La ricerca si interroga sul ruolo del piano urbanistico comunale nella definizione ed implementazione delle politiche per l’abitare, facendo riferimento all’attuale contesto socio-economico e alla nuova definizione che tali politiche hanno assunto sia in ambito disciplinare sia nel quadro più generale delle policy pubbliche. L’interesse per questo tema scaturisce da due ordini di considerazioni: - In primo luogo la centralità del tema (disagio abitativo; definizione delle politiche per l’abitare) sia in ambito disciplinare, sia all’interno del quadro più generale delle politiche socio-economiche. La “casa” rappresenta tradizionalmente uno dei grandi temi del piano. A prescindere dal giudizio sugli esiti degli interventi passati, è innegabile che il disegno attuale delle città e di alcune grandi periferie urbane sia dipeso in misura non trascurabile dalle politiche che il piano ha - direttamente o indirettamente - posto in essere. La nuova emergenza abitativa pone il tema della casa anche al centro della riflessione sul piano: due questioni, in particolare, sembrano assumere un ruolo determinante. In primo luogo, la necessità di migliorare alcuni risultati delle esperienze passate (interventi di recupero e riqualificazione dell’esistente; formulazione di nuovi modelli di riferimento per gli interventi di edilizia residenziale pubblica e sociale, in grado di evitare gli effetti di segregazione e di garantire una buona accessibilità ai servizi); in secondo luogo, valutare l’efficacia del piano e dei nuovi strumenti attuativi. La riforma del piano è infatti un processo iniziato nel corso degli anni ’90, dopo un dibattito quasi ventennale sul tema della sua efficacia, che ha portato alla ridefinizione complessiva dello strumento urbanistico comunale: forma piano, procedure di formazione e di attuazione, strumenti attuativi. Tale riforma si pone come ulteriore elemento di “novità” nel quadro complessivo dell’attuale definizione delle politiche abitative, che presentano anche per questa ragione elementi di sostanziale differenza rispetto al passato. - Le politiche pubbliche per l’abitare si inseriscono in un contesto di generale contrazione delle risorse per il welfare. Questa situazione di perdurante scarsità di fondi pubblici si proietta in un orizzonte di medio-lungo periodo, per cui è necessario ripensare interamente le modalità di intervento pubblico. E’ opinione largamente condivisa che le politiche per la casa, nella maniera tradizionale in cui sono state concepite, non siano più ipotizzabili, venendo meno la capacità, da parte dell’operatore pubblico, di provvedere in modo diretto alla produzione e gestione degli alloggi sociali. Il quadro delle politiche pubbliche in materia di abitazioni è comunque complesso e non comprende la sola produzione e gestione del bene casa. Le politiche pubbliche sono di vario tipo e impegnano il soggetto pubblico in modi molto diversi: si possono distinguere misure regolative (regolamentazione dei contratti, dei finanziamenti e dell’accesso al credito, leva fiscale ed urbanistica), e distributive (sussidi, produzione e assegnazione diretta degli alloggi). La possibilità del soggetto pubblico si è molto ridotta specie in tema di politiche distributive e in particolare riguardo la produzione di alloggi, mentre continua ad avere un ruolo centrale in tema di politiche regolative. In questo quadro di mutate condizioni generali, il piano urbanistico e la dimensione “locale” (per la precisione, comunale) delle politiche pubbliche assumono una rilevanza inedita rispetto al passato, tanto che anche le policy promosse a livello nazionale (piano casa, interventi del sistema integrato nazionale di fondi promosso da Cassa Depositi e Prestiti) poggiano in modo sostanzioso sulla “qualità” e sugli strumenti del piano urbanistico (centralità della cosiddetta “leva” urbanistica ). Infatti il piano può attivare diverse risorse (dalla risorsa “suolo”, alle agevolazioni fiscali e procedurali) che diventano, nel quadro attuale di ridotta capacità di spesa dello stato e delle regioni, l’unica possibile modalità di contributo pubblico al finanziamento delle iniziative di edilizia sociale. Tali considerazioni si inseriscono inoltre in un quadro istituzionale di progressivo decentramento delle competenze in materia di politiche per la casa, con il disimpegno (a partire dalla fine degli anni ‘90) da parte dello Stato centrale in favore delle Regioni. Pertanto, anche in ambito istituzionale si segnala una nuova centralità assunta dal livello “locale” e, all’interno di esso, (implicitamente) dello strumento urbanistico. La scelta del caso monografico di Roma, come campo preferenziale di indagine, ha consentito di calare le riflessioni generali sul piano in un contesto specifico, in cui la rilevanza del tema abitativo rappresenta un elemento di ulteriore interesse. Roma, infatti, offre una visione “radicale” del problema: radicale sia per i livelli raggiunti dal disagio e dalla tensione abitativa; sia per la natura del piano, che è un ibrido tra vecchio Prg e nuove forme della pianificazione. Facendo riferimento al piano del 2008, si deve segnalare la centralità assunta degli strumenti operativi di nuova generazione (perequazione urbanistica e altri istituti ad essa legati), pur all’interno di una forma piano tradizionale. Ad essi è affidata, per esplicita dichiarazione del Prg, la parte preponderante delle nuove trasformazioni di interesse pubblico e di più rilevanti dimensioni (attuabili con intervento indiretto). Parallelamente a ciò, il comune di Roma ha dato l’avvio a molte iniziative già a partire dal 2006-2008, confluite nella recente approvazione del “piano casa”; a quest’ultimo aspetto è stata dedicata una particolare attenzione perché offre l’occasione di valutare il ruolo e l’efficacia dello strumento urbanistico in un quadro di riferimento di iniziative locali più ampio.

Le nuove politiche per l’abitare e il ruolo del piano urbanistico. Il caso di Roma / Rita Allegrini. - (2012).

Le nuove politiche per l’abitare e il ruolo del piano urbanistico. Il caso di Roma.

ALLEGRINI, RITA
2012

Abstract

La ricerca si interroga sul ruolo del piano urbanistico comunale nella definizione ed implementazione delle politiche per l’abitare, facendo riferimento all’attuale contesto socio-economico e alla nuova definizione che tali politiche hanno assunto sia in ambito disciplinare sia nel quadro più generale delle policy pubbliche. L’interesse per questo tema scaturisce da due ordini di considerazioni: - In primo luogo la centralità del tema (disagio abitativo; definizione delle politiche per l’abitare) sia in ambito disciplinare, sia all’interno del quadro più generale delle politiche socio-economiche. La “casa” rappresenta tradizionalmente uno dei grandi temi del piano. A prescindere dal giudizio sugli esiti degli interventi passati, è innegabile che il disegno attuale delle città e di alcune grandi periferie urbane sia dipeso in misura non trascurabile dalle politiche che il piano ha - direttamente o indirettamente - posto in essere. La nuova emergenza abitativa pone il tema della casa anche al centro della riflessione sul piano: due questioni, in particolare, sembrano assumere un ruolo determinante. In primo luogo, la necessità di migliorare alcuni risultati delle esperienze passate (interventi di recupero e riqualificazione dell’esistente; formulazione di nuovi modelli di riferimento per gli interventi di edilizia residenziale pubblica e sociale, in grado di evitare gli effetti di segregazione e di garantire una buona accessibilità ai servizi); in secondo luogo, valutare l’efficacia del piano e dei nuovi strumenti attuativi. La riforma del piano è infatti un processo iniziato nel corso degli anni ’90, dopo un dibattito quasi ventennale sul tema della sua efficacia, che ha portato alla ridefinizione complessiva dello strumento urbanistico comunale: forma piano, procedure di formazione e di attuazione, strumenti attuativi. Tale riforma si pone come ulteriore elemento di “novità” nel quadro complessivo dell’attuale definizione delle politiche abitative, che presentano anche per questa ragione elementi di sostanziale differenza rispetto al passato. - Le politiche pubbliche per l’abitare si inseriscono in un contesto di generale contrazione delle risorse per il welfare. Questa situazione di perdurante scarsità di fondi pubblici si proietta in un orizzonte di medio-lungo periodo, per cui è necessario ripensare interamente le modalità di intervento pubblico. E’ opinione largamente condivisa che le politiche per la casa, nella maniera tradizionale in cui sono state concepite, non siano più ipotizzabili, venendo meno la capacità, da parte dell’operatore pubblico, di provvedere in modo diretto alla produzione e gestione degli alloggi sociali. Il quadro delle politiche pubbliche in materia di abitazioni è comunque complesso e non comprende la sola produzione e gestione del bene casa. Le politiche pubbliche sono di vario tipo e impegnano il soggetto pubblico in modi molto diversi: si possono distinguere misure regolative (regolamentazione dei contratti, dei finanziamenti e dell’accesso al credito, leva fiscale ed urbanistica), e distributive (sussidi, produzione e assegnazione diretta degli alloggi). La possibilità del soggetto pubblico si è molto ridotta specie in tema di politiche distributive e in particolare riguardo la produzione di alloggi, mentre continua ad avere un ruolo centrale in tema di politiche regolative. In questo quadro di mutate condizioni generali, il piano urbanistico e la dimensione “locale” (per la precisione, comunale) delle politiche pubbliche assumono una rilevanza inedita rispetto al passato, tanto che anche le policy promosse a livello nazionale (piano casa, interventi del sistema integrato nazionale di fondi promosso da Cassa Depositi e Prestiti) poggiano in modo sostanzioso sulla “qualità” e sugli strumenti del piano urbanistico (centralità della cosiddetta “leva” urbanistica ). Infatti il piano può attivare diverse risorse (dalla risorsa “suolo”, alle agevolazioni fiscali e procedurali) che diventano, nel quadro attuale di ridotta capacità di spesa dello stato e delle regioni, l’unica possibile modalità di contributo pubblico al finanziamento delle iniziative di edilizia sociale. Tali considerazioni si inseriscono inoltre in un quadro istituzionale di progressivo decentramento delle competenze in materia di politiche per la casa, con il disimpegno (a partire dalla fine degli anni ‘90) da parte dello Stato centrale in favore delle Regioni. Pertanto, anche in ambito istituzionale si segnala una nuova centralità assunta dal livello “locale” e, all’interno di esso, (implicitamente) dello strumento urbanistico. La scelta del caso monografico di Roma, come campo preferenziale di indagine, ha consentito di calare le riflessioni generali sul piano in un contesto specifico, in cui la rilevanza del tema abitativo rappresenta un elemento di ulteriore interesse. Roma, infatti, offre una visione “radicale” del problema: radicale sia per i livelli raggiunti dal disagio e dalla tensione abitativa; sia per la natura del piano, che è un ibrido tra vecchio Prg e nuove forme della pianificazione. Facendo riferimento al piano del 2008, si deve segnalare la centralità assunta degli strumenti operativi di nuova generazione (perequazione urbanistica e altri istituti ad essa legati), pur all’interno di una forma piano tradizionale. Ad essi è affidata, per esplicita dichiarazione del Prg, la parte preponderante delle nuove trasformazioni di interesse pubblico e di più rilevanti dimensioni (attuabili con intervento indiretto). Parallelamente a ciò, il comune di Roma ha dato l’avvio a molte iniziative già a partire dal 2006-2008, confluite nella recente approvazione del “piano casa”; a quest’ultimo aspetto è stata dedicata una particolare attenzione perché offre l’occasione di valutare il ruolo e l’efficacia dello strumento urbanistico in un quadro di riferimento di iniziative locali più ampio.
2012
Giovanni Caudo, Raimondo Innocenti
Rita Allegrini
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Tipologia: Tesi di dottorato
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