Il progetto paesaggistico dei luoghi plasmati dalle attività estrattive costituisce una categoria ben definita, indagata e praticata più diffusamente a partire dagli anni ’70 del Novecento. Se si escludono alcuni ‘prototipi’ d’eccellenza, i siti estrattivi e minerari sono stati generalmente letti, almeno fino alla prima metà del XX secolo, come una aggressione al significato originario di paesaggio, inteso nella accezione pastorale del termine, che contrapponeva Natura ed Architettura su due fronti antitetici ed inconciliabili . Fino alla seconda metà degli anni ’60 del Novecento, i progettisti, con il supporto culturale e scientifico della visione ecologica, consideravano le aree dismesse dalle funzioni industriali e minerarie come “paesaggi da rimuovere”, in quanto brucianti testimonianze di colpe commesse dalla società dei consumi contro la figura materna della Natura primigenia. La rivoluzione estetica e culturale che modificherà in maniera sostanziale questa modalità consolidata di approccio ai siti post-produttivi viene innescata, come spesso accade, dagli sguardi ‘vagabondi’ e dai percorsi sperimentali degli artisti contemporanei che contribuiscono ad attivare nuove forme di lettura e di interpretazione dei paesaggi interessati da fenomeni di sfruttamento industriale e minerario. Il tema dell'entropia, del consumo irreversibile di suolo e di paesaggio e delle conseguenti molteplici identità potenziali che affiorano allo sguardo dell'artista e delle società attraverso gli stati "processuali" delle progressive trasformazioni viene affrontato con continuità nelle opere e negli scritti da Robert Smithson, esploratore delle rovine del contemporaneo e inventore delle "inverse ruins".

Luoghi minerari ed archeologie culturali. Temi e strumenti per il progetto di paesaggio / Tessa, Matteini. - In: RICERCHE STORICHE. - ISSN 0392-162X. - STAMPA. - anno XLII, n. 3:(2013), pp. 367-400.

Luoghi minerari ed archeologie culturali. Temi e strumenti per il progetto di paesaggio

Tessa Matteini
2013

Abstract

Il progetto paesaggistico dei luoghi plasmati dalle attività estrattive costituisce una categoria ben definita, indagata e praticata più diffusamente a partire dagli anni ’70 del Novecento. Se si escludono alcuni ‘prototipi’ d’eccellenza, i siti estrattivi e minerari sono stati generalmente letti, almeno fino alla prima metà del XX secolo, come una aggressione al significato originario di paesaggio, inteso nella accezione pastorale del termine, che contrapponeva Natura ed Architettura su due fronti antitetici ed inconciliabili . Fino alla seconda metà degli anni ’60 del Novecento, i progettisti, con il supporto culturale e scientifico della visione ecologica, consideravano le aree dismesse dalle funzioni industriali e minerarie come “paesaggi da rimuovere”, in quanto brucianti testimonianze di colpe commesse dalla società dei consumi contro la figura materna della Natura primigenia. La rivoluzione estetica e culturale che modificherà in maniera sostanziale questa modalità consolidata di approccio ai siti post-produttivi viene innescata, come spesso accade, dagli sguardi ‘vagabondi’ e dai percorsi sperimentali degli artisti contemporanei che contribuiscono ad attivare nuove forme di lettura e di interpretazione dei paesaggi interessati da fenomeni di sfruttamento industriale e minerario. Il tema dell'entropia, del consumo irreversibile di suolo e di paesaggio e delle conseguenti molteplici identità potenziali che affiorano allo sguardo dell'artista e delle società attraverso gli stati "processuali" delle progressive trasformazioni viene affrontato con continuità nelle opere e negli scritti da Robert Smithson, esploratore delle rovine del contemporaneo e inventore delle "inverse ruins".
2013
anno XLII, n. 3
367
400
Tessa, Matteini
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