Giovanna Ceccatelli. Università di Firenze. Ripensare le identità, ripensare la mediazione In : Luatti L. (a cura di) Atlante della mediazione linguistico culturale Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 37 – 49 Nel testo curato da Lorenzo Luatti (sottotitolo : Nuove mappe per la professione di mediatore) sono presenti contributi dei più importanti studiosi, esperti e ricercatori (italiani e non) nel campo dell’interculturalità e della mediazione linguistico culturale : Favaro, Sclavi, Jabbar, Castiglioni, Fiorucci, Belpiede, Tarozzi. Il saggio qui riassunto è inserito nella prima sezione di ridefinizione teorica di questi temi (La mediazione : facciamo il punto) e cerca appunto di riconcettualizzare in modo talvolta perfino provocatorio sia il paradigma dell’identità culturale che l’ormai lunga e contraddittoria esperienza professionale del mediatore linguistico-culturale. Il testo prende spunto dalle lucide e fondamentali analisi di Abdemalek Sayad, sulla valenza politica e la connotazione « sovversiva » e destabilizzante dei fenomeni migratori, capaci di mettere in crisi i concetti stessi di cittadinanza e di diritto universale (e di svelare la loro parzialità e i meccanismi iniqui di inclusione ed esclusione perpetuati continuamente a livello globale), per mettere in luce la la difficoltà che si ha perfino nel pensare il migrante, nell’affrontare l’imbarazzo creato dalla sua ingombrante « doppia assenza », anche per gran parte degli strumenti della conoscenza, che del resto riproducono spesso, acriticamente, le categorie, gli stereotipi, le omissioni e le discriminazioni del linguaggio politico e normativo. E tuttavia l’appartenenza culturale e identitaria non può essere nemmeno sopravvalutata nelle analisi e nelle politiche dell’immigrazione. Terreno scivoloso e infido quanto mai, quello del riconoscimento/enfatizzazione dell’identità culturale, può infatti avere come esito sia la rivendicazione sciovinista dei conflitti identitari e della loro supremazia, fino alla deriva dello “scontro di civiltà”, sia la costruzione di un multiculturalismo “ragionevole”, fondato sul riconoscimento reciproco di identità “deboli”, cioè non rigide, ma aperte al cambiamento e alla contaminazione. Fra i diritti degli esseri umani, e in particolare dei migranti, c’è o dovrebbe esserci anche quello di scegliere e modificare la propria appartenenza culturale, anzi di inventarla, con un paziente e creativo lavoro di bricolage. In ogni individuo, da dovunque provenga, c’è un mondo di sogni, di fantasmi, di desideri, e c’è un universo immaginato, fatto di infinite possibilità. Per questo non possiamo attribuirgli un’identità riduttiva e rigidamente ancorata alle sue origini: ciascun individuo è un intero cosmo dentro il cosmo che ci accomuna. Di fronte a questi problemi, più o meno esplicitati nel suo ambito di lavoro, ma inevitabilmente percepiti dal mediatore, tanto più se appartenente, come nella maggioranza dei casi, se non per obbligo contrattuale, alla cultura condivisa con il migrante affidato alla sua cura, diventa impossibile sfuggire al senso di impotenza, alla difficoltà oggettiva di contenere il proprio ruolo, alla frustrazione dei limiti della propria competenza e capacità di intervento, alla sensazione di un carico eccessivo di responsabilità e di aspettative. Questo comporta una ridefinizione profonda, aperta e non strumentale della stessa professionalità del mediatore. Mentre infatti si ridimensiona e si contrae la componente linguistica del suo ruolo, per l’evoluzione e la stabilizzazione delle dinamiche migratorie, ne diviene più complessa, politica, sociale, reticolare e interconnessa la componente interculturale. Ripensare la mediazione, darle una centralità strutturale nella complessità e conflittualità del processo migratorio, al di là dell’accompagnamento e della “riduzione del danno” per il soggetto migrante, comporta allora, prima di tutto, un riposizionamento dello sguardo, una ristrutturazione di quello che sappiamo o crediamo di sapere dei nostri rapporti con la diversità e la lontananza, anzi una decostruzione paziente di tutto il sapere che sta alla base della nostra stabilità identitaria, in cui è profondamente, e perfino inconsapevolmente, iscritta l’epistemologia coloniale; infine una riappropriazione consapevole dei meccanismi cognitivi che si sono modellati attraverso una storia di violenza e di dominio, e rischiano di modellare a loro volta identità paradigmatiche, contrapposte e complementariamente deformate. ENGLISH ABSTRACT In the text, edited by Lorenzo Luatti (subtitled New maps for the professional mediator), there are the contributions of important scholars, researchers and experts on the area of interculturalism and linguistic – cultural mediation : Favaro, Sclavi, Jabbar, Castiglioni, Fiorucci, Belpiede, Tarozzi. This essay, which is summed up here briefly, is part of the first theoretical section (Mediation: determinino the ship’s position ) and tries to conceptualize both the paradigm of cultural identity and the long and difficult experience of linguistic and cultural mediator, sometimes in a provocative way too. The analysis of Abdemalek Sayad, on the political value of migration as a « total social fact », has challenged the common ideas of citizenship and universal law and it has revealed the unfair and globally perpetuated mechanisms of inclusion and marginalization. Through this analysis, the text tries to explain the difficulty thinking about the migrant, and the trouble caused by his cumbersome « double absence ». This trouble is also part of the instruments of knowledge, which often express categories, stereotypes, omissions, and discriminations of the political and legal language critically. However in this analysis and immigration policies, we don’t even have to overvalue the cultural identity. Every human being and, in particular, the migrant have the right to choose and change their cultural belonging, even invent with a patient and creative work of bricolage. In every human being of any origi there is a world of dreames, ghosts, and desires, and there is an imagined universe made of innumerable possibilities. For this reason, we cannot give him neither a narrow identity nor a belonging strictly anchored to his origins: each human being is an entire cosmos in the cosmos that we share. The complexity of these problems requires a deep reconsideration of the professional mediator too. In fact, on one hand, his linguistic role decreases, because of the evolution and stabilization of the migratory dynamics; on the other, the intercultural (cross-cultural) part of his role becomes more complex, political, social, reticular and interconnected. Thinking of mediation in a different way and making it the center of the complex conflicts related to migration, needs a work of unlearning. This kind of process needs the humlity of deconstruction of all the common knowledge, influenced often by colonial philosophy which is the fundament of our believes and our identity. It needs to recover possession of the cognitive mechanisms which are based on an history of violence and domination At the same time, this own cognitive mechanisms risk to create stereotyped, antithetical and distorted identities.

Ripensare le identità, ripensare la mediazione / G. Ceccatelli. - STAMPA. - (2006), pp. 37-57.

Ripensare le identità, ripensare la mediazione

CECCATELLI, GIOVANNA
2006

Abstract

Giovanna Ceccatelli. Università di Firenze. Ripensare le identità, ripensare la mediazione In : Luatti L. (a cura di) Atlante della mediazione linguistico culturale Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 37 – 49 Nel testo curato da Lorenzo Luatti (sottotitolo : Nuove mappe per la professione di mediatore) sono presenti contributi dei più importanti studiosi, esperti e ricercatori (italiani e non) nel campo dell’interculturalità e della mediazione linguistico culturale : Favaro, Sclavi, Jabbar, Castiglioni, Fiorucci, Belpiede, Tarozzi. Il saggio qui riassunto è inserito nella prima sezione di ridefinizione teorica di questi temi (La mediazione : facciamo il punto) e cerca appunto di riconcettualizzare in modo talvolta perfino provocatorio sia il paradigma dell’identità culturale che l’ormai lunga e contraddittoria esperienza professionale del mediatore linguistico-culturale. Il testo prende spunto dalle lucide e fondamentali analisi di Abdemalek Sayad, sulla valenza politica e la connotazione « sovversiva » e destabilizzante dei fenomeni migratori, capaci di mettere in crisi i concetti stessi di cittadinanza e di diritto universale (e di svelare la loro parzialità e i meccanismi iniqui di inclusione ed esclusione perpetuati continuamente a livello globale), per mettere in luce la la difficoltà che si ha perfino nel pensare il migrante, nell’affrontare l’imbarazzo creato dalla sua ingombrante « doppia assenza », anche per gran parte degli strumenti della conoscenza, che del resto riproducono spesso, acriticamente, le categorie, gli stereotipi, le omissioni e le discriminazioni del linguaggio politico e normativo. E tuttavia l’appartenenza culturale e identitaria non può essere nemmeno sopravvalutata nelle analisi e nelle politiche dell’immigrazione. Terreno scivoloso e infido quanto mai, quello del riconoscimento/enfatizzazione dell’identità culturale, può infatti avere come esito sia la rivendicazione sciovinista dei conflitti identitari e della loro supremazia, fino alla deriva dello “scontro di civiltà”, sia la costruzione di un multiculturalismo “ragionevole”, fondato sul riconoscimento reciproco di identità “deboli”, cioè non rigide, ma aperte al cambiamento e alla contaminazione. Fra i diritti degli esseri umani, e in particolare dei migranti, c’è o dovrebbe esserci anche quello di scegliere e modificare la propria appartenenza culturale, anzi di inventarla, con un paziente e creativo lavoro di bricolage. In ogni individuo, da dovunque provenga, c’è un mondo di sogni, di fantasmi, di desideri, e c’è un universo immaginato, fatto di infinite possibilità. Per questo non possiamo attribuirgli un’identità riduttiva e rigidamente ancorata alle sue origini: ciascun individuo è un intero cosmo dentro il cosmo che ci accomuna. Di fronte a questi problemi, più o meno esplicitati nel suo ambito di lavoro, ma inevitabilmente percepiti dal mediatore, tanto più se appartenente, come nella maggioranza dei casi, se non per obbligo contrattuale, alla cultura condivisa con il migrante affidato alla sua cura, diventa impossibile sfuggire al senso di impotenza, alla difficoltà oggettiva di contenere il proprio ruolo, alla frustrazione dei limiti della propria competenza e capacità di intervento, alla sensazione di un carico eccessivo di responsabilità e di aspettative. Questo comporta una ridefinizione profonda, aperta e non strumentale della stessa professionalità del mediatore. Mentre infatti si ridimensiona e si contrae la componente linguistica del suo ruolo, per l’evoluzione e la stabilizzazione delle dinamiche migratorie, ne diviene più complessa, politica, sociale, reticolare e interconnessa la componente interculturale. Ripensare la mediazione, darle una centralità strutturale nella complessità e conflittualità del processo migratorio, al di là dell’accompagnamento e della “riduzione del danno” per il soggetto migrante, comporta allora, prima di tutto, un riposizionamento dello sguardo, una ristrutturazione di quello che sappiamo o crediamo di sapere dei nostri rapporti con la diversità e la lontananza, anzi una decostruzione paziente di tutto il sapere che sta alla base della nostra stabilità identitaria, in cui è profondamente, e perfino inconsapevolmente, iscritta l’epistemologia coloniale; infine una riappropriazione consapevole dei meccanismi cognitivi che si sono modellati attraverso una storia di violenza e di dominio, e rischiano di modellare a loro volta identità paradigmatiche, contrapposte e complementariamente deformate. ENGLISH ABSTRACT In the text, edited by Lorenzo Luatti (subtitled New maps for the professional mediator), there are the contributions of important scholars, researchers and experts on the area of interculturalism and linguistic – cultural mediation : Favaro, Sclavi, Jabbar, Castiglioni, Fiorucci, Belpiede, Tarozzi. This essay, which is summed up here briefly, is part of the first theoretical section (Mediation: determinino the ship’s position ) and tries to conceptualize both the paradigm of cultural identity and the long and difficult experience of linguistic and cultural mediator, sometimes in a provocative way too. The analysis of Abdemalek Sayad, on the political value of migration as a « total social fact », has challenged the common ideas of citizenship and universal law and it has revealed the unfair and globally perpetuated mechanisms of inclusion and marginalization. Through this analysis, the text tries to explain the difficulty thinking about the migrant, and the trouble caused by his cumbersome « double absence ». This trouble is also part of the instruments of knowledge, which often express categories, stereotypes, omissions, and discriminations of the political and legal language critically. However in this analysis and immigration policies, we don’t even have to overvalue the cultural identity. Every human being and, in particular, the migrant have the right to choose and change their cultural belonging, even invent with a patient and creative work of bricolage. In every human being of any origi there is a world of dreames, ghosts, and desires, and there is an imagined universe made of innumerable possibilities. For this reason, we cannot give him neither a narrow identity nor a belonging strictly anchored to his origins: each human being is an entire cosmos in the cosmos that we share. The complexity of these problems requires a deep reconsideration of the professional mediator too. In fact, on one hand, his linguistic role decreases, because of the evolution and stabilization of the migratory dynamics; on the other, the intercultural (cross-cultural) part of his role becomes more complex, political, social, reticular and interconnected. Thinking of mediation in a different way and making it the center of the complex conflicts related to migration, needs a work of unlearning. This kind of process needs the humlity of deconstruction of all the common knowledge, influenced often by colonial philosophy which is the fundament of our believes and our identity. It needs to recover possession of the cognitive mechanisms which are based on an history of violence and domination At the same time, this own cognitive mechanisms risk to create stereotyped, antithetical and distorted identities.
2006
9788846477521
Atlante della mediazione linguistico culturale. Nuove mappe per la professione di mediatore
37
57
G. Ceccatelli
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