La denuncia di lite non trova espressa menzione nella legge processuale attualmente vigente; eppure la dottrina (seguita talvolta dalla giurisprudenza) continua ad indicarla come uno degli istituti deputati alla formazione successiva del litisconsorzio accanto agli interventi e alla riunione delle cause separatamente proposte. In assenza di una esplicita previsione normativa, la sussistenza della figura in esame è generalmente tratta dal disposto dell'art. 1485 cod. civ., nella parte in cui afferma che "il compratore convenuto da un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa venduta, deve chiamare in causa il venditore", in uno con gli artt. 1586 in materia di locazione e 1777 cod. civ. in tema di deposito. Sul piano processuale, queste due ultime disposizioni danno vita a figure di chiamata in causa del terzo mediante proposizione di domande connesse a quella originaria per identità di petitum o di causa petendi e petitum oppure a forme di vera e propria chiamata in garanzia per cui vanno senz'altro collocate nell'ambito applicativo dell'art. 106 cod. proc. civ. D'altraparte anche la previsione espressa all'art. 1485 cod. civ., deve ormai ritenersi assorbita nella più generale previsione dell'art. 106 cod. proc. civ., trattanosi di un esempio di chiamata in causa del terzo titolare di un diritto connesso per pregiudizialità dipendenza. In particolare, gli art. 1586 e 1777 contengono una lunga serie di previsioni: 1) in primo luogo, entrambe contemplano una sorta di obbligo sostanziale di avviso facente capo al conduttore e al depositario, convenuti in giudizio, a favore evidentemente del locatore e del depositario (artt. 1586, comma primo; art. 1777, comma secondo cod. civ.). L'analisi delle disposizioni conferma che si tratta di obblighi sostanziali: infatti il detentore del bene altrui che non adempie si espone alle conseguenze di un'eventuale responsabilità per la perdita o il danneggiamento della cosa dovuta a fatto del terzo. 2) In secondo luogo, entrambe le disposizioni contemplano la cosiddetta laudatio auctoris identificata con il meccanismo messo a punto dalla seconda parte del secondo comma dell'art. 1586 e ripetuto all'art. 1777, comma secondo cod. civ., e cioè con la possibilità per il conduttore e il depositario convenuti da soli in giudizio di nominare rispettivamente il locatore e il depositante al fine di essere estromessi. Sul punto, merita ricordare che secondo la dottrina civilistica questa disciplina si applica a tutti i casi di detenzione alieno nomine di un bene e quindi ben oltre i confini della locazione e del deposito. In tale prospettiva, si può dire, facendo leva sui risultati conseguiti dall'analisi svolta con riferimento precipuo agli artt. 1586 e 1777 cod. civ., che in tutti i casi in cui taluno concede ad altri la detenzione materiale di un bene, si produce una situazione tale per cui il terzo che si ritiene proprietario o titolare di altro diritto reale sul medesimo, è libero di convenire in giudizio o l'uno o l'altro, essendo chiaro che vuoi il possessore mediato vuoi il detentore alieno nomine sono forniti di legittimazione passiva rispetto a tali azioni. Nel caso in cui l'azione sia rivolta contro chi detiene materialmente il bene, è opportuno tenere distinti il rapporto esterno terzo rivendicante da una parte e possessore detentore dall'altra parte; dal rapporto interno possessore - detentore del bene. Con riferimento al primo dei profili indicati, si ha che il detentore convenuto in giudizio, giusta il disposto di cui agli artt. 1586, comma secondo e 1777, comma secondo cod. civ., può ottenere di essere stromesso dal giudizio indicando iln nome di colui che possiede il bene. Dal che appare che la indicazione dell'autore o laudatio auctoris è posta in funzione dell'estromissione dal giudizio. Da questo rilievo, e ragionando sui principi che governano l'estromissione di una parte dal giudizio, si è fissato il principio secondo cui ai fini dell'estromissione dal giudizio dell'originario convenuto, è necessario che abbia luogo l'intervento in causa del terzo nel cui nome questi detiene il bene. Per tale via, si è ammesso che, a fronte dell'affermazione dell'originario convenuto di detenere la cosa in nome di altri, l'attore è senz'altro legittimato a chiamare in causa quest'altro soggetto in modo da estendere anche a lui l'accertamento del proprio diritto. E così si è delineata una peculiare figura di intervento del terzo su istanza di parte: e cioè la chiamata in causa del possessore mediato del bene controverso la quale si attua mediante la proposizione di una domanda connessa a quella originaria per identità di petitum e causa petendi. Passando all'analisi dei rapporti interni possessore-detentore alieno nomine del bene, se si accetta di generalizzare i risultati conseguiti nel corso dell'indagine svolta, occorre dare rilievo alla differenza corrente tra le ipotesi, come la locazione, in cui il potere di fatto esercitato da chi detiene il bene corrisponde all'esercizio di un diritto acquistato in base ad un apposito titolo negoziale, per cui si parla di detenzione svolta nel proprio interesse, ed i casi, come il deposito, in cui il detentore non è titolare di alcun diritto sul bene per cui si parla di detenzione svolta nell'altrui interesse. Nei casi di detenzione svolta nel proprio interesse, si è partiti dalla considerazione che la soccombenza nel giudizio promosso dal terzo rivendicante, incidendo sul diritto di godimento spettante al detentore, è fonte di responsabilità per il possessore del bene e cioè per colui che ha concesso il bene in godimento. Al detentore si è così riconosciuto il diritto di essere rilevato dalla diminuzione di godimento conseguente all'affermata esistenza del diritto del molestante e perciò lo si è ammesso a chiamare in garanzia il proprio dante causa ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 106, seconda parte cod. proc. civ. Nei casi invece di detenzione nell'altrui interesse, il detentore non solo non è titolare di alcun diritto sul bene, ma è tenuto a custodirlo e a restituirlo a colui che glielo ha affidato; per questo ove il detentore sia convenuto in giudizio da chi vuole ottenere la consegna del bene, si è ritenuto ammetterlo a chiamare in causa il possessore quale terzo pretendente alla prestazione di consegna del bene. Ed anche in questo caso, si ricade sicuramente nell'ambito applicativo dell'art. 106 cod. proc. civ., essendo evidente che l'intervento del terzo pretendente avviene sempre mediante la proposizione di una domanda connessa per identità di petitum a quella originaria.

La denuncia di lite nelle fattispecie di possesso in nome altrui / B. Gambineri. - In: RIVISTA DI DIRITTO CIVILE. - ISSN 0035-6093. - STAMPA. - fasc. 4, parte II:(2002), pp. 521-566.

La denuncia di lite nelle fattispecie di possesso in nome altrui

GAMBINERI, BEATRICE
2002

Abstract

La denuncia di lite non trova espressa menzione nella legge processuale attualmente vigente; eppure la dottrina (seguita talvolta dalla giurisprudenza) continua ad indicarla come uno degli istituti deputati alla formazione successiva del litisconsorzio accanto agli interventi e alla riunione delle cause separatamente proposte. In assenza di una esplicita previsione normativa, la sussistenza della figura in esame è generalmente tratta dal disposto dell'art. 1485 cod. civ., nella parte in cui afferma che "il compratore convenuto da un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa venduta, deve chiamare in causa il venditore", in uno con gli artt. 1586 in materia di locazione e 1777 cod. civ. in tema di deposito. Sul piano processuale, queste due ultime disposizioni danno vita a figure di chiamata in causa del terzo mediante proposizione di domande connesse a quella originaria per identità di petitum o di causa petendi e petitum oppure a forme di vera e propria chiamata in garanzia per cui vanno senz'altro collocate nell'ambito applicativo dell'art. 106 cod. proc. civ. D'altraparte anche la previsione espressa all'art. 1485 cod. civ., deve ormai ritenersi assorbita nella più generale previsione dell'art. 106 cod. proc. civ., trattanosi di un esempio di chiamata in causa del terzo titolare di un diritto connesso per pregiudizialità dipendenza. In particolare, gli art. 1586 e 1777 contengono una lunga serie di previsioni: 1) in primo luogo, entrambe contemplano una sorta di obbligo sostanziale di avviso facente capo al conduttore e al depositario, convenuti in giudizio, a favore evidentemente del locatore e del depositario (artt. 1586, comma primo; art. 1777, comma secondo cod. civ.). L'analisi delle disposizioni conferma che si tratta di obblighi sostanziali: infatti il detentore del bene altrui che non adempie si espone alle conseguenze di un'eventuale responsabilità per la perdita o il danneggiamento della cosa dovuta a fatto del terzo. 2) In secondo luogo, entrambe le disposizioni contemplano la cosiddetta laudatio auctoris identificata con il meccanismo messo a punto dalla seconda parte del secondo comma dell'art. 1586 e ripetuto all'art. 1777, comma secondo cod. civ., e cioè con la possibilità per il conduttore e il depositario convenuti da soli in giudizio di nominare rispettivamente il locatore e il depositante al fine di essere estromessi. Sul punto, merita ricordare che secondo la dottrina civilistica questa disciplina si applica a tutti i casi di detenzione alieno nomine di un bene e quindi ben oltre i confini della locazione e del deposito. In tale prospettiva, si può dire, facendo leva sui risultati conseguiti dall'analisi svolta con riferimento precipuo agli artt. 1586 e 1777 cod. civ., che in tutti i casi in cui taluno concede ad altri la detenzione materiale di un bene, si produce una situazione tale per cui il terzo che si ritiene proprietario o titolare di altro diritto reale sul medesimo, è libero di convenire in giudizio o l'uno o l'altro, essendo chiaro che vuoi il possessore mediato vuoi il detentore alieno nomine sono forniti di legittimazione passiva rispetto a tali azioni. Nel caso in cui l'azione sia rivolta contro chi detiene materialmente il bene, è opportuno tenere distinti il rapporto esterno terzo rivendicante da una parte e possessore detentore dall'altra parte; dal rapporto interno possessore - detentore del bene. Con riferimento al primo dei profili indicati, si ha che il detentore convenuto in giudizio, giusta il disposto di cui agli artt. 1586, comma secondo e 1777, comma secondo cod. civ., può ottenere di essere stromesso dal giudizio indicando iln nome di colui che possiede il bene. Dal che appare che la indicazione dell'autore o laudatio auctoris è posta in funzione dell'estromissione dal giudizio. Da questo rilievo, e ragionando sui principi che governano l'estromissione di una parte dal giudizio, si è fissato il principio secondo cui ai fini dell'estromissione dal giudizio dell'originario convenuto, è necessario che abbia luogo l'intervento in causa del terzo nel cui nome questi detiene il bene. Per tale via, si è ammesso che, a fronte dell'affermazione dell'originario convenuto di detenere la cosa in nome di altri, l'attore è senz'altro legittimato a chiamare in causa quest'altro soggetto in modo da estendere anche a lui l'accertamento del proprio diritto. E così si è delineata una peculiare figura di intervento del terzo su istanza di parte: e cioè la chiamata in causa del possessore mediato del bene controverso la quale si attua mediante la proposizione di una domanda connessa a quella originaria per identità di petitum e causa petendi. Passando all'analisi dei rapporti interni possessore-detentore alieno nomine del bene, se si accetta di generalizzare i risultati conseguiti nel corso dell'indagine svolta, occorre dare rilievo alla differenza corrente tra le ipotesi, come la locazione, in cui il potere di fatto esercitato da chi detiene il bene corrisponde all'esercizio di un diritto acquistato in base ad un apposito titolo negoziale, per cui si parla di detenzione svolta nel proprio interesse, ed i casi, come il deposito, in cui il detentore non è titolare di alcun diritto sul bene per cui si parla di detenzione svolta nell'altrui interesse. Nei casi di detenzione svolta nel proprio interesse, si è partiti dalla considerazione che la soccombenza nel giudizio promosso dal terzo rivendicante, incidendo sul diritto di godimento spettante al detentore, è fonte di responsabilità per il possessore del bene e cioè per colui che ha concesso il bene in godimento. Al detentore si è così riconosciuto il diritto di essere rilevato dalla diminuzione di godimento conseguente all'affermata esistenza del diritto del molestante e perciò lo si è ammesso a chiamare in garanzia il proprio dante causa ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 106, seconda parte cod. proc. civ. Nei casi invece di detenzione nell'altrui interesse, il detentore non solo non è titolare di alcun diritto sul bene, ma è tenuto a custodirlo e a restituirlo a colui che glielo ha affidato; per questo ove il detentore sia convenuto in giudizio da chi vuole ottenere la consegna del bene, si è ritenuto ammetterlo a chiamare in causa il possessore quale terzo pretendente alla prestazione di consegna del bene. Ed anche in questo caso, si ricade sicuramente nell'ambito applicativo dell'art. 106 cod. proc. civ., essendo evidente che l'intervento del terzo pretendente avviene sempre mediante la proposizione di una domanda connessa per identità di petitum a quella originaria.
2002
fasc. 4, parte II
521
566
B. Gambineri
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