Il DNA rilasciato nel suolo da piante, animali e microrganismi può interagire con i minerali argillosi e/o con le sostanze umiche per formare complessi stabili dove il DNA extracellulare è protetto dalla degradazione enzimatica operata dalle nucleasi. Il DNA extracellulare in questi complessi può essere disponibile per la trasformazione di cellule batteriche competenti, permettendo così la diffusione delle informazioni genetiche nel suolo. Tuttavia, sebbene sia stata accertata una sua resistenza alla degradazione, non è ancora ben chiaro quanto a lungo il DNA extracellulare possa risiedere nel suolo. A questo proposito, da un profilo di suolo forestale, il DNA extracellulare è stato estratto e purificato utilizzando due procedure diverse: 1) lavaggi con fenolo-cloroformio e cloroformio-alcool isoamilico (dirty-DNA) e 2) un metodo che prevede anche l’uso di resine, appositamente messo a punto (clean-DNA). Per confronto sono stati estratti e purificati anche la sostanza organica ed il DNA totale dagli orizzonti del profilo. Tutti i campioni sono stati caratterizzati per la loro abbondanza naturale di 13C e 14C (13C e 14C) e per il loro tempo medio di residenza nel suolo. L’efficienza dei due metodi di purificazione, e quindi il grado di purezza dei due DNA extracellulari (dirty e clean), è stata verificata tramite analisi spettrofotometrica (A260/A280) e tramite PCR. Questi metodi utilizzati per stimare la purezza del DNA non hanno mostrato una grande sensibilità, anche se il DNA “clean” è risultato tendenzialmente più puro. A questo proposito i risultati ottenuti tramite le analisi isotopiche sono risultati molto più chiari. Infatti il DNA extracellulare “dirty” è risultato fortemente contaminato dalla sostanza organica mostrando signatures isotopiche praticamente sovrapponibili a quelle della sostanza organica stessa. Al contrario, il DNA “clean” ha prodotto 13C e 14C molto diversi da quelli della sostanza organica e del DNA “dirty”. Il DNA totale ha mostrato a sua volta la minor un’abbondanza naturale in 13C. Le datazioni ottenute tramite le misure di abbondanza naturale di radiocarbonio hanno confermato la contaminazione tra SOM e DNA extracellulare “dirty”, mentre hanno fornito un’età intorno ai 30000 anni per il DNA extracellulare “clean”. Questa elevata persistenza del DNA extracellulare nel suolo è difficilmente spiegabile in un ambiente non estremo anche confrontando i nostri dati con quelli pubblicati fino ad oggi. In ogni modo, questo è il primo studio condotto utilizzando tecniche isotopiche su tutto il pool di DNA extracellulare del suolo e non solo su una specifica sequenza bersaglio tramite PCR. Un’altra ipotesi che possa giustificare una così bassa abbondanza naturale in isotopi pesanti del C nel DNA totale ed extracellulare “clean” è quella di una forte discriminazione isotopica durante la sintesi del DNA da parte dei microrganismi. In conclusione, i risultati hanno indicato che le procedure di purificazione possono influenzare le signatures isotopiche del DNA estratto dal suolo. Inoltre la determinazione del rapporto A260/A280 e l’amplificazione tramite PCR non sembrano in grado di dare un responso conclusivo sulla purezza degli estratti. Per quanto riguarda la persistenza del DNA extracellulare nel suolo, i risultati delle analisi isotopiche vanno in due direzioni: 1) un’estrema longevità e/o 2) la possibilità di una forte discriminazione isotopica nella sintesi del DNA.

Signature isotopica (13C, 14C) e persistenza del DNA extracellulare nel suolo / A. Agnelli; J. Ascher; MT. Ceccherini; G. Pietramellara; P. Nannipieri; S.E. Trumbore. - STAMPA. - (2005), pp. 121-128. (Intervento presentato al convegno Società Italiana di Chimica Agraria tenutosi a Torino nel 20-23 settembre).

Signature isotopica (13C, 14C) e persistenza del DNA extracellulare nel suolo

ASCHER, JUDITH;CECCHERINI, MARIA TERESA;PIETRAMELLARA, GIACOMO;NANNIPIERI, PAOLO;
2005

Abstract

Il DNA rilasciato nel suolo da piante, animali e microrganismi può interagire con i minerali argillosi e/o con le sostanze umiche per formare complessi stabili dove il DNA extracellulare è protetto dalla degradazione enzimatica operata dalle nucleasi. Il DNA extracellulare in questi complessi può essere disponibile per la trasformazione di cellule batteriche competenti, permettendo così la diffusione delle informazioni genetiche nel suolo. Tuttavia, sebbene sia stata accertata una sua resistenza alla degradazione, non è ancora ben chiaro quanto a lungo il DNA extracellulare possa risiedere nel suolo. A questo proposito, da un profilo di suolo forestale, il DNA extracellulare è stato estratto e purificato utilizzando due procedure diverse: 1) lavaggi con fenolo-cloroformio e cloroformio-alcool isoamilico (dirty-DNA) e 2) un metodo che prevede anche l’uso di resine, appositamente messo a punto (clean-DNA). Per confronto sono stati estratti e purificati anche la sostanza organica ed il DNA totale dagli orizzonti del profilo. Tutti i campioni sono stati caratterizzati per la loro abbondanza naturale di 13C e 14C (13C e 14C) e per il loro tempo medio di residenza nel suolo. L’efficienza dei due metodi di purificazione, e quindi il grado di purezza dei due DNA extracellulari (dirty e clean), è stata verificata tramite analisi spettrofotometrica (A260/A280) e tramite PCR. Questi metodi utilizzati per stimare la purezza del DNA non hanno mostrato una grande sensibilità, anche se il DNA “clean” è risultato tendenzialmente più puro. A questo proposito i risultati ottenuti tramite le analisi isotopiche sono risultati molto più chiari. Infatti il DNA extracellulare “dirty” è risultato fortemente contaminato dalla sostanza organica mostrando signatures isotopiche praticamente sovrapponibili a quelle della sostanza organica stessa. Al contrario, il DNA “clean” ha prodotto 13C e 14C molto diversi da quelli della sostanza organica e del DNA “dirty”. Il DNA totale ha mostrato a sua volta la minor un’abbondanza naturale in 13C. Le datazioni ottenute tramite le misure di abbondanza naturale di radiocarbonio hanno confermato la contaminazione tra SOM e DNA extracellulare “dirty”, mentre hanno fornito un’età intorno ai 30000 anni per il DNA extracellulare “clean”. Questa elevata persistenza del DNA extracellulare nel suolo è difficilmente spiegabile in un ambiente non estremo anche confrontando i nostri dati con quelli pubblicati fino ad oggi. In ogni modo, questo è il primo studio condotto utilizzando tecniche isotopiche su tutto il pool di DNA extracellulare del suolo e non solo su una specifica sequenza bersaglio tramite PCR. Un’altra ipotesi che possa giustificare una così bassa abbondanza naturale in isotopi pesanti del C nel DNA totale ed extracellulare “clean” è quella di una forte discriminazione isotopica durante la sintesi del DNA da parte dei microrganismi. In conclusione, i risultati hanno indicato che le procedure di purificazione possono influenzare le signatures isotopiche del DNA estratto dal suolo. Inoltre la determinazione del rapporto A260/A280 e l’amplificazione tramite PCR non sembrano in grado di dare un responso conclusivo sulla purezza degli estratti. Per quanto riguarda la persistenza del DNA extracellulare nel suolo, i risultati delle analisi isotopiche vanno in due direzioni: 1) un’estrema longevità e/o 2) la possibilità di una forte discriminazione isotopica nella sintesi del DNA.
2005
na
Società Italiana di Chimica Agraria
Torino
A. Agnelli; J. Ascher; MT. Ceccherini; G. Pietramellara; P. Nannipieri; S.E. Trumbore
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