Il testo, articolato in due parti, prende in esame le questioni relative alla natura ed al regime del matrimonio romano arcaico muovendo da un piano ricostruttivo centrato sulla natura e sul regime del divorzio di epoca monarchica e repubblicana. Attraverso una rilettura critico-diplomatica delle principali testimonianze di lingua greca in argomento, nella prima parte l’autore mette in discussione la diffusa opinione circa il carattere esclusivamente sanzionatorio dell’originario ripudio, legittimo solo in presenza di crimini femminili tipici. L’esame della tradizione letteraria antica relativa al primo caso di divorzio ampiamente documentato, insieme ai riscontri offerti dalla normativa decemvirale, consentono viceversa di far emergere un diverso profilo giustificativo del divorzio di età repubblicana, legittimato dalla sterilità femminile. Il rilievo così formulato si intreccia, nella seconda parte del testo, con le indagini intorno al valore rivestito dalla convivenza stabile nella struttura del matrimonio romano e nei rapporti tra quest’ultimo e la conventio in manum usu, in particolare per quanto attiene alla figura del trinoctio abesse la cui persistente indecifrabilità viene argomentata dall’autore nel confronto con le principali opinioni correnti in dottrina. Recuperato a quella centralità istituzionale che lo stesso Gai 1, 111, qui reinterpretato, consente di cogliere, il trinoctium quale ritualizzata interruzione della convivenza nuziale viene inserito nel quadro complessivo del sistema matrimoniale di Roma arcaica sulla scia di una remota suggestione della dottrina. Il percorso di contestualizzazione del trinoctio abesse nell’ambito della normativa decemvirale, che contemplava una disposizione normalizzatrice del ripudio ed una clausola ufficializzante la durata della gestazione umana, permette di definire un quadro finale che si incardina sulla dialettica nuptiae-matrimonium, in quanto dialettica misurata sull’inverarsi della funzione riproduttiva e pertanto capace di ricostruire l’immagine di un rapporto matrimoniale scandito da tappe progressive, funzionali alla definitiva stabilizzazione del vincolo. In questo assetto il trinoctio abesse viene configurando una struttura “di sistema” in quanto formalizzazione simbolica di un allontanamento femminile in grado di paralizzare il processo fisiologico di trasformazione delle nuptiae in matrimonium: un atto di ripudio, dunque, ma rigidamente determinato nei tempi e nei modi, esperibile solo per il caso in cui fosse andata disattesa quella aspettativa di procreazione che la cerimonia nuziale, nella sua funzione di “rito di passaggio”, aveva solennizzato. Sarà soltanto nell’età repubblicana avanzata, in conseguenza dei mutamenti socio-culturali come pure del profilarsi di un diverso modello risolutivo del rapporto coniugale, che la giurisprudenza potrà trasformare l’originario trinoctium nella sua deformata, “usurpata” imitazione, ormai ininfluente sulla stabilità del vincolo matrimoniale e funzionale, viceversa, alla conservazione in capo alla donna sposata dei rapporti di parentela agnatizia con la famiglia paterna.

Consors vitae: matrimonio e ripudio in Roma antica / P. Giunti. - STAMPA. - (2004).

Consors vitae: matrimonio e ripudio in Roma antica

GIUNTI, PATRIZIA
2004

Abstract

Il testo, articolato in due parti, prende in esame le questioni relative alla natura ed al regime del matrimonio romano arcaico muovendo da un piano ricostruttivo centrato sulla natura e sul regime del divorzio di epoca monarchica e repubblicana. Attraverso una rilettura critico-diplomatica delle principali testimonianze di lingua greca in argomento, nella prima parte l’autore mette in discussione la diffusa opinione circa il carattere esclusivamente sanzionatorio dell’originario ripudio, legittimo solo in presenza di crimini femminili tipici. L’esame della tradizione letteraria antica relativa al primo caso di divorzio ampiamente documentato, insieme ai riscontri offerti dalla normativa decemvirale, consentono viceversa di far emergere un diverso profilo giustificativo del divorzio di età repubblicana, legittimato dalla sterilità femminile. Il rilievo così formulato si intreccia, nella seconda parte del testo, con le indagini intorno al valore rivestito dalla convivenza stabile nella struttura del matrimonio romano e nei rapporti tra quest’ultimo e la conventio in manum usu, in particolare per quanto attiene alla figura del trinoctio abesse la cui persistente indecifrabilità viene argomentata dall’autore nel confronto con le principali opinioni correnti in dottrina. Recuperato a quella centralità istituzionale che lo stesso Gai 1, 111, qui reinterpretato, consente di cogliere, il trinoctium quale ritualizzata interruzione della convivenza nuziale viene inserito nel quadro complessivo del sistema matrimoniale di Roma arcaica sulla scia di una remota suggestione della dottrina. Il percorso di contestualizzazione del trinoctio abesse nell’ambito della normativa decemvirale, che contemplava una disposizione normalizzatrice del ripudio ed una clausola ufficializzante la durata della gestazione umana, permette di definire un quadro finale che si incardina sulla dialettica nuptiae-matrimonium, in quanto dialettica misurata sull’inverarsi della funzione riproduttiva e pertanto capace di ricostruire l’immagine di un rapporto matrimoniale scandito da tappe progressive, funzionali alla definitiva stabilizzazione del vincolo. In questo assetto il trinoctio abesse viene configurando una struttura “di sistema” in quanto formalizzazione simbolica di un allontanamento femminile in grado di paralizzare il processo fisiologico di trasformazione delle nuptiae in matrimonium: un atto di ripudio, dunque, ma rigidamente determinato nei tempi e nei modi, esperibile solo per il caso in cui fosse andata disattesa quella aspettativa di procreazione che la cerimonia nuziale, nella sua funzione di “rito di passaggio”, aveva solennizzato. Sarà soltanto nell’età repubblicana avanzata, in conseguenza dei mutamenti socio-culturali come pure del profilarsi di un diverso modello risolutivo del rapporto coniugale, che la giurisprudenza potrà trasformare l’originario trinoctium nella sua deformata, “usurpata” imitazione, ormai ininfluente sulla stabilità del vincolo matrimoniale e funzionale, viceversa, alla conservazione in capo alla donna sposata dei rapporti di parentela agnatizia con la famiglia paterna.
2004
9788814107801
P. Giunti
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