Nel 2003 la National Gallery of Canada ha riaperto le sale dedicate alla storia dell’arte canadese con un nuovo allestimento che ha incluso per la prima volta un’esposizione di oggetti aborigeni. Queste sale prima di allora rappresentavano la storia dell’arte canadese a partire dall’arrivo degli Europei fino ai giorni nostri. Questo nuovo allestimento si è mostrato ancora più significativo perché all’interno di una istituzione nazionale, che opera con il mandato governativo di promuovere l’identità canadese e che, assieme ad altre, può essere letta come un potente strumento per la costruzione e nel rafforzamento del senso di nazione. Gli anni ‘80 nel mondo del patrimonio e dei musei in Canada rappresentano un momento conflittuale, di rottura. In varie occasioni, che rapidamente si prendono in considerazione, il patrimonio e i musei sono diventati un luogo attraverso il quale le popolazioni indigene hanno espresso istanze identitarie e di resistenza nei confronti di situazioni sentite come oppressive. Il patrimonio in contesti come il Canada, caratterizzato da una storia marcatamente coloniale e poi dall’arrivo massiccio di comunità di nuovo insediamento, è diventato insomma oggetto e strumento di battaglie politiche fatte allo scopo di veder riconosciuti diritti di varia natura. Gli sforzi e le modalità di inclusione - come quello proposto dalla National Gallery - che sperimentano nuovi modi di organizzazione delle cose materiali, vanno letti come tentativi di decolonizzare il sistema museale nel suo insieme. Propongo di leggere questi tentativi inclusivi in parallelo con la grande e conclamata crisi dei musei etnografici europei ed il loro conseguente interrogarsi sulle proprie identità e missioni. Ipotizzo che entrambe le situazioni possono essere lette come conseguenza dell'apertura a forme di rappresentazione di tipo collaborativo e condiviso, che a loro volta rappresentano una riposta alla crisi dell'autorità di rappresentazione. In 2003 the National Gallery of Canada re-opened the Galleries dedicated to the History of Canadian Art with a new display, which included –for the first time — an exhibition of Aboriginal artifacts. Until then, the Canadian History of Art had been displayed in the galleries, taking at its starting point the arrival of Europeans up to present. Happening in a national institution, which operates with the Government mandate to promote Canadian identity, this new display takes on a new significance and can be read, together with other institutions, as a powerful instrument for the building and strengthening of the sense of Nation. The 80s in the world of heritage and museums in Canada represent a conflicting moment. In many circumstances, as I recall here briefly, museums and cultural heritage became spaces trough which Aboriginals people expressed requests for the recognition of their identities, at the same time fighting against what they felt as oppressive conditions. In the Canadian context characterized by a strong colonial history and, later, by a massive arrival of settler communities, cultural heritage became an instrument used in political battles for the recognition of different rights. These efforts and aims for inclusion– like the one enacted by the National Gallery – which research new ways of presenting artifacts have to be read as a way to decolonize the museum system as a whole. I suggest to read these attempts towards inclusion in light of the well-known crisis of representation of European ethnographic museums, a legacy of our colonial past, and the consequent questioning about their identities and missions. I deem both situations can be interpreted as consequences of the opening towards new, collaborative ways of representation, themselves a response to the crisis of museums authority to represent others.
Musei e politiche della rappresentazione. L’indigenizzazione della National Gallery of Canada / Rossi, Emanuela. - In: ARCHIVIO ANTROPOLOGICO MEDITERRANEO. - ISSN 2038-3215. - ELETTRONICO. - 17:(2015), pp. 71-80.
Musei e politiche della rappresentazione. L’indigenizzazione della National Gallery of Canada
ROSSI, EMANUELA
2015
Abstract
Nel 2003 la National Gallery of Canada ha riaperto le sale dedicate alla storia dell’arte canadese con un nuovo allestimento che ha incluso per la prima volta un’esposizione di oggetti aborigeni. Queste sale prima di allora rappresentavano la storia dell’arte canadese a partire dall’arrivo degli Europei fino ai giorni nostri. Questo nuovo allestimento si è mostrato ancora più significativo perché all’interno di una istituzione nazionale, che opera con il mandato governativo di promuovere l’identità canadese e che, assieme ad altre, può essere letta come un potente strumento per la costruzione e nel rafforzamento del senso di nazione. Gli anni ‘80 nel mondo del patrimonio e dei musei in Canada rappresentano un momento conflittuale, di rottura. In varie occasioni, che rapidamente si prendono in considerazione, il patrimonio e i musei sono diventati un luogo attraverso il quale le popolazioni indigene hanno espresso istanze identitarie e di resistenza nei confronti di situazioni sentite come oppressive. Il patrimonio in contesti come il Canada, caratterizzato da una storia marcatamente coloniale e poi dall’arrivo massiccio di comunità di nuovo insediamento, è diventato insomma oggetto e strumento di battaglie politiche fatte allo scopo di veder riconosciuti diritti di varia natura. Gli sforzi e le modalità di inclusione - come quello proposto dalla National Gallery - che sperimentano nuovi modi di organizzazione delle cose materiali, vanno letti come tentativi di decolonizzare il sistema museale nel suo insieme. Propongo di leggere questi tentativi inclusivi in parallelo con la grande e conclamata crisi dei musei etnografici europei ed il loro conseguente interrogarsi sulle proprie identità e missioni. Ipotizzo che entrambe le situazioni possono essere lette come conseguenza dell'apertura a forme di rappresentazione di tipo collaborativo e condiviso, che a loro volta rappresentano una riposta alla crisi dell'autorità di rappresentazione. In 2003 the National Gallery of Canada re-opened the Galleries dedicated to the History of Canadian Art with a new display, which included –for the first time — an exhibition of Aboriginal artifacts. Until then, the Canadian History of Art had been displayed in the galleries, taking at its starting point the arrival of Europeans up to present. Happening in a national institution, which operates with the Government mandate to promote Canadian identity, this new display takes on a new significance and can be read, together with other institutions, as a powerful instrument for the building and strengthening of the sense of Nation. The 80s in the world of heritage and museums in Canada represent a conflicting moment. In many circumstances, as I recall here briefly, museums and cultural heritage became spaces trough which Aboriginals people expressed requests for the recognition of their identities, at the same time fighting against what they felt as oppressive conditions. In the Canadian context characterized by a strong colonial history and, later, by a massive arrival of settler communities, cultural heritage became an instrument used in political battles for the recognition of different rights. These efforts and aims for inclusion– like the one enacted by the National Gallery – which research new ways of presenting artifacts have to be read as a way to decolonize the museum system as a whole. I suggest to read these attempts towards inclusion in light of the well-known crisis of representation of European ethnographic museums, a legacy of our colonial past, and the consequent questioning about their identities and missions. I deem both situations can be interpreted as consequences of the opening towards new, collaborative ways of representation, themselves a response to the crisis of museums authority to represent others.File | Dimensione | Formato | |
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