La partecipazione appartiene (forse) oggi a quell’insieme di routine che è importante ripensare. Essa andrebbe riportata nel terreno di ciò che non si può dare per scontato e sottratta alla deriva del “senso comune”, ovvero a quell’“insieme di conoscenze, di regole, di abitudini e di convinzioni che non hanno bisogno di essere interrogate” (Jedlowski , 2008, 19). Alcune pratiche contribuiscono a evidenziare grumi di innovazione nel campo delle politiche pubbliche, verificando concretamente l’utilità della partecipazione o esaltando alcune virtù della deliberazione (civica, di governo e cognitiva) (Pellizzoni, 2005); molte altre sono invece ormai diventate abitudini poco utili alla governance o alla pianificazione delle spazio. La ragione per cui tornare a riflettere sulle abitudini cognitive che maneggiamo con familiarità e comodità, nasce dall’urgenza di contribuire alla costruzione di città più giuste e democratiche, operando in quei domini emergenti, sempre meno occupati dalle istituzioni – e spesso ignorati dalle politiche pubbliche –, sempre più abitati da soggettività autonome, imprese comunitarie, e reti di cooperazione, il cui potenziale è tutto ancora da esplorare e far fiorire nella sfera pubblica. La partecipazione ha bisogno di trovare e ri-costruire un territorio (una “trading zone”, come si spiegherà più avanti) che sia dominio condiviso tra istituzioni, nuove soggettività, impresa (sociale) e reti di cooperazione, alla luce di nuove condizioni al contorno, fortemente modificate dal carattere innovativo di una nuova, appena affiorante, generazione di politiche pubbliche e dai grandi cambiamenti della condizione urbana.
Il "farsi delle città". Oltre la comfort zone delle politiche pubbliche / Perrone, Camilla. - In: SENTIERI URBANI. - ISSN 2036-3109. - STAMPA. - 21:(2016), pp. 14-17.
Il "farsi delle città". Oltre la comfort zone delle politiche pubbliche
PERRONE, CAMILLA
2016
Abstract
La partecipazione appartiene (forse) oggi a quell’insieme di routine che è importante ripensare. Essa andrebbe riportata nel terreno di ciò che non si può dare per scontato e sottratta alla deriva del “senso comune”, ovvero a quell’“insieme di conoscenze, di regole, di abitudini e di convinzioni che non hanno bisogno di essere interrogate” (Jedlowski , 2008, 19). Alcune pratiche contribuiscono a evidenziare grumi di innovazione nel campo delle politiche pubbliche, verificando concretamente l’utilità della partecipazione o esaltando alcune virtù della deliberazione (civica, di governo e cognitiva) (Pellizzoni, 2005); molte altre sono invece ormai diventate abitudini poco utili alla governance o alla pianificazione delle spazio. La ragione per cui tornare a riflettere sulle abitudini cognitive che maneggiamo con familiarità e comodità, nasce dall’urgenza di contribuire alla costruzione di città più giuste e democratiche, operando in quei domini emergenti, sempre meno occupati dalle istituzioni – e spesso ignorati dalle politiche pubbliche –, sempre più abitati da soggettività autonome, imprese comunitarie, e reti di cooperazione, il cui potenziale è tutto ancora da esplorare e far fiorire nella sfera pubblica. La partecipazione ha bisogno di trovare e ri-costruire un territorio (una “trading zone”, come si spiegherà più avanti) che sia dominio condiviso tra istituzioni, nuove soggettività, impresa (sociale) e reti di cooperazione, alla luce di nuove condizioni al contorno, fortemente modificate dal carattere innovativo di una nuova, appena affiorante, generazione di politiche pubbliche e dai grandi cambiamenti della condizione urbana.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.