Il saggio analizza il modo in cui "L’amica geniale" di Elena Ferrante, uno dei più grandi successi letterari degli ultimi tempi, racconta i decenni del secondo dopoguerra italiano, che appaiono oggi il contenitore delle grandi speranze e anche delle grandi delusioni del ’900. Andando al di là di un discorso metodologico, si tratta di porre a confronto - sui nodi e sui temi affrontati dal lungo romanzo della Ferrante - il discorso storico e un altro tipo di narrazione del passato, verificando gli eventuali punti di convergenza, di contrasto o di complementarità, nella consapevolezza che non c’è niente di così poco univoco come il rapporto tra storia e letteratura. Del resto, negli ultimi anni, il tanto dibattere di public history ha sollecitato a interrogarsi sulle forme di narrazione destinate al grande pubblico e sul ruolo ormai ineludibile che esse svolgono nella costruzione del comune senso storico, grazie anche a una facilità di approccio di cui lo storico di mestiere non è padrone. Al romanzo in generale è infatti riconosciuta la capacità di restituire i respiri individuali - e per questo ritenuti più veri -delle vicende collettive, valorizzando quella «piccola X» che finirebbe altrimenti per naufragare nel mare indistinto del passato. Nei quattro volumi dell’"Amica geniale" colpisce il parallelismo tra la trama esistenziale delle due protagoniste e l’evolvere del contesto generale, che si conclude con la crisi e poi lo sgretolamento dell’assetto che il paese si è dato dopo la guerra. Al centro del romanzo vi sono, tra gli altri, lingua e scrittura, che richiamano problemi italiani di lungo periodo, la tormentata nazionalizzazione e la difficile dialettica tra centro e periferia, su cui gli storici hanno riflettuto a lungo. L’universalità e lo strepitoso successo del libro sono dovuti non di meno al fatto di presentarsi come «un laboratorio dell’immaginario per quelle periferie del mondo globalizzato che stanno acquisendo una nuova centralità». Ma non ha molto senso considerare il capolavoro della Ferrante una via di accesso al passato senza mediazioni, al di là e al di sopra delle verità della storia. In realtà né i romanzi né la storiografia coincidono con la «banalità scoordinata, antiestetica, illogica, sformata, delle cose». Se la letteratura riesce talvolta a essere più vera, è proprio perché è libera di usare la finzione: bisogna inventare - si potrebbe concludere - per essere credibili.

La storia "geniale" di Elena Ferrante / Monica Galfré. - In: PASSATO E PRESENTE. - ISSN 1120-0650. - STAMPA. - 108:(2019), pp. 111-130.

La storia "geniale" di Elena Ferrante

Monica Galfré
2019

Abstract

Il saggio analizza il modo in cui "L’amica geniale" di Elena Ferrante, uno dei più grandi successi letterari degli ultimi tempi, racconta i decenni del secondo dopoguerra italiano, che appaiono oggi il contenitore delle grandi speranze e anche delle grandi delusioni del ’900. Andando al di là di un discorso metodologico, si tratta di porre a confronto - sui nodi e sui temi affrontati dal lungo romanzo della Ferrante - il discorso storico e un altro tipo di narrazione del passato, verificando gli eventuali punti di convergenza, di contrasto o di complementarità, nella consapevolezza che non c’è niente di così poco univoco come il rapporto tra storia e letteratura. Del resto, negli ultimi anni, il tanto dibattere di public history ha sollecitato a interrogarsi sulle forme di narrazione destinate al grande pubblico e sul ruolo ormai ineludibile che esse svolgono nella costruzione del comune senso storico, grazie anche a una facilità di approccio di cui lo storico di mestiere non è padrone. Al romanzo in generale è infatti riconosciuta la capacità di restituire i respiri individuali - e per questo ritenuti più veri -delle vicende collettive, valorizzando quella «piccola X» che finirebbe altrimenti per naufragare nel mare indistinto del passato. Nei quattro volumi dell’"Amica geniale" colpisce il parallelismo tra la trama esistenziale delle due protagoniste e l’evolvere del contesto generale, che si conclude con la crisi e poi lo sgretolamento dell’assetto che il paese si è dato dopo la guerra. Al centro del romanzo vi sono, tra gli altri, lingua e scrittura, che richiamano problemi italiani di lungo periodo, la tormentata nazionalizzazione e la difficile dialettica tra centro e periferia, su cui gli storici hanno riflettuto a lungo. L’universalità e lo strepitoso successo del libro sono dovuti non di meno al fatto di presentarsi come «un laboratorio dell’immaginario per quelle periferie del mondo globalizzato che stanno acquisendo una nuova centralità». Ma non ha molto senso considerare il capolavoro della Ferrante una via di accesso al passato senza mediazioni, al di là e al di sopra delle verità della storia. In realtà né i romanzi né la storiografia coincidono con la «banalità scoordinata, antiestetica, illogica, sformata, delle cose». Se la letteratura riesce talvolta a essere più vera, è proprio perché è libera di usare la finzione: bisogna inventare - si potrebbe concludere - per essere credibili.
2019
108
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130
Monica Galfré
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