Tesi di Dottorato. L’attività di ricerca svolta ha avuto come obiettivo principale la ottimizzazione di un protocollo per l’analisi molecolare dei marcatori tumorali descritti in letteratura nel contesto dei carcinomi differenziati della tiroide. Il lavoro nasce in risposta alla volontà di introdurre l’indagine molecolare nel percorso assistenziale previsto per i pazienti affetti da patologia nodulare della tiroide, afferenti all’ambulatorio dell’Unità di Endocrinologia dell’Azienda Ospedaliera Careggi. La ricerca si è, quindi, sviluppata nello studio delle mutazioni a carico dei geni BRAF, KRAS, NRAS, HRAS e dei riarrangiamenti RET/PTC1, RET/PTC3 e PAX8/PPARγ che rappresentano le alterazioni, secondo la letteratura in materia, più frequenti nella carcinogenesi delle cellule follicolari tiroidee. I principali aspetti considerati per la selezione dell’approccio metodologico sono stati: l’impiego di tecniche già consolidate presso il laboratorio dell’Unità di Biochimica Clinica del Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche; l’allestimento di saggi molecolari da eseguire in parallelo e con tempi di esecuzione e risposta sufficientemente rapidi oltre che sensibili e specifici; l’impiego di un campione biologico di semplice reperibilità per la collezione del quale non si rendesse necessario alcun aumento di invasività per i pazienti. Al fine di esplorare il significato dei risultati forniti dall’indagine molecolare è stata, inoltre, fondamentale la raccolta di informazioni cliniche e del dato citologico e istologico relativo ai noduli analizzati. Lo studio riporta i risultati ottenuti dall’analisi molecolare di una casistica complessiva di 430 campioni di materiale citologico da noduli tiroidei di pazienti sottoposti a agobiopsia presso l’Unità di Endocrinologia. Per la valutazione iniziale dei metodi previsti nello studio è stata analizzata una casistica iniziale composta da 100 campioni per 45 dei quali era disponibile sia un campione citologico vero e proprio, derivante da una seconda biopsia a livello dello stesso nodulo, sia il lavaggio del materiale residuo del primo agoaspirato inviato all’analisi citologica. Lo studio di validazione del metodo ha dimostrato, mediante l’impiego di saggi di PCR real time per geni di controllo (GAPDH, Tireoglobulina, BRAF), la possibilità di impiego non soltanto del materiale citologico vero e proprio per l’analisi molecolare ma anche del campione di lavaggio. Soltanto 25 campioni su un totale 430 lavaggi analizzati si sono, infatti, rivelati non idonei per l’analisi molecolare. L’analisi High Resolution Melting, scelta come metodo di pre-screening, dei prodotti di amplificazione, ottenuti mediante la amplificazione con primer specifici per le regioni di interesse, ha mostrato le caratteristiche desiderate sia in termini di sensibilità che di specificità per la selezione dei campioni positivi. Grazie all’approccio metodologico impiegato, sono stati individuati 77 campioni positivi per la presenza di una alterazione genetica con una distribuzione diversa nelle categorie diagnostiche della citologia: 7/56 campioni in classe Tir1 (inadeguati), 10/184 in classe Tir2 (benigni), 33/155 in Tir3 (proliferazioni follicolari di incerto significato), 12/19 in Tir4 (sospetti), 15/16 in Tir5 (carcinomi). In particolare, l’analisi delle alterazioni genetiche ha confermato che la mutazione riscontrata con maggior frequenza nel contesto dei carcinomi differenziati della tiroide è rappresentata dalla p.V600E nel gene BRAF. Il dato risulta coerente con la incidenza nettamente superiore di carcinomi papillari, rispetto alle altre varianti di carcinoma differenziato, per i quali sembra essere un marcatore estremamente specifico. Per 91 noduli appartenenti alla casistica analizzata è stato, inoltre, possibile effettuare un confronto tra il genotipo identificato nel campione citologico e l’esito dell’esame istologico. La presenza della mutazione BRAF p.V600E è stata individuata in 14 su 22 campioni con diagnosi di carcinoma papillare. Sono stati, inoltre, individuati 6 campioni positivi per la stessa mutazione in campioni classificati come lesioni di natura benigna durante la analisi citologica. Soltanto per uno di questi noduli si è reso disponibile l’esito dell’esame istologico il quale ha fornito un risultato concorde con l’analisi molecolare, contribuendo ad avvalorare il valore predittivo positivo del marcatore. Analogamente, la presenza di un riarrangiamento cromosomico RET/PTC, ha mostrato un potente significato diagnostico. Tre campioni portatori del riarrangiamento RET/PTC1 sono stati confermati all’esame istologico carcinomi papillari della tiroide. Nessun campione ha mostrato la presenza di riarrangiamenti PAX8/PPARγ, motivo per il quale potrà essere considerata la rimozione di tale marcatore dal pannello in esame e la sostituzione con nuovi marcatori. Infine, l’analisi di mutazioni a carico delle isoforme di RAS ha portato alla identificazione di una variante di sequenza in otto campioni che all’esame istologico sono risultati negativi mentre soltanto per quattro campioni mutati in uno dei geni RAS è stata confermata la presenza di una neoplasia. Questo ha portato a considerare RAS come un marcatore meno specifico di malignità in quanto frequentemente riscontrato anche a livello di adenomi follicolari. Importante sarà comprendere se mutazioni a carico di questi geni insorgano in fasi estremamente precoci del processo di trasformazione neoplastica e possano determinare l’evoluzione del nodulo verso un fenotipo maligno. Inoltre, risulterà interessante investigare il significato biologico della identificazione di quattro campioni portatori contemporaneamente della mutazione BRAF p.V600E e di una mutazione a livello dei geni RAS. I risultati ottenuti hanno, infine, permesso di valutare la sensibilità e la specificità raggiunti dalla indagine molecolare comparando il risultato con il dato istologico. L’impiego dell’intero pannello di marcatori oggetto di studio ha mostrato una sensibilità del 70% e una specificità dell’81%. Il calcolo dei valori ottenuti considerando singolarmente ogni tipo di alterazione ha permesso di confermare che il maggior contributo alla significatività diagnostica del test è fornito dallo studio dello stato mutazionale del gene BRAF. Resta comunque aperta la possibilità di rivalutare nel corso del tempo l’effetto apportato dagli altri geni, in seguito alla acquisizione di nuove informazioni clinicopatologiche, e l’incremento della accuratezza diagnostica mediante la eventuale introduzione di nuovi marcatori.

Sviluppo e validazione di metodiche per l’analisi molecolare nella diagnostica dei noduli tiroidei / Irene Mancini. - (2014).

Sviluppo e validazione di metodiche per l’analisi molecolare nella diagnostica dei noduli tiroidei

MANCINI, IRENE
2014

Abstract

Tesi di Dottorato. L’attività di ricerca svolta ha avuto come obiettivo principale la ottimizzazione di un protocollo per l’analisi molecolare dei marcatori tumorali descritti in letteratura nel contesto dei carcinomi differenziati della tiroide. Il lavoro nasce in risposta alla volontà di introdurre l’indagine molecolare nel percorso assistenziale previsto per i pazienti affetti da patologia nodulare della tiroide, afferenti all’ambulatorio dell’Unità di Endocrinologia dell’Azienda Ospedaliera Careggi. La ricerca si è, quindi, sviluppata nello studio delle mutazioni a carico dei geni BRAF, KRAS, NRAS, HRAS e dei riarrangiamenti RET/PTC1, RET/PTC3 e PAX8/PPARγ che rappresentano le alterazioni, secondo la letteratura in materia, più frequenti nella carcinogenesi delle cellule follicolari tiroidee. I principali aspetti considerati per la selezione dell’approccio metodologico sono stati: l’impiego di tecniche già consolidate presso il laboratorio dell’Unità di Biochimica Clinica del Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche; l’allestimento di saggi molecolari da eseguire in parallelo e con tempi di esecuzione e risposta sufficientemente rapidi oltre che sensibili e specifici; l’impiego di un campione biologico di semplice reperibilità per la collezione del quale non si rendesse necessario alcun aumento di invasività per i pazienti. Al fine di esplorare il significato dei risultati forniti dall’indagine molecolare è stata, inoltre, fondamentale la raccolta di informazioni cliniche e del dato citologico e istologico relativo ai noduli analizzati. Lo studio riporta i risultati ottenuti dall’analisi molecolare di una casistica complessiva di 430 campioni di materiale citologico da noduli tiroidei di pazienti sottoposti a agobiopsia presso l’Unità di Endocrinologia. Per la valutazione iniziale dei metodi previsti nello studio è stata analizzata una casistica iniziale composta da 100 campioni per 45 dei quali era disponibile sia un campione citologico vero e proprio, derivante da una seconda biopsia a livello dello stesso nodulo, sia il lavaggio del materiale residuo del primo agoaspirato inviato all’analisi citologica. Lo studio di validazione del metodo ha dimostrato, mediante l’impiego di saggi di PCR real time per geni di controllo (GAPDH, Tireoglobulina, BRAF), la possibilità di impiego non soltanto del materiale citologico vero e proprio per l’analisi molecolare ma anche del campione di lavaggio. Soltanto 25 campioni su un totale 430 lavaggi analizzati si sono, infatti, rivelati non idonei per l’analisi molecolare. L’analisi High Resolution Melting, scelta come metodo di pre-screening, dei prodotti di amplificazione, ottenuti mediante la amplificazione con primer specifici per le regioni di interesse, ha mostrato le caratteristiche desiderate sia in termini di sensibilità che di specificità per la selezione dei campioni positivi. Grazie all’approccio metodologico impiegato, sono stati individuati 77 campioni positivi per la presenza di una alterazione genetica con una distribuzione diversa nelle categorie diagnostiche della citologia: 7/56 campioni in classe Tir1 (inadeguati), 10/184 in classe Tir2 (benigni), 33/155 in Tir3 (proliferazioni follicolari di incerto significato), 12/19 in Tir4 (sospetti), 15/16 in Tir5 (carcinomi). In particolare, l’analisi delle alterazioni genetiche ha confermato che la mutazione riscontrata con maggior frequenza nel contesto dei carcinomi differenziati della tiroide è rappresentata dalla p.V600E nel gene BRAF. Il dato risulta coerente con la incidenza nettamente superiore di carcinomi papillari, rispetto alle altre varianti di carcinoma differenziato, per i quali sembra essere un marcatore estremamente specifico. Per 91 noduli appartenenti alla casistica analizzata è stato, inoltre, possibile effettuare un confronto tra il genotipo identificato nel campione citologico e l’esito dell’esame istologico. La presenza della mutazione BRAF p.V600E è stata individuata in 14 su 22 campioni con diagnosi di carcinoma papillare. Sono stati, inoltre, individuati 6 campioni positivi per la stessa mutazione in campioni classificati come lesioni di natura benigna durante la analisi citologica. Soltanto per uno di questi noduli si è reso disponibile l’esito dell’esame istologico il quale ha fornito un risultato concorde con l’analisi molecolare, contribuendo ad avvalorare il valore predittivo positivo del marcatore. Analogamente, la presenza di un riarrangiamento cromosomico RET/PTC, ha mostrato un potente significato diagnostico. Tre campioni portatori del riarrangiamento RET/PTC1 sono stati confermati all’esame istologico carcinomi papillari della tiroide. Nessun campione ha mostrato la presenza di riarrangiamenti PAX8/PPARγ, motivo per il quale potrà essere considerata la rimozione di tale marcatore dal pannello in esame e la sostituzione con nuovi marcatori. Infine, l’analisi di mutazioni a carico delle isoforme di RAS ha portato alla identificazione di una variante di sequenza in otto campioni che all’esame istologico sono risultati negativi mentre soltanto per quattro campioni mutati in uno dei geni RAS è stata confermata la presenza di una neoplasia. Questo ha portato a considerare RAS come un marcatore meno specifico di malignità in quanto frequentemente riscontrato anche a livello di adenomi follicolari. Importante sarà comprendere se mutazioni a carico di questi geni insorgano in fasi estremamente precoci del processo di trasformazione neoplastica e possano determinare l’evoluzione del nodulo verso un fenotipo maligno. Inoltre, risulterà interessante investigare il significato biologico della identificazione di quattro campioni portatori contemporaneamente della mutazione BRAF p.V600E e di una mutazione a livello dei geni RAS. I risultati ottenuti hanno, infine, permesso di valutare la sensibilità e la specificità raggiunti dalla indagine molecolare comparando il risultato con il dato istologico. L’impiego dell’intero pannello di marcatori oggetto di studio ha mostrato una sensibilità del 70% e una specificità dell’81%. Il calcolo dei valori ottenuti considerando singolarmente ogni tipo di alterazione ha permesso di confermare che il maggior contributo alla significatività diagnostica del test è fornito dallo studio dello stato mutazionale del gene BRAF. Resta comunque aperta la possibilità di rivalutare nel corso del tempo l’effetto apportato dagli altri geni, in seguito alla acquisizione di nuove informazioni clinicopatologiche, e l’incremento della accuratezza diagnostica mediante la eventuale introduzione di nuovi marcatori.
2014
Prof. Mario Pazzagli
Irene Mancini
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Tipologia: Tesi di dottorato
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