La Corte di Cassazione, a sezioni unite, risolve il quesito relativo all’ammissibilità della tecnica d’intercettazione di conversazioni tra presenti basata sull’impiego di sistemi informatici di controllo remoto (dei dispositivi elettronici in uso al soggetto da monitorare) ricorrendo al rassicurante schema del c.d. “doppio binario processuale”: attività legittima e, di conseguenza, dai risultati pienamente utilizzabili, quando si procede per reati di “criminalità organizzata” (rispetto ai quali a nessun fine rileva la specificazione dei luoghi ove viene autorizzata l’intercettazione); inammissibilità di tale strumento con riferimento ai “reati comuni”, poiché tale modalità tecnica d’intercettazione rappresenta una inevitabile elusione della previsione di cui all’art. 266, comma 2, c.p.p. Di tal ché, dal punto di vista giuridico la legittimità o meno di tali sistemi tecnologicamente avanzati di indagine dipende dalla esatta individuazione dei confini del concetto, invero assai sfumato, di criminalità organizzata. Su tale aspetto, optando per un’interpretazione di tipo sostanzialistico che valorizza l’esistenza di una struttura organizzativa, la Suprema Corte fa ricorso non solo all’elenco dei delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., ma anche a tutti “quelli comunque facenti capo ad un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di personale nel reato.
Intercettazioni di conversazioni tra presenti mediante sistemi informatici di controllo remoto / Felicioni, Paola; Torre, Marco. - In: RIVISTA DELLA GUARDIA DI FINANZA. - ISSN 0035-595X. - STAMPA. - 6:(2017), pp. 1617-1642.
Intercettazioni di conversazioni tra presenti mediante sistemi informatici di controllo remoto
FELICIONI, PAOLA;TORRE, MARCO
2017
Abstract
La Corte di Cassazione, a sezioni unite, risolve il quesito relativo all’ammissibilità della tecnica d’intercettazione di conversazioni tra presenti basata sull’impiego di sistemi informatici di controllo remoto (dei dispositivi elettronici in uso al soggetto da monitorare) ricorrendo al rassicurante schema del c.d. “doppio binario processuale”: attività legittima e, di conseguenza, dai risultati pienamente utilizzabili, quando si procede per reati di “criminalità organizzata” (rispetto ai quali a nessun fine rileva la specificazione dei luoghi ove viene autorizzata l’intercettazione); inammissibilità di tale strumento con riferimento ai “reati comuni”, poiché tale modalità tecnica d’intercettazione rappresenta una inevitabile elusione della previsione di cui all’art. 266, comma 2, c.p.p. Di tal ché, dal punto di vista giuridico la legittimità o meno di tali sistemi tecnologicamente avanzati di indagine dipende dalla esatta individuazione dei confini del concetto, invero assai sfumato, di criminalità organizzata. Su tale aspetto, optando per un’interpretazione di tipo sostanzialistico che valorizza l’esistenza di una struttura organizzativa, la Suprema Corte fa ricorso non solo all’elenco dei delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., ma anche a tutti “quelli comunque facenti capo ad un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di personale nel reato.File | Dimensione | Formato | |
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