Il principio di precauzione costituisce un criterio di politica legislativa. Si discute oggi se esso possa avere, inoltre, anche una rilevanza nella dogmatica penale. Lo studio, dopo un’ampia disamina dell’identità filosofica e giuridica del principio di precauzione, si concentra sulle tesi che assegnano a detto principio una significativa incidenza nell’ambito della colpa. La questione viene impostata muovendo dalla previa messa a fuoco dei destinatari del principio di precauzione, individuati soprattutto nelle istituzioni, più che direttamente nei singoli cittadini, per i quali risulta dubbio che il principio di precauzione possa gemmare autentiche regole di condotta individuale. Diversamente ragionando, infatti, si finirebbe per ipostatizzare un generale, ma fatalmente generico, dovere di diligenza di tipo precauzionale, con la conseguenza di scaricare su singoli cittadini decisioni in situazioni di incertezza scientifica certamente complesse, le quali, proprio per questa ragione, dovrebbero competere principalmente alle istituzioni e non agli operatori privati, nemmeno quando questi ultimi siano soggetti economicamente forti e, come tali, in grado di affrontare il costo economico di un’approfondita attività istruttoria. In particolare, lo studio avversa il tentativo di affiancare alla colpa per violazione di regole cautelari di natura scientifico-esperienziali, una nuova ipotesi di colpa generica fondata sull’inosservanza di regole precauzionali ispirate all’omonimo principio, la quale si presterebbe a camuffare per regola cautelare preesistente la norma di condotta che si staglia “a posteriori” alla stregua dello ius superveniens fondato sulla nuova acquisizione scientifica. Così opinando, si trascura tra l’altro, che mentre la causalità si fonda su una spiegazione scientifica del tutto svincolata dalla dimensione deontica della regola di condotta, la norma cautelare si collega a eventi necessariamente prevedibili al momento della sua doverosità, con la conseguenza che una legge causale non ancora nota può essere oggetto di ipotesi, non di prevedibilità: può rilevare come parametro di accertamento del nesso eziologico, secondo la fisiologia dell’accertamento postumo, ma non può dar corpo retroattivamente a una cautela penalmente rilevante. In breve: l’innesto del principio di precauzione nella colpa ne sovvertirebbe l’essenza dogmatica e la funzione politico-criminale, posto che la prevedibilità dell’evento, caratteristica della colpa secondo le elaborazioni correnti, è irriducibilmente diversa dalla mera congettura di pericolosità che la scienza non può né fondare, né smentire. L’una consiste in una valutazione di verosimiglianza, l’altra si risolve in uno dei tanti giudizi di non impossibilità che si possono formulare in situazioni di incertezza. Tra la sponda della verosimiglianza e quella della non impossibilità non vi sono ponti, ma un rapporto di radicale alterità. Diversamente ragionando si finirebbe per chiedere all’operatore, sotto la minaccia di pena, di superare lo stallo di conoscenze scientifiche, ossia gli si imporrebbe di farsi, se non primo attore, almeno mecenate della ricerca scientifica, promuovendo e delegando appositi approfondimenti scientifici. Lo studio conclude teorizzando che, in situazioni di incertezza scientifica, la strada maestra deve passare per il potenziamento di reati di pericolo astratto, il cui utilizzo al servizio del principio di precauzione, benché non immune da riserve e fondate preoccupazioni, non è nuovo, come testimonia la tipizzazione di reati ambientali su valori-soglia scientificamente inattendibili in quanto ispirati, per l’appunto, alla logica della massima cautela di fronte all’incerto.

Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione / F. Giunta. - In: CRIMINALIA. - ISSN 1972-3857. - STAMPA. - 1:(2006), pp. 227-247.

Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione

GIUNTA, FAUSTO BIAGIO
2006

Abstract

Il principio di precauzione costituisce un criterio di politica legislativa. Si discute oggi se esso possa avere, inoltre, anche una rilevanza nella dogmatica penale. Lo studio, dopo un’ampia disamina dell’identità filosofica e giuridica del principio di precauzione, si concentra sulle tesi che assegnano a detto principio una significativa incidenza nell’ambito della colpa. La questione viene impostata muovendo dalla previa messa a fuoco dei destinatari del principio di precauzione, individuati soprattutto nelle istituzioni, più che direttamente nei singoli cittadini, per i quali risulta dubbio che il principio di precauzione possa gemmare autentiche regole di condotta individuale. Diversamente ragionando, infatti, si finirebbe per ipostatizzare un generale, ma fatalmente generico, dovere di diligenza di tipo precauzionale, con la conseguenza di scaricare su singoli cittadini decisioni in situazioni di incertezza scientifica certamente complesse, le quali, proprio per questa ragione, dovrebbero competere principalmente alle istituzioni e non agli operatori privati, nemmeno quando questi ultimi siano soggetti economicamente forti e, come tali, in grado di affrontare il costo economico di un’approfondita attività istruttoria. In particolare, lo studio avversa il tentativo di affiancare alla colpa per violazione di regole cautelari di natura scientifico-esperienziali, una nuova ipotesi di colpa generica fondata sull’inosservanza di regole precauzionali ispirate all’omonimo principio, la quale si presterebbe a camuffare per regola cautelare preesistente la norma di condotta che si staglia “a posteriori” alla stregua dello ius superveniens fondato sulla nuova acquisizione scientifica. Così opinando, si trascura tra l’altro, che mentre la causalità si fonda su una spiegazione scientifica del tutto svincolata dalla dimensione deontica della regola di condotta, la norma cautelare si collega a eventi necessariamente prevedibili al momento della sua doverosità, con la conseguenza che una legge causale non ancora nota può essere oggetto di ipotesi, non di prevedibilità: può rilevare come parametro di accertamento del nesso eziologico, secondo la fisiologia dell’accertamento postumo, ma non può dar corpo retroattivamente a una cautela penalmente rilevante. In breve: l’innesto del principio di precauzione nella colpa ne sovvertirebbe l’essenza dogmatica e la funzione politico-criminale, posto che la prevedibilità dell’evento, caratteristica della colpa secondo le elaborazioni correnti, è irriducibilmente diversa dalla mera congettura di pericolosità che la scienza non può né fondare, né smentire. L’una consiste in una valutazione di verosimiglianza, l’altra si risolve in uno dei tanti giudizi di non impossibilità che si possono formulare in situazioni di incertezza. Tra la sponda della verosimiglianza e quella della non impossibilità non vi sono ponti, ma un rapporto di radicale alterità. Diversamente ragionando si finirebbe per chiedere all’operatore, sotto la minaccia di pena, di superare lo stallo di conoscenze scientifiche, ossia gli si imporrebbe di farsi, se non primo attore, almeno mecenate della ricerca scientifica, promuovendo e delegando appositi approfondimenti scientifici. Lo studio conclude teorizzando che, in situazioni di incertezza scientifica, la strada maestra deve passare per il potenziamento di reati di pericolo astratto, il cui utilizzo al servizio del principio di precauzione, benché non immune da riserve e fondate preoccupazioni, non è nuovo, come testimonia la tipizzazione di reati ambientali su valori-soglia scientificamente inattendibili in quanto ispirati, per l’appunto, alla logica della massima cautela di fronte all’incerto.
2006
1
227
247
F. Giunta
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