Scopo di questo contributo è, innanzitutto, chiarire in che senso e per quali ragioni la setta costituisca una formazione sociale antipolitica. In questo quadro, cercherò di argomentare che il carattere antipolitico della setta consiste, da una parte, in una esigenza non negoziabile di libertà dal potere politico (libertà negativa); dall’altra, in quell’intreccio fra indisponibilità all’obbedienza e disinteresse per il comando che definisce la setta come una forma di anarchismo religioso. La ricostruzione del carattere antipolitico della setta richiederà una ricognizione del significato specifico che Weber attribuisce all’opposizione idealtipica fra setta e chiesa e del rapporto fra immagini religiose del mondo, processi di soggettivazione e caratteristiche delle formazioni religiose. In questa prospettiva, il carattere antipolitico della setta verrà ricostruito a partire da alcuni principi che definiscono la setta come formazione sociale: orizzontalità dell’interazione ed elettività dell’appartenenza, da una parte; particolarismo e mancanza di responsabilità, dall’altra. Questo percorso consentirà di evidenziare come la setta veicoli una forma di soggettività incline all’autogoverno, alla responsabilità individuale condivisa per ciò che è comune, ma anche come questa propensione non comporti affatto una disponibilità alla partecipazione politica democratica. La setta possiede un potenziale antipolitico che ostacola e inibisce la partecipazione alla politica delle democrazie e che ha favorito semmai un intreccio fecondo fra la garanzia delle libertà liberali e la costruzione di una compagine statale di tipo federalistico con limitate forme di burocratizzazione. Il liberalismo antipolitico della setta si trova, insomma, in un rapporto di affinità elettiva con l’autogoverno degli uguali, non con la democrazia politica dei diversi. La mia tesi è, dunque, che il contributo positivo della setta alla vita democratica vada individuato non tanto nella setta in quanto tale, nella presenza diffusa di formazioni religiose conformi al tipo puro della setta, quanto piuttosto nella loro eredità, in ciò che costituisce il prodotto della loro secolarizzazione. Per essere più precisi: in quella forma di individualismo societario – di pluralismo associativo – che si è sviluppato a partire dalla religiosità puritana, ma che ha potuto dispiegare i suoi effetti positivi in termini di incentivazione alla partecipazione attiva alla vita democratica soltanto in virtù dell’attenuazione/declino/trasformazione dei caratteri più coerentemente puritani della religiosità di setta. Ancora una volta – in questo caso come in quello dello spirito del capitalismo – una eterogenesi dei fini.

La genealogia della libertà dei moderni tra autogoverno e indifferenza. La setta come fenomeno anti-politico in Max Weber / Dimitri, D'Andrea. - In: RIFORMA E MOVIMENTI RELIGIOSI. - ISSN 2532-5000. - STAMPA. - 1:(2017), pp. 69-112.

La genealogia della libertà dei moderni tra autogoverno e indifferenza. La setta come fenomeno anti-politico in Max Weber

Dimitri D'Andrea
2017

Abstract

Scopo di questo contributo è, innanzitutto, chiarire in che senso e per quali ragioni la setta costituisca una formazione sociale antipolitica. In questo quadro, cercherò di argomentare che il carattere antipolitico della setta consiste, da una parte, in una esigenza non negoziabile di libertà dal potere politico (libertà negativa); dall’altra, in quell’intreccio fra indisponibilità all’obbedienza e disinteresse per il comando che definisce la setta come una forma di anarchismo religioso. La ricostruzione del carattere antipolitico della setta richiederà una ricognizione del significato specifico che Weber attribuisce all’opposizione idealtipica fra setta e chiesa e del rapporto fra immagini religiose del mondo, processi di soggettivazione e caratteristiche delle formazioni religiose. In questa prospettiva, il carattere antipolitico della setta verrà ricostruito a partire da alcuni principi che definiscono la setta come formazione sociale: orizzontalità dell’interazione ed elettività dell’appartenenza, da una parte; particolarismo e mancanza di responsabilità, dall’altra. Questo percorso consentirà di evidenziare come la setta veicoli una forma di soggettività incline all’autogoverno, alla responsabilità individuale condivisa per ciò che è comune, ma anche come questa propensione non comporti affatto una disponibilità alla partecipazione politica democratica. La setta possiede un potenziale antipolitico che ostacola e inibisce la partecipazione alla politica delle democrazie e che ha favorito semmai un intreccio fecondo fra la garanzia delle libertà liberali e la costruzione di una compagine statale di tipo federalistico con limitate forme di burocratizzazione. Il liberalismo antipolitico della setta si trova, insomma, in un rapporto di affinità elettiva con l’autogoverno degli uguali, non con la democrazia politica dei diversi. La mia tesi è, dunque, che il contributo positivo della setta alla vita democratica vada individuato non tanto nella setta in quanto tale, nella presenza diffusa di formazioni religiose conformi al tipo puro della setta, quanto piuttosto nella loro eredità, in ciò che costituisce il prodotto della loro secolarizzazione. Per essere più precisi: in quella forma di individualismo societario – di pluralismo associativo – che si è sviluppato a partire dalla religiosità puritana, ma che ha potuto dispiegare i suoi effetti positivi in termini di incentivazione alla partecipazione attiva alla vita democratica soltanto in virtù dell’attenuazione/declino/trasformazione dei caratteri più coerentemente puritani della religiosità di setta. Ancora una volta – in questo caso come in quello dello spirito del capitalismo – una eterogenesi dei fini.
2017
1
69
112
Dimitri, D'Andrea
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