Il contributo si interroga sulla natura delle Vite di Vespasiano, un testo riconducibile per molti versi al filone quattrocentesco dei ‘commentari’, e affronta il problema del laborioso processo che portò alla loro ideazione e costruzione. L’ampia raccolta di documenti, materiali, voci e testimonianze che delle Vite sono la più autentica sostanza, non deve essere vista infatti soltanto come frutto dello sforzo tardo e solitario compiuto dalla memoria dell’autore, ma piuttosto come il risultato di un lungo lavoro di documentazione e di una collaborazione con molteplici interlocutori. In questa prospettiva, ad essere preso in esame è un episodio in genere trascurato, appartenente a quella che possiamo considerare in un certo senso la preistoria delle Vite, ossia la collaborazione tra Vespasiano e il suo amico e maestro Giannozzo Manetti, che alla metà degli anni Cinquanta portò l’umanista fiorentino a comporre l’orazione funebre per il cavaliere fiorentino Giannozzo Pandolfini. Manetti infatti compose quest’opera su richiesta e a partire da notizie e materiali forniti da Vespasiano, che in quell’occasione si faceva portavoce dei desideri di una famiglia a cui era profondamente legato, mettendo mano al tempo stesso a quello che potrebbe essere considerato in un certo senso il suo primo ‘commentario’ dedicato alla vita di un illustre concittadino. L’episodio da un lato dimostra che l’interesse di Vespasiano per la sopravvivenza della memoria degli “uomini singulari” della sua città va collocato in una fase assai precoce della sua attività, ben prima di quel ritiro nella “solitudine” dell’Antella in cui tradizionalmente sotto il segno di un nostalgico ricordo viene di solito collocata la concezione delle Vite; dall’altro, mette bene in luce la natura profondamente collaborativa che anima l’opera di Vespasiano. Con l’orazione di Manetti per Giannozzo Pandolfini vedeva la luce il primo atto di una trilogia scritta, per così dire, a quattro mani, e che copriva per tre generazioni la storia della famiglia Pandolfini: sviluppando altrettanti spunti contenuti nell’orazione di Manetti, Vespasiano avrebbe infatti composto successivamente sia la vita del padre di Giannozzo, Agnolo Pandolfini, sia la vita del suo figlio primogenito, Pandolfo.
Letteratura, arte e politica nella Firenze del Quattrocento. La collaborazione tra Vespasiano e Manetti per l’Oratio funebris di Giannozzo Pandolfini / Boschetto, Luca. - STAMPA. - (2016), pp. 23-37. (Intervento presentato al convegno Palaeography Manuscript Illumination and Humanism in Renaissance Italy tenutosi a King's College - The Warburg Institute nel 17-19 novembre 2011).
Letteratura, arte e politica nella Firenze del Quattrocento. La collaborazione tra Vespasiano e Manetti per l’Oratio funebris di Giannozzo Pandolfini
Boschetto, Luca
2016
Abstract
Il contributo si interroga sulla natura delle Vite di Vespasiano, un testo riconducibile per molti versi al filone quattrocentesco dei ‘commentari’, e affronta il problema del laborioso processo che portò alla loro ideazione e costruzione. L’ampia raccolta di documenti, materiali, voci e testimonianze che delle Vite sono la più autentica sostanza, non deve essere vista infatti soltanto come frutto dello sforzo tardo e solitario compiuto dalla memoria dell’autore, ma piuttosto come il risultato di un lungo lavoro di documentazione e di una collaborazione con molteplici interlocutori. In questa prospettiva, ad essere preso in esame è un episodio in genere trascurato, appartenente a quella che possiamo considerare in un certo senso la preistoria delle Vite, ossia la collaborazione tra Vespasiano e il suo amico e maestro Giannozzo Manetti, che alla metà degli anni Cinquanta portò l’umanista fiorentino a comporre l’orazione funebre per il cavaliere fiorentino Giannozzo Pandolfini. Manetti infatti compose quest’opera su richiesta e a partire da notizie e materiali forniti da Vespasiano, che in quell’occasione si faceva portavoce dei desideri di una famiglia a cui era profondamente legato, mettendo mano al tempo stesso a quello che potrebbe essere considerato in un certo senso il suo primo ‘commentario’ dedicato alla vita di un illustre concittadino. L’episodio da un lato dimostra che l’interesse di Vespasiano per la sopravvivenza della memoria degli “uomini singulari” della sua città va collocato in una fase assai precoce della sua attività, ben prima di quel ritiro nella “solitudine” dell’Antella in cui tradizionalmente sotto il segno di un nostalgico ricordo viene di solito collocata la concezione delle Vite; dall’altro, mette bene in luce la natura profondamente collaborativa che anima l’opera di Vespasiano. Con l’orazione di Manetti per Giannozzo Pandolfini vedeva la luce il primo atto di una trilogia scritta, per così dire, a quattro mani, e che copriva per tre generazioni la storia della famiglia Pandolfini: sviluppando altrettanti spunti contenuti nell’orazione di Manetti, Vespasiano avrebbe infatti composto successivamente sia la vita del padre di Giannozzo, Agnolo Pandolfini, sia la vita del suo figlio primogenito, Pandolfo.File | Dimensione | Formato | |
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