Ci sono date che sembrano riassumere la fisionomia di un’epoca. Il 1651 non è soltanto l’anno in cui viene pubblicato il Leviatano di Thomas Hobbes, ma anche quello del carteggio tra Pierre Fermat e Blaise Pascal che nella storia della scienza segna la nascita del calcolo delle probabilità. Due risposte diverse, ma convergenti negli intenti e nella logica, al problema apertosi con l’avvento di un’immagine del mondo in cui la vita degli uomini «non ubbidisce più alla potenza degli dèi o alla saggezza di Dio, [ma] è diventata un’avventura dall’esito imprevedibile» (p. 10). È Don Chisciotte l’eroe simbolo della modernità, la figura in cui si condensa la moderna conditio humana segnata dall’incertezza, con il suo ambiguo intreccio di promessa e minaccia: «il mondo non è come è, ma il suo essere e il suo futuro presuppongono decisioni nelle quali vengono soppesati i vantaggi e i lati oscuri, il progresso e il declino e, come tutto ciò che è umano, recano in sé l’errore, l’ignoranza, la hybris, la promessa del controllo e alla fine perfino il germe della possibile autodistruzione» (p. 10). Più hobbesiana che illuminista, questa lettura della modernità presenta il vantaggio di esibirne in modo esplicito il carattere intrinsecamente ambivalente: non soltanto fiducia autoaffermativa, ma anche consapevolezza del rischio e ansia per il futuro; non soltanto liberazione dai limiti, ma anche esposizione all’ignoto. Detto altrimenti: autoaffermazione e autoconservazione.

Spinta cosmopolitica e resistenze antropologiche / D. D'Andrea. - In: IRIDE. - ISSN 1122-7893. - STAMPA. - n. 58, XXII (2009):(2009), pp. 691-695.

Spinta cosmopolitica e resistenze antropologiche

D'ANDREA, DIMITRI
2009

Abstract

Ci sono date che sembrano riassumere la fisionomia di un’epoca. Il 1651 non è soltanto l’anno in cui viene pubblicato il Leviatano di Thomas Hobbes, ma anche quello del carteggio tra Pierre Fermat e Blaise Pascal che nella storia della scienza segna la nascita del calcolo delle probabilità. Due risposte diverse, ma convergenti negli intenti e nella logica, al problema apertosi con l’avvento di un’immagine del mondo in cui la vita degli uomini «non ubbidisce più alla potenza degli dèi o alla saggezza di Dio, [ma] è diventata un’avventura dall’esito imprevedibile» (p. 10). È Don Chisciotte l’eroe simbolo della modernità, la figura in cui si condensa la moderna conditio humana segnata dall’incertezza, con il suo ambiguo intreccio di promessa e minaccia: «il mondo non è come è, ma il suo essere e il suo futuro presuppongono decisioni nelle quali vengono soppesati i vantaggi e i lati oscuri, il progresso e il declino e, come tutto ciò che è umano, recano in sé l’errore, l’ignoranza, la hybris, la promessa del controllo e alla fine perfino il germe della possibile autodistruzione» (p. 10). Più hobbesiana che illuminista, questa lettura della modernità presenta il vantaggio di esibirne in modo esplicito il carattere intrinsecamente ambivalente: non soltanto fiducia autoaffermativa, ma anche consapevolezza del rischio e ansia per il futuro; non soltanto liberazione dai limiti, ma anche esposizione all’ignoto. Detto altrimenti: autoaffermazione e autoconservazione.
2009
n. 58, XXII (2009)
691
695
D. D'Andrea
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