Il saggio analizza le difficoltà di dialogo esistenti tra la storiografia sulla lotta armata e la storiografia sull'Italia degli anni '70, rafforzate dalla svolta del 1989 e dalla fine del secolo breve. Ragioni politiche e generazionali hanno ostacolato il confronto con il tabù della violenza, ma non lo ha favorito neanche la tendenza – presente nella più recente storiografia - ad anticipare agli anni ’70 l’inizio della transizione verso gli orizzonti politici, economici e mentali che sarebbero stati dischiusi dalla caduta del muro di Berlino. Se le polemiche interne alla sinistra sulla violenza politica e la lotta armata hanno avuto l’effetto di sottrarle all’interesse generale, i nuovi indirizzi storiografici e il modo in cui sono stati recepiti le hanno proiettate in una dimensione che finisce per cancellarle. La caduta del bipolarismo e la nascita della storia globale hanno inevitabilmente provincializzato l’Europa (e a maggior ragione l’Italia), mentre il crollo del mondo comunista e del concetto stesso di rivoluzione, con la fine del modello fordista taylorista incentrato sulla fabbrica e l’impressione netta di una sconfitta del movimento operaio , hanno ridotto la sensibilità nei confronti di un fenomeno che, piaccia o meno, fa parte della storia della sinistra. In Italia la sensazione della chiusura di un’epoca, forse più profonda che altrove, e le proporzioni della crisi politica ed economica seguita alla fine della cosiddetta prima Repubblica hanno rafforzato l’immagine degli anni ’70 e degli anni ’80 come una lunga fase di incubazione. Visti come l’inizio del mondo odierno, la rottura del sistema politico-istituzionale operata nel biennio ’68-’69 e la recessione economica accelerata dallo shock petrolifero del ’73, hanno finito per caricare il decennio di significati univoci. Di fatto, gli spazi in cui collocare fenomeni come quelli della violenza politica e del terrorismo, sia di destra che di sinistra, si sono ridotti. In questo senso la parabola compiuta dalla violenza politica, dalla lotta armata e dal terrorismo di sinistra, posta a cavallo tra il vecchio e il nuovo, si inscrive in una terra di nessuno e finisce per soffrire di “censure” plurime. Pur riassumendo le antinomie della militanza rivoluzionaria novecentesca, sospesa tra esaltazione e mortificazione della libertà , al fenomeno eversivo degli anni ’70 è negata non solo ogni legittimità morale e politica – il che è ovvio – ma anche storica. Per compiere un salto di qualità è indispensabile una puntuale contestualizzazione del fenomeno armato, che in primo luogo significa restituirlo alla storia italiana, come parte integrante e non separata, pur senza perdere di vista un contesto geografico e anche temporale più ampio, e allo stesso tempo le numerose varianti locali. Violenza politica e terrorismo di sinistra appaiono in questo senso il frutto della transizione italiana, in cui vecchio e nuovo si mescolarono. In questa ottica si può forse rileggere il fenomeno armato alla luce delle suggestioni storiografiche più recenti, senza che necessariamente debba essere cancellato dalle nuove prospettive globali: perché in realtà tutto, macro e micro temi, fanno parte della stessa storia, e la scommessa, semmai, è tenere conto della vastità e della contraddittorietà degli scenari. The essays focuses on the problems of dialogue between the historiography on the left-wing armed struggle and the historiography about 1970s Italy, fortified with the end of Cold War and of the short century. Really to analyze the left-wing terrorism from a mature historiographical point of view it is necessary to consider it as an outcome of the complex Italian transition.

Anni settanta e lotta armata. Una storia da dimenticare? / Galfré, Monica. - In: ITALIA CONTEMPORANEA. - ISSN 0392-1077. - STAMPA. - 279:(2015), pp. 556-568.

Anni settanta e lotta armata. Una storia da dimenticare?

GALFRE', MONICA
2015

Abstract

Il saggio analizza le difficoltà di dialogo esistenti tra la storiografia sulla lotta armata e la storiografia sull'Italia degli anni '70, rafforzate dalla svolta del 1989 e dalla fine del secolo breve. Ragioni politiche e generazionali hanno ostacolato il confronto con il tabù della violenza, ma non lo ha favorito neanche la tendenza – presente nella più recente storiografia - ad anticipare agli anni ’70 l’inizio della transizione verso gli orizzonti politici, economici e mentali che sarebbero stati dischiusi dalla caduta del muro di Berlino. Se le polemiche interne alla sinistra sulla violenza politica e la lotta armata hanno avuto l’effetto di sottrarle all’interesse generale, i nuovi indirizzi storiografici e il modo in cui sono stati recepiti le hanno proiettate in una dimensione che finisce per cancellarle. La caduta del bipolarismo e la nascita della storia globale hanno inevitabilmente provincializzato l’Europa (e a maggior ragione l’Italia), mentre il crollo del mondo comunista e del concetto stesso di rivoluzione, con la fine del modello fordista taylorista incentrato sulla fabbrica e l’impressione netta di una sconfitta del movimento operaio , hanno ridotto la sensibilità nei confronti di un fenomeno che, piaccia o meno, fa parte della storia della sinistra. In Italia la sensazione della chiusura di un’epoca, forse più profonda che altrove, e le proporzioni della crisi politica ed economica seguita alla fine della cosiddetta prima Repubblica hanno rafforzato l’immagine degli anni ’70 e degli anni ’80 come una lunga fase di incubazione. Visti come l’inizio del mondo odierno, la rottura del sistema politico-istituzionale operata nel biennio ’68-’69 e la recessione economica accelerata dallo shock petrolifero del ’73, hanno finito per caricare il decennio di significati univoci. Di fatto, gli spazi in cui collocare fenomeni come quelli della violenza politica e del terrorismo, sia di destra che di sinistra, si sono ridotti. In questo senso la parabola compiuta dalla violenza politica, dalla lotta armata e dal terrorismo di sinistra, posta a cavallo tra il vecchio e il nuovo, si inscrive in una terra di nessuno e finisce per soffrire di “censure” plurime. Pur riassumendo le antinomie della militanza rivoluzionaria novecentesca, sospesa tra esaltazione e mortificazione della libertà , al fenomeno eversivo degli anni ’70 è negata non solo ogni legittimità morale e politica – il che è ovvio – ma anche storica. Per compiere un salto di qualità è indispensabile una puntuale contestualizzazione del fenomeno armato, che in primo luogo significa restituirlo alla storia italiana, come parte integrante e non separata, pur senza perdere di vista un contesto geografico e anche temporale più ampio, e allo stesso tempo le numerose varianti locali. Violenza politica e terrorismo di sinistra appaiono in questo senso il frutto della transizione italiana, in cui vecchio e nuovo si mescolarono. In questa ottica si può forse rileggere il fenomeno armato alla luce delle suggestioni storiografiche più recenti, senza che necessariamente debba essere cancellato dalle nuove prospettive globali: perché in realtà tutto, macro e micro temi, fanno parte della stessa storia, e la scommessa, semmai, è tenere conto della vastità e della contraddittorietà degli scenari. The essays focuses on the problems of dialogue between the historiography on the left-wing armed struggle and the historiography about 1970s Italy, fortified with the end of Cold War and of the short century. Really to analyze the left-wing terrorism from a mature historiographical point of view it is necessary to consider it as an outcome of the complex Italian transition.
2015
279
556
568
Galfré, Monica
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