Il saggio muove dal contrasto che sembra emergere dai sensi di “progetto” e di “norma”, in quanto quest’ultima è volontà di condizionare la libertà di usare la tecnica, che il progettare pone quale mezzo per realizzare scopi liberamente scelti. Ciò nondimeno, i due sensi si implicano a vicenda, perché ogni progetto costruisce regole dell’agire in vista del proprio specifico fine. Sicché. Dal punto di vista del progetto, la norma è un mezzo. Dal punto di vista della norma è il progetto a dover svolgere una funzione strumentale. Il conflitto non si mostra, solo se si pensa che a fondamento della norma vi sia uno scopo che non è posto dalla volontà, ma ha in sé stesso la potenza necessaria a imporsi sulla molteplicità dell’agire individuale e sociale. In Occidente è il pensiero greco che ha dato basi razionali al fondamento della norma in senso etico in quanto ha postulato una dimensione eterna della realtà al di sopra di quella sensibile. Ma ha anche inteso mostrare il fondamento della tecnica, dunque del progettare, creare, produrre, evocando un senso assoluto del divenire – oggi comune, ma allora inaudito – consistente nell’uscire e nel ritornare nel niente delle cose sensibili. Il saggio richiama i tratti essenziali di quel pensiero greco, indica schematicamente l’incoerenza in cui resta avvolto, messa in luce dal pensiero contemporaneo che, per coerenza al divenire, nega qualsiasi realtà immutabile. Fa riferimento a quelle speculazioni filosofiche contemporanee dalle quali emerge la tendenza dell’appartato scientifico tecnologico del nostro tempo, ossia della tecnica, a rovesciarsi da mezzo in scopo di ogni progetto etico. Alla luce di questa logica, interpreta, a titolo d’esempio, alcuni tratti del pensiero di autori come L. B. Alberti, I. Cerdá, Le Corbusier, H. Bernoulli, G. Cullen. In chiusura indica in che senso quell’atto normativo che si usa chiamare “piano urbanistico” non sia strumento per realizzare l’ordine urbano posto da una determinata etica pubblica, ma scopo di molteplici attori, dove ciascuno, in competizione con altri, persegue l’ottenimento della posizione di diritto giuridica più utile, in quel momento, al proprio particolare fine.
Sul fondamento del progettare e l'infondatezza della norma / F. Ventura. - STAMPA. - (2008), pp. 101-133.
Sul fondamento del progettare e l'infondatezza della norma
VENTURA, FRANCESCO
2008
Abstract
Il saggio muove dal contrasto che sembra emergere dai sensi di “progetto” e di “norma”, in quanto quest’ultima è volontà di condizionare la libertà di usare la tecnica, che il progettare pone quale mezzo per realizzare scopi liberamente scelti. Ciò nondimeno, i due sensi si implicano a vicenda, perché ogni progetto costruisce regole dell’agire in vista del proprio specifico fine. Sicché. Dal punto di vista del progetto, la norma è un mezzo. Dal punto di vista della norma è il progetto a dover svolgere una funzione strumentale. Il conflitto non si mostra, solo se si pensa che a fondamento della norma vi sia uno scopo che non è posto dalla volontà, ma ha in sé stesso la potenza necessaria a imporsi sulla molteplicità dell’agire individuale e sociale. In Occidente è il pensiero greco che ha dato basi razionali al fondamento della norma in senso etico in quanto ha postulato una dimensione eterna della realtà al di sopra di quella sensibile. Ma ha anche inteso mostrare il fondamento della tecnica, dunque del progettare, creare, produrre, evocando un senso assoluto del divenire – oggi comune, ma allora inaudito – consistente nell’uscire e nel ritornare nel niente delle cose sensibili. Il saggio richiama i tratti essenziali di quel pensiero greco, indica schematicamente l’incoerenza in cui resta avvolto, messa in luce dal pensiero contemporaneo che, per coerenza al divenire, nega qualsiasi realtà immutabile. Fa riferimento a quelle speculazioni filosofiche contemporanee dalle quali emerge la tendenza dell’appartato scientifico tecnologico del nostro tempo, ossia della tecnica, a rovesciarsi da mezzo in scopo di ogni progetto etico. Alla luce di questa logica, interpreta, a titolo d’esempio, alcuni tratti del pensiero di autori come L. B. Alberti, I. Cerdá, Le Corbusier, H. Bernoulli, G. Cullen. In chiusura indica in che senso quell’atto normativo che si usa chiamare “piano urbanistico” non sia strumento per realizzare l’ordine urbano posto da una determinata etica pubblica, ma scopo di molteplici attori, dove ciascuno, in competizione con altri, persegue l’ottenimento della posizione di diritto giuridica più utile, in quel momento, al proprio particolare fine.File | Dimensione | Formato | |
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