Abstract. Il lavoro esamina la possibilità di proporre la domanda di risoluzione per inadempimento e di ottenere una pronunzia che dichiari sciolto il vincolo obbligatorio prima della scadenza del termine contrattualmente pattuito. In questa logica, particolarmente proficuo risulta il “dialogo” con il Maestro che affronta l’argomento proponendo soluzioni diverse e articolate a seconda della concreta situazione esistente al momento in cui viene proposta la domanda. Muovendo dal valore e dal rilievo rivestito dalla dichiarazione di non voler adempiere comunicata stragiudizialmente dal debitore alla controparte prima che l’obbligazione sia divenuta esigibile, Rubino ritiene che essa porti ad una sentenza di risoluzione solo se, medio tempore, sia scaduto il termine convenzionalmente pattuito e il debitore, a tale data, risulti essere inadempiente. Altrimenti, ove la domanda e la sentenza siano entrambe anteriori rispetto alla scadenza della modalità temporale, la soluzione non potrà che essere diversa poiché, non essendosi ancora verificato l’inadempimento, gli unici strumenti esperibili saranno quelli di natura cautelare o conservativa. Tale impostazione che ha orientato per lungo tempo la dottrina si fonda sull’identificazione della prestazione con l’atto solutorio finale e ravvisa il comune denominatore del concetto di inadempimento nella mancata esecuzione della prestazione nel termine pattuito e con le modalità dovute. Cosicché se ante diem l’esecuzione della prestazione non risulta oggettivamente vanificata, ma si rivela materialmente e giuridicamente possibile, mancando il requisito principe dell’azione di risoluzione, ossia un inadempimento attuale e definitivo, nessuna responsabilità in capo al debitore sarebbe dato riscontrare e nessuna equiparazione potrebbe prospettarsi tra la situazione esistente prima della scadenza del termine e quella che si verrebbe a determinare post diem. Impostazione, questa, che viene sottoposta a revisione critica poiché si è dimostrato come non sempre l’impossibilità di esercitare il diritto significhi che lo stesso sia inesistente, dovendosi tal fine aver riguardo alle diverse ipotesi che danno luogo alla inesigibilità e, in particolare, se si tratti di obbligazioni future, c.d. imperfette, condizionali o a termine. Infatti, proprio in relazione a queste ultime fattispecie, si è messo in luce come il rapporto obbligatorio, pendente die, sia presente e attuale in quanto espressione di un assetto di interessi già identificato e, come tale, immediatamente rilevante. Sicché l’inesigibilità della prestazione è un fattore che incide non già sulla genesi dell’obbligazione e sui rimedi esperibili in presenza della lesione degli interessi sostanziali che essa, nella sua funzione ordinamentale, è chiamata a realizzare, bensí soltanto su alcuni profili di disciplina. Il lavoro mette in luce, dunque, come prima della scadenza del termine l’obbligazione sia dotata di un suo contenuto essenziale che rende doverosi i comportamenti necessari per la realizzazione del complessivo assetto di interessi in essa implicato e faccia sí che la violazione degli stessi si rifletta inevitabilmente ed immediatamente sull’esatta esecuzione della prestazione, la quale comprende, pertanto, non soltanto l’atto solutorio finale, ma tutta l’attività ad esso antecedente, preordinata al raggiungimento dello scopo che il rapporto è diretto a soddisfare. In questa logica, l’obbligazione viene inquadrata in una visione di tipo non piú dogmatico e statico, ma dinamico, teleologico ed assiologico in grado di recepire le «aperture funzionali» che le nuove istanze di giustizia sociale ed i valori solidaristici hanno determinato. Il che determina il superamento di una concezione ristretta e assolutistica del rapporto obbligatorio, neutra rispetto alle peculiarità del fatto concreto che lo genera, proponendosi, per contro, un’analisi dell’obbligazione di tipo dinamico- funzionale tesa a cogliere i tratti caratterizzanti della dinamica del suo evolversi verso la realizzazione dell’assetto di interessi di volta in volta implicato, quale esso risulta dal titolo, dalle sue fonti di integrazione, dalle concrete qualità dei soggetti, dalla ragione pratica avuta di mira dalle parti e dalle concrete circostanze (anche sopravvenute) presenti nella fase esecutiva. Conseguentemente, se nell’opinione del Maestro l’inadempimento attuale e definitivo si pone in relazione logica e temporale solo con quel momento del rapporto obbligatorio che si colloca al di là della scadenza del termine, in questa piú ampia e diversa lettura dell’obbligazione anche l’omessa o inesatta esecuzione dell’attività preliminare o la violazione di un obbligo accessorio è idonea ad integrare gli estremi dell’inadempimento ed a legittimare il ricorso all’azione di risoluzione. In altri termini, la nozione di inadempimento – a differenza di quanto riteneva il Maestro - non è piú inscindibilmente legata al tempo in cui deve essere adempiuta la prestazione finale stricto sensu intesa, ma ha come punto di riferimento immediato e diretto anche l’inosservanza delle prescrizioni di carattere accessorio, volte a salvaguardare l’integrità della prestazione contrattuale tipica. Prescrizioni, queste, che, sul piano fisiologico, rendono giuridicamente dovuti tutti i comportamenti diretti a preservare la realizzazione del risultato cui l’obbligazione è destinata; mentre, sul piano patologico, rivestono un immediato rilievo, in quanto, traducendosi in una lesione degli interessi dei contraenti positivamente valutatati dall’ordinamento, legittimano il ricorso ad adeguati ed efficienti strumenti rimediali. Questi ultimi non sono più ancorati all’astratta e rigida qualificazione delle posizioni giuridiche soggettive dei contraenti, bensì ai concreti bisogni di tutela che emergono in séguito alla lesione di un loro interesse primario rilevante sub specie iuris , a prescindere dalla sua classificazione formale. In tal modo, è lo specifico problema sotteso alla tutela dell’interesse sostanziale a selezionare il tipo di rimedio idoneo ad eliminare gli effetti della lesione e a ripristinare la situazione ad essa antecedente. A far sí, cioè, che nelle ipotesi prese in considerazione l’interesse del contraente fedele all’esatta e puntuale attuazione del rapporto, indipendentemente dalla sua enunciazione in termini di diritto soggettivo pieno ed attuale, se vanificato o gravemente pregiudicato, ante diem, possa essere protetto anche con il rimedio risolutorio, essendo proprio la ratio ad esso sottesa ad armonizzarsi maggiormente con il concreto bisogno di tutela da soddisfare.

Risoluzione giudiziale in pendenza del termine contrattuale / V. PUTORTI'. - STAMPA. - (2009), pp. 968-1003.

Risoluzione giudiziale in pendenza del termine contrattuale

PUTORTI', VINCENZO
2009

Abstract

Abstract. Il lavoro esamina la possibilità di proporre la domanda di risoluzione per inadempimento e di ottenere una pronunzia che dichiari sciolto il vincolo obbligatorio prima della scadenza del termine contrattualmente pattuito. In questa logica, particolarmente proficuo risulta il “dialogo” con il Maestro che affronta l’argomento proponendo soluzioni diverse e articolate a seconda della concreta situazione esistente al momento in cui viene proposta la domanda. Muovendo dal valore e dal rilievo rivestito dalla dichiarazione di non voler adempiere comunicata stragiudizialmente dal debitore alla controparte prima che l’obbligazione sia divenuta esigibile, Rubino ritiene che essa porti ad una sentenza di risoluzione solo se, medio tempore, sia scaduto il termine convenzionalmente pattuito e il debitore, a tale data, risulti essere inadempiente. Altrimenti, ove la domanda e la sentenza siano entrambe anteriori rispetto alla scadenza della modalità temporale, la soluzione non potrà che essere diversa poiché, non essendosi ancora verificato l’inadempimento, gli unici strumenti esperibili saranno quelli di natura cautelare o conservativa. Tale impostazione che ha orientato per lungo tempo la dottrina si fonda sull’identificazione della prestazione con l’atto solutorio finale e ravvisa il comune denominatore del concetto di inadempimento nella mancata esecuzione della prestazione nel termine pattuito e con le modalità dovute. Cosicché se ante diem l’esecuzione della prestazione non risulta oggettivamente vanificata, ma si rivela materialmente e giuridicamente possibile, mancando il requisito principe dell’azione di risoluzione, ossia un inadempimento attuale e definitivo, nessuna responsabilità in capo al debitore sarebbe dato riscontrare e nessuna equiparazione potrebbe prospettarsi tra la situazione esistente prima della scadenza del termine e quella che si verrebbe a determinare post diem. Impostazione, questa, che viene sottoposta a revisione critica poiché si è dimostrato come non sempre l’impossibilità di esercitare il diritto significhi che lo stesso sia inesistente, dovendosi tal fine aver riguardo alle diverse ipotesi che danno luogo alla inesigibilità e, in particolare, se si tratti di obbligazioni future, c.d. imperfette, condizionali o a termine. Infatti, proprio in relazione a queste ultime fattispecie, si è messo in luce come il rapporto obbligatorio, pendente die, sia presente e attuale in quanto espressione di un assetto di interessi già identificato e, come tale, immediatamente rilevante. Sicché l’inesigibilità della prestazione è un fattore che incide non già sulla genesi dell’obbligazione e sui rimedi esperibili in presenza della lesione degli interessi sostanziali che essa, nella sua funzione ordinamentale, è chiamata a realizzare, bensí soltanto su alcuni profili di disciplina. Il lavoro mette in luce, dunque, come prima della scadenza del termine l’obbligazione sia dotata di un suo contenuto essenziale che rende doverosi i comportamenti necessari per la realizzazione del complessivo assetto di interessi in essa implicato e faccia sí che la violazione degli stessi si rifletta inevitabilmente ed immediatamente sull’esatta esecuzione della prestazione, la quale comprende, pertanto, non soltanto l’atto solutorio finale, ma tutta l’attività ad esso antecedente, preordinata al raggiungimento dello scopo che il rapporto è diretto a soddisfare. In questa logica, l’obbligazione viene inquadrata in una visione di tipo non piú dogmatico e statico, ma dinamico, teleologico ed assiologico in grado di recepire le «aperture funzionali» che le nuove istanze di giustizia sociale ed i valori solidaristici hanno determinato. Il che determina il superamento di una concezione ristretta e assolutistica del rapporto obbligatorio, neutra rispetto alle peculiarità del fatto concreto che lo genera, proponendosi, per contro, un’analisi dell’obbligazione di tipo dinamico- funzionale tesa a cogliere i tratti caratterizzanti della dinamica del suo evolversi verso la realizzazione dell’assetto di interessi di volta in volta implicato, quale esso risulta dal titolo, dalle sue fonti di integrazione, dalle concrete qualità dei soggetti, dalla ragione pratica avuta di mira dalle parti e dalle concrete circostanze (anche sopravvenute) presenti nella fase esecutiva. Conseguentemente, se nell’opinione del Maestro l’inadempimento attuale e definitivo si pone in relazione logica e temporale solo con quel momento del rapporto obbligatorio che si colloca al di là della scadenza del termine, in questa piú ampia e diversa lettura dell’obbligazione anche l’omessa o inesatta esecuzione dell’attività preliminare o la violazione di un obbligo accessorio è idonea ad integrare gli estremi dell’inadempimento ed a legittimare il ricorso all’azione di risoluzione. In altri termini, la nozione di inadempimento – a differenza di quanto riteneva il Maestro - non è piú inscindibilmente legata al tempo in cui deve essere adempiuta la prestazione finale stricto sensu intesa, ma ha come punto di riferimento immediato e diretto anche l’inosservanza delle prescrizioni di carattere accessorio, volte a salvaguardare l’integrità della prestazione contrattuale tipica. Prescrizioni, queste, che, sul piano fisiologico, rendono giuridicamente dovuti tutti i comportamenti diretti a preservare la realizzazione del risultato cui l’obbligazione è destinata; mentre, sul piano patologico, rivestono un immediato rilievo, in quanto, traducendosi in una lesione degli interessi dei contraenti positivamente valutatati dall’ordinamento, legittimano il ricorso ad adeguati ed efficienti strumenti rimediali. Questi ultimi non sono più ancorati all’astratta e rigida qualificazione delle posizioni giuridiche soggettive dei contraenti, bensì ai concreti bisogni di tutela che emergono in séguito alla lesione di un loro interesse primario rilevante sub specie iuris , a prescindere dalla sua classificazione formale. In tal modo, è lo specifico problema sotteso alla tutela dell’interesse sostanziale a selezionare il tipo di rimedio idoneo ad eliminare gli effetti della lesione e a ripristinare la situazione ad essa antecedente. A far sí, cioè, che nelle ipotesi prese in considerazione l’interesse del contraente fedele all’esatta e puntuale attuazione del rapporto, indipendentemente dalla sua enunciazione in termini di diritto soggettivo pieno ed attuale, se vanificato o gravemente pregiudicato, ante diem, possa essere protetto anche con il rimedio risolutorio, essendo proprio la ratio ad esso sottesa ad armonizzarsi maggiormente con il concreto bisogno di tutela da soddisfare.
2009
9788849518511
I Maestri italiani del diritto civile Domenico Rubino
968
1003
V. PUTORTI'
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