Nell'alveo della chiamata in garanzia di cui all'art. 106 cod. proc. civ., da sempre, sono riportate numerose fattispecie giuridiche; tuttavia per molti anni, la giurisprudenza ha ritenuto che ai fini della determinazione della disciplina processuale, fosse dirimente la distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria ritenendo che solo al primo gruppo di ipotesi fossero applicabili gli art. 32 cod. proc. civ., in tema di cumulo di domande anche in deroga ai criteri originari di competenza e 108 cod. proc. civ. in tema di estromissione del garantito. Alla nozione di garanzia propria sono in genere riportati i casi di garanzia da trasferimento di diritti e garanzia da vincoli di coobbligazione; alla nozione di garanzia impropria, invece, le ipotesi di assicurazione contro la responsabilità civile e le vendite a catena (e più in generale i subcontratti). Il criterio discretivo sulla cui base, tradizionalmente, la giurisprudenza organizza la distinzione tra garanzia propria e impropria è quello secondo cui solo con riferimento alla prima tra la domanda principale e la domanda di garanzia vi sarebbe la identità o la connessione obiettiva dei titoli, mentre invece negli altri casi si avrebbero dei rapporti autonomi l'uno dall'altro seppur legati da nesso economico. Altrove, la giurisprudenza ha invocato criteri ulteriori, affermando ad esempio che solo nella garanzia propria "la legge disciplinatrice dei rapporti preveda un collegamento tra la posizione vantata dall'attore e quella del terzo chiamato in garanzia di guisa che la partecipazione del terzo al giudizio instaurato dall'attore possa ricondursi ad una previsione normativa". Invero, nessuno dei criteri invocati è idoneo a supportare la contrapposizione tra garanzia propria e impropria. Quanto al primo, probabilmente è il portato di una reminiscenza storica di quella vecchia teoria chiovendiana degli elementi di identificazione dell'azione che per titolo intendeva il rapporto giuridico tra le parti di guisa che nel tratteggiare la nozione di garanzia, si intendeva alludere alla esistenza o meno di un legame tra i rapporti giuridici posti a fondamento rispettivamente della domanda principale e della domanda di garanzia. Infatti, l'analisi della disciplina sostanziale delle fattispecie che sul piano processuale danno luogo a questa particolare specie di intervento del terzo su istanza di parte, rivela che si tratta di figure che esibiscono la medesima struttura ovvero una forma di connessione per pregiudizialità dipendenza. Quanto al secondo, basti rilevare che se inteso alla lettera, rischia di espungere dalla nozione di garanzia propria la fattispecie che sul piano storico ha dato vita all'istituto processuale in esame e cioè la garanzia per evizione, è chiaro infatti che, detto A il terzo evincente, B il compratore e C l'originario venditore, normalmente tra A e C non intercorre alcuna relazione giuridica. Senza contare il fatto che, potenzialmente, è idoneo a farvi rientrare la fattispecie simbolo della garanzia impropria ovvero la garanzia per i vizi (dunque le vendite a catena) almeno nei casi rientranti nella previsione dell'art. 1519 quinquies cod. civ. che, in materia di vendita di beni consumo, contempla la possibilità per il venditore finale convenuto in giudizio dal consumatore, di chiamare in garanzia il dante causa responsabile della mancata conformità del bene là dove si dice che "il venditore finale, quando è responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un'azione o ad un'omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, ha diritto di regresso, salvo patto contrario o rinuncia, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva".

Notizie buone, cattive e pessime in tema di chiamata in garanzia / B. Gambineri. - In: IL FORO ITALIANO. - ISSN 0015-783X. - STAMPA. - fasc. 9, parte I:(2005), pp. 2387-2389.

Notizie buone, cattive e pessime in tema di chiamata in garanzia

GAMBINERI, BEATRICE
2005

Abstract

Nell'alveo della chiamata in garanzia di cui all'art. 106 cod. proc. civ., da sempre, sono riportate numerose fattispecie giuridiche; tuttavia per molti anni, la giurisprudenza ha ritenuto che ai fini della determinazione della disciplina processuale, fosse dirimente la distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria ritenendo che solo al primo gruppo di ipotesi fossero applicabili gli art. 32 cod. proc. civ., in tema di cumulo di domande anche in deroga ai criteri originari di competenza e 108 cod. proc. civ. in tema di estromissione del garantito. Alla nozione di garanzia propria sono in genere riportati i casi di garanzia da trasferimento di diritti e garanzia da vincoli di coobbligazione; alla nozione di garanzia impropria, invece, le ipotesi di assicurazione contro la responsabilità civile e le vendite a catena (e più in generale i subcontratti). Il criterio discretivo sulla cui base, tradizionalmente, la giurisprudenza organizza la distinzione tra garanzia propria e impropria è quello secondo cui solo con riferimento alla prima tra la domanda principale e la domanda di garanzia vi sarebbe la identità o la connessione obiettiva dei titoli, mentre invece negli altri casi si avrebbero dei rapporti autonomi l'uno dall'altro seppur legati da nesso economico. Altrove, la giurisprudenza ha invocato criteri ulteriori, affermando ad esempio che solo nella garanzia propria "la legge disciplinatrice dei rapporti preveda un collegamento tra la posizione vantata dall'attore e quella del terzo chiamato in garanzia di guisa che la partecipazione del terzo al giudizio instaurato dall'attore possa ricondursi ad una previsione normativa". Invero, nessuno dei criteri invocati è idoneo a supportare la contrapposizione tra garanzia propria e impropria. Quanto al primo, probabilmente è il portato di una reminiscenza storica di quella vecchia teoria chiovendiana degli elementi di identificazione dell'azione che per titolo intendeva il rapporto giuridico tra le parti di guisa che nel tratteggiare la nozione di garanzia, si intendeva alludere alla esistenza o meno di un legame tra i rapporti giuridici posti a fondamento rispettivamente della domanda principale e della domanda di garanzia. Infatti, l'analisi della disciplina sostanziale delle fattispecie che sul piano processuale danno luogo a questa particolare specie di intervento del terzo su istanza di parte, rivela che si tratta di figure che esibiscono la medesima struttura ovvero una forma di connessione per pregiudizialità dipendenza. Quanto al secondo, basti rilevare che se inteso alla lettera, rischia di espungere dalla nozione di garanzia propria la fattispecie che sul piano storico ha dato vita all'istituto processuale in esame e cioè la garanzia per evizione, è chiaro infatti che, detto A il terzo evincente, B il compratore e C l'originario venditore, normalmente tra A e C non intercorre alcuna relazione giuridica. Senza contare il fatto che, potenzialmente, è idoneo a farvi rientrare la fattispecie simbolo della garanzia impropria ovvero la garanzia per i vizi (dunque le vendite a catena) almeno nei casi rientranti nella previsione dell'art. 1519 quinquies cod. civ. che, in materia di vendita di beni consumo, contempla la possibilità per il venditore finale convenuto in giudizio dal consumatore, di chiamare in garanzia il dante causa responsabile della mancata conformità del bene là dove si dice che "il venditore finale, quando è responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un'azione o ad un'omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, ha diritto di regresso, salvo patto contrario o rinuncia, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva".
2005
fasc. 9, parte I
2387
2389
B. Gambineri
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