Si tratta del contributo per la miscellanea di studi dedicata dagli allievi fiorentini a Domenico De Robertis, con offerta restituita dal maestro in affettuoso contraccambio mercé la dedica – Ai miei allievi fiorentini – dell’edizione commentata delle Rime di Dante (Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2005). Presentato, con gli altri saggi del volume, da Roberto Cardini e Stefano Carrai nel febbraio 2001 a Palazzo Strozzi e citato anche dagli specialisti impegnati nella stesura di alcuni commenti al Canzoniere di Petrarca usciti negli anni a seguire (R. Bettarini, M. Santagata e, da ultimo, P. Vecchi Galli), che lo segnalano nella nota bibliografica ristretta relativa alle canzoni degli occhi, questo complesso e ampio studio tien dietro a qualche anno di distanza a un precedente, più breve, intervento petrarchesco sull’anomalia metrica delle quartine di quattordici sonetti dei Fragmenta, pubblicato nel 1993 nella prima miscellanea offerta a De Robertis. Esso si articola in quattro parti, le prime tre incentrate sul Canzoniere, la quarta dedicata all’escussione dei testi liminari di alcuni libri di rime e canzonieri del Quattro-Cinquecento. Il fuoco del discorso è dapprima puntato sulla trilogia degli occhi (RVF LXXI-LXXIII): dopo aver preso le mosse da alcune considerazioni sulle scarse occorrenze di lode e lemmi affini, che sembrano corrispondere a una sobrietà ponderata, da parte di Petrarca e indicativa di una presenza retorica e poetica precisa (lo stile della parola, segnatamente della parola di lode, accanto a quello del pianto), si constata infatti la non casuale prima occorrenza del termine, con la sola eccezione di Verdi panni, nella canzone iniziale della terna oculorum, che scioglie finalmente il canto all’elogio di Laura, dopo ripetute ammissioni di inadeguatezza (come in RVF XXIX), nella durata quasi ininterrotta dei tre testi omometrici, nei quali la normale cesura del congedo pare assumere addirittura la funzione transitiva di cerniera. L’inevitabile confronto con Dante, della Vita Nova, e in particolare di Donne ch’avete, manifesto della scoperta della lode come proclamazione di autosufficienza della poesia, serve a chiarire per contrasto la diversa posizione di Petrarca al riguardo, minacciata dal sempre risorgente ripiegamento verso un altrove poetico di marca elegiaca; mentre l’ammutolimento d’ineffabilità e d’inconoscibilità, proprio di altri testi di lode, come Tanto gentile o come, di Cavalcanti, Chi è questa che vèn, sembra rappresentare in Petrarca la sconfortante condizione di afasia poetica connessa al mito fondativo del Canzoniere, quello di Apollo e Dafne, annunciato sulla sua soglia con l’intimazione al silenzio contenuta nella sciarada del son. V, e prospettare altri nessi con la canzone delle metamofosi (citata dal poeta giusto alle spalle della trilogia degli occhi, menzionandone il verso-titolo, nella chiusa della canz. LXX): soprattutto interessanti le strofe, terza, per l’allusione ai miti di Fetonte e di Cigno e per il legame stabilito coi testi super flumina e alcuni confinanti sonetti di lode; e ultima, per il mito di Atteone e le sue implicazioni con la complessiva componente fàtica del testo. Ancora il confronto fruttuoso con Dante della canzone-manifesto e con la sua dichiarata rinuncia all’ardire fa risaltare la diversità dell’opzione petrarchesca, pronta ad assumere l’alta impresa della lode, per effetto propulsore del «gran desio» di parola che, se risulta debitore ancora del dantesco «desiderio di dire» della prosa introduttiva a Donne ch’avete, diventa in Petrarca sintagma ricorrente della passione ‘altra’ del poeta, che condivide la matrice e la natura incline agli eccessi di quella amorosa, giusta l’ambiguità del suo stesso oggetto. Dalla specola del «gran desio» è possibile cogliere impressioni anche su una primitiva poesia di lode, in un progetto di libro, poi superato, che prevedeva di aprirsi con Apollo, s’anchor vive il bel desio, con una connotazione dunque ben altrimenti positiva, rispetto alla sua prima occorrenza nella compagine del Canzoniere, nel son. VI, Sí travïato è’l folle mi’ desio. Se può considerarsi assumibile il dato che desio sia una parola tematica, provvista già in Petrarca della doppia natura di parola del desiderio (poesia elegiaca) e desiderio della parola (poesia di lode), si può verificare se e in che misura essa, non solo sia cifra dell’imitazione del modello esibita dai petrarchisti sulla soglia dei loro canzonieri o libri di rime, ma svolga anche, in quella postazione liminare, una funzione marcatrice rispetto all’opzione fondamentale tra l’una e l’altra forma di canto. La verifica, dall’esito confortante (e soprattutto interessante per i quindici primi testi del primo degli Amorum libri tres), viene dunque eseguita su un campione di testi proemiali tratti dalle raccolte di alcuni famosi petrarchisti (Cariteo, Giusto de’ Conti, Bernardo Tasso, Della Casa, Bembo e appunto Boiardo).

Petrarca e il "gran desio": poesia della lode nel "Canzoniere" / C. Molinari. - STAMPA. - (2000), pp. 305-344.

Petrarca e il "gran desio": poesia della lode nel "Canzoniere"

MOLINARI, CARLA
2000

Abstract

Si tratta del contributo per la miscellanea di studi dedicata dagli allievi fiorentini a Domenico De Robertis, con offerta restituita dal maestro in affettuoso contraccambio mercé la dedica – Ai miei allievi fiorentini – dell’edizione commentata delle Rime di Dante (Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2005). Presentato, con gli altri saggi del volume, da Roberto Cardini e Stefano Carrai nel febbraio 2001 a Palazzo Strozzi e citato anche dagli specialisti impegnati nella stesura di alcuni commenti al Canzoniere di Petrarca usciti negli anni a seguire (R. Bettarini, M. Santagata e, da ultimo, P. Vecchi Galli), che lo segnalano nella nota bibliografica ristretta relativa alle canzoni degli occhi, questo complesso e ampio studio tien dietro a qualche anno di distanza a un precedente, più breve, intervento petrarchesco sull’anomalia metrica delle quartine di quattordici sonetti dei Fragmenta, pubblicato nel 1993 nella prima miscellanea offerta a De Robertis. Esso si articola in quattro parti, le prime tre incentrate sul Canzoniere, la quarta dedicata all’escussione dei testi liminari di alcuni libri di rime e canzonieri del Quattro-Cinquecento. Il fuoco del discorso è dapprima puntato sulla trilogia degli occhi (RVF LXXI-LXXIII): dopo aver preso le mosse da alcune considerazioni sulle scarse occorrenze di lode e lemmi affini, che sembrano corrispondere a una sobrietà ponderata, da parte di Petrarca e indicativa di una presenza retorica e poetica precisa (lo stile della parola, segnatamente della parola di lode, accanto a quello del pianto), si constata infatti la non casuale prima occorrenza del termine, con la sola eccezione di Verdi panni, nella canzone iniziale della terna oculorum, che scioglie finalmente il canto all’elogio di Laura, dopo ripetute ammissioni di inadeguatezza (come in RVF XXIX), nella durata quasi ininterrotta dei tre testi omometrici, nei quali la normale cesura del congedo pare assumere addirittura la funzione transitiva di cerniera. L’inevitabile confronto con Dante, della Vita Nova, e in particolare di Donne ch’avete, manifesto della scoperta della lode come proclamazione di autosufficienza della poesia, serve a chiarire per contrasto la diversa posizione di Petrarca al riguardo, minacciata dal sempre risorgente ripiegamento verso un altrove poetico di marca elegiaca; mentre l’ammutolimento d’ineffabilità e d’inconoscibilità, proprio di altri testi di lode, come Tanto gentile o come, di Cavalcanti, Chi è questa che vèn, sembra rappresentare in Petrarca la sconfortante condizione di afasia poetica connessa al mito fondativo del Canzoniere, quello di Apollo e Dafne, annunciato sulla sua soglia con l’intimazione al silenzio contenuta nella sciarada del son. V, e prospettare altri nessi con la canzone delle metamofosi (citata dal poeta giusto alle spalle della trilogia degli occhi, menzionandone il verso-titolo, nella chiusa della canz. LXX): soprattutto interessanti le strofe, terza, per l’allusione ai miti di Fetonte e di Cigno e per il legame stabilito coi testi super flumina e alcuni confinanti sonetti di lode; e ultima, per il mito di Atteone e le sue implicazioni con la complessiva componente fàtica del testo. Ancora il confronto fruttuoso con Dante della canzone-manifesto e con la sua dichiarata rinuncia all’ardire fa risaltare la diversità dell’opzione petrarchesca, pronta ad assumere l’alta impresa della lode, per effetto propulsore del «gran desio» di parola che, se risulta debitore ancora del dantesco «desiderio di dire» della prosa introduttiva a Donne ch’avete, diventa in Petrarca sintagma ricorrente della passione ‘altra’ del poeta, che condivide la matrice e la natura incline agli eccessi di quella amorosa, giusta l’ambiguità del suo stesso oggetto. Dalla specola del «gran desio» è possibile cogliere impressioni anche su una primitiva poesia di lode, in un progetto di libro, poi superato, che prevedeva di aprirsi con Apollo, s’anchor vive il bel desio, con una connotazione dunque ben altrimenti positiva, rispetto alla sua prima occorrenza nella compagine del Canzoniere, nel son. VI, Sí travïato è’l folle mi’ desio. Se può considerarsi assumibile il dato che desio sia una parola tematica, provvista già in Petrarca della doppia natura di parola del desiderio (poesia elegiaca) e desiderio della parola (poesia di lode), si può verificare se e in che misura essa, non solo sia cifra dell’imitazione del modello esibita dai petrarchisti sulla soglia dei loro canzonieri o libri di rime, ma svolga anche, in quella postazione liminare, una funzione marcatrice rispetto all’opzione fondamentale tra l’una e l’altra forma di canto. La verifica, dall’esito confortante (e soprattutto interessante per i quindici primi testi del primo degli Amorum libri tres), viene dunque eseguita su un campione di testi proemiali tratti dalle raccolte di alcuni famosi petrarchisti (Cariteo, Giusto de’ Conti, Bernardo Tasso, Della Casa, Bembo e appunto Boiardo).
2000
8871665503
Per Domenico De Robertis. Studi offerti dagli allievi fiorentini, a cura di I. Becherucci, S. Giusti, N. Tonelli
305
344
C. Molinari
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/243621
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact