Quando Ruskin scopre con i dagherotipi il potenziale di ciò che diventerà a breve la fotografia sembra non riuscirne farne più a meno, dimostrandosi “moderno” pure in questa visione. Le lastre meccaniche potevano facilmente riprodurre la realtà del costruito, velocemente e con più dettagli e precisione rispetto al suo, se pur virtuoso, disegno, che comunque non abbandona, ritenendolo forse più “selettivo”. In questo caso, pensa che la tecnica innovativa possa essere d'aiuto per documentare ciò che è destinato a perdersi per deterioramento o per manomissione. Non riesce però ad immaginare le insidie di questo strumento d'indagine. In quanto istantanea la fotografia fissa una memoria e consente di rivederla anche dopo le inevitabili trasformazioni. Catturare un frammento del tempo è un’operazione semplificatoria rispetto al suo scorrere e la continuità dello spazio, ma significativa. E’ evidente che la realtà non può essere colta nella sua complessità con un unico tratto, trascurando la moltitudine di possibilità di visione. Un fotogramma è sempre la riproposizione di un frammento di realtà estrapolato da una visione prospettica unitaria: la molteplicità dei punti di vista, infiniti, comporta la soggettività dei punti di vista, è inevitabile. Se è vero che la fotografia è per sua natura nostalgica (Sontag, Barthes…), perché più di altri linguaggi è subordinata all’idea di tempo, allora si ritrova perfettamente in un codice espressivo che s’interroga sul futuro guardando al passato. Costruendo immagini, il fotografo distrugge, di fatto, la realtà che gli sta davanti, la trasforma in segni pronti ad assumere dei significati altri, anche rispetto le intenzioni architettoniche che hanno generato quei manufatti. Trasformando la realtà in segno, la fotografia istituisce il suo linguaggio, che smaterializza la concretezza dei modelli che riprende, allontanandoli dai loro significati iniziali, separandoli dal loro “corpo” e dissolverli in una latenza percettiva. La fotografia in questo è un’applicazione della memoria: è un artificio tecnologico che interagisce con i ricordi, evoca e celebra allo stesso tempo un’assenza di qualcosa: è questo che forse affascinava Ruskin.

L'applicazione della memoria / Claudio Zanirato. - In: RESTAURO ARCHEOLOGICO. - ISSN 1724-9686. - STAMPA. - special issue 2019 vol.2:(2019), pp. 224-229.

L'applicazione della memoria

Claudio Zanirato
2019

Abstract

Quando Ruskin scopre con i dagherotipi il potenziale di ciò che diventerà a breve la fotografia sembra non riuscirne farne più a meno, dimostrandosi “moderno” pure in questa visione. Le lastre meccaniche potevano facilmente riprodurre la realtà del costruito, velocemente e con più dettagli e precisione rispetto al suo, se pur virtuoso, disegno, che comunque non abbandona, ritenendolo forse più “selettivo”. In questo caso, pensa che la tecnica innovativa possa essere d'aiuto per documentare ciò che è destinato a perdersi per deterioramento o per manomissione. Non riesce però ad immaginare le insidie di questo strumento d'indagine. In quanto istantanea la fotografia fissa una memoria e consente di rivederla anche dopo le inevitabili trasformazioni. Catturare un frammento del tempo è un’operazione semplificatoria rispetto al suo scorrere e la continuità dello spazio, ma significativa. E’ evidente che la realtà non può essere colta nella sua complessità con un unico tratto, trascurando la moltitudine di possibilità di visione. Un fotogramma è sempre la riproposizione di un frammento di realtà estrapolato da una visione prospettica unitaria: la molteplicità dei punti di vista, infiniti, comporta la soggettività dei punti di vista, è inevitabile. Se è vero che la fotografia è per sua natura nostalgica (Sontag, Barthes…), perché più di altri linguaggi è subordinata all’idea di tempo, allora si ritrova perfettamente in un codice espressivo che s’interroga sul futuro guardando al passato. Costruendo immagini, il fotografo distrugge, di fatto, la realtà che gli sta davanti, la trasforma in segni pronti ad assumere dei significati altri, anche rispetto le intenzioni architettoniche che hanno generato quei manufatti. Trasformando la realtà in segno, la fotografia istituisce il suo linguaggio, che smaterializza la concretezza dei modelli che riprende, allontanandoli dai loro significati iniziali, separandoli dal loro “corpo” e dissolverli in una latenza percettiva. La fotografia in questo è un’applicazione della memoria: è un artificio tecnologico che interagisce con i ricordi, evoca e celebra allo stesso tempo un’assenza di qualcosa: è questo che forse affascinava Ruskin.
2019
special issue 2019 vol.2
224
229
Claudio Zanirato
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