe, soprattutto dopo il rilievo che negli stessi statuti si dà all’attività di volgarizzamento. Ecco allora il dubbio che sorge: queste traduzioni servivano davvero agli scopi per le quali erano state fatte, oppure al di là dell’indubbio valore politico e simbolico dell’opera di traduzione in volgare, in concreto quando si doveva andare a conoscere e a utilizzare in giudizio lo statuto si continuava ad avvalersi dei manoscritti latini, magari con l’intermediazione di un tecnico del diritto? Lo stato dei testimoni spinge verso questa seconda soluzione: si accentua così il valore politico dell’operazione di volgarizzamento, mentre quello pratico pare destinato a passare in secondo piano.

Un costituto davvero per tutti? (a proposito del Costituto del comune di Siena volgarizzato nel MCCCIX-MCCCX, a cura di Mahmoud Salem Elsheikh, Siena Fondazione Monte dei Paschi di Siena, 2002, in 4 tomi) / F. BAMBI. - In: QUADERNI FIORENTINI PER LA STORIA DEL PENSIERO GIURIDICO MODERNO. - ISSN 0392-1867. - STAMPA. - 33-34:(2005), pp. 1239-1249.

Un costituto davvero per tutti? (a proposito del Costituto del comune di Siena volgarizzato nel MCCCIX-MCCCX, a cura di Mahmoud Salem Elsheikh, Siena Fondazione Monte dei Paschi di Siena, 2002, in 4 tomi)

BAMBI, FEDERIGO
2005

Abstract

Il costituto di Siena volgarizzato nel 1309-10 costituisce un monumento e un simbolo della civiltà senese del primo Trecento, come il Palazzo Pubblico e come la Maestà di Duccio da Boninsegna. Ma brilla davvero di luce propria, è in grado di parlare direttamente ai destinatari, a coloro che non sapevano il latino e per i quali era stata fatta la traduzione? La stessa domanda può essere fatta per gli statuti fiorentini di metà Trecento che vengono anch’essi volgarizzati perché tutti gli artifices ne possano prendere direttamente conoscenza. Se si esaminano i manoscritti che contengono le traduzioni, sia a Siena che a Firenze, non si trovano però i segni di quella costante e frequente consultazione che ci si aspetterebbe, soprattutto dopo il rilievo che negli stessi statuti si dà all’attività di volgarizzamento. Ecco allora il dubbio che sorge: queste traduzioni servivano davvero agli scopi per le quali erano state fatte, oppure al di là dell’indubbio valore politico e simbolico dell’opera di traduzione in volgare, in concreto quando si doveva andare a conoscere e a utilizzare in giudizio lo statuto si continuava ad avvalersi dei manoscritti latini, magari con l’intermediazione di un tecnico del diritto? Lo stato dei testimoni spinge verso questa seconda soluzione: si accentua così il valore politico dell’operazione di volgarizzamento, mentre quello pratico pare destinato a passare in secondo piano.
2005
33-34
1239
1249
F. BAMBI
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