Proprietà privata e ordinamento corporativo

Il contributo affronta la questione delle trasformazioni del diritto di proprietà nel tornante successivo alla prima guerra mondiale. Attraverso una ricognizione accurata della fonti coeve e della lettura successiva, mira a ricostruire come fu recepito e declinato il tema della funzione sociale della proprietà nel ventennio infrabellico caratterizzato, in Italia, dalla presenza del regime fascista e dalla costruzione dell'ordinamento corporativo, ordinamento che avrebbe dovuto costituire la specifica risposta italiana al problema della terza via. Il saggio mira ad articolare le tradizionali letture storiografiche che tendono a scorgere due sole anime del discorso giuridico, quella dei giuristi di regime e quella dei giuristi 'tradizionali': su questa base vengono identificate tre principali risposte: la risposta di chi tematizza il ruolo della proprietà (e del corporativismo) coerentemente con l'esigenza di edificare uno Stato totalitario, improntato alla massima strumentalizzazione degli apporti individuali; la risposta di chi continua a ritenere valida, perché l'unica possibile, la visione individualistico-potestativa di proprietà; e infine la risposta di chi tenta di superare quest'ultima visione pur senza accedere alla visione totalitaria. Il saggio connette queste diverse visioni della proprietà alla questione epistemologica, al modo, cioè, col quale i giuristi concepiscono il loro lavoro e il rapporto con la temporalità storica (su cosa lavora il giurista? solo sullo ius positum? sullo ius condendum? e, in quest'ultimo caso, come compone nel proprio discorso persistenze e cesure? come si rapporta alla direttiva politica?). A emergere è un quadro di risposte particolarmente articolato che consente anche di affrontare la questione della codificazione civile del 1942, del suo rapporto con la tradizione, non meno che con le novità portate sul terreno storico dal Novecento (non necessariamente dal fascismo).