Le parole che diciamo e non diciamo dicono moltissimo di noi (e degli altri); più di quanto immaginiamo. Anzi, la discrasia è proprio questa: la maggior parte delle persone non ha idea dell’importanza della parola nella nostra vita. La parola, infatti, è la caratteristica nucleare del nostro essere umani; in più, è un vero e proprio atto di identità : la costante espressione, volontaria o meno, del proprio pensiero e del proprio mondo. Questo rimane ignoto a molti perché normalmente non pratichiamo la riflessione metalinguistica, cioè non ci interroghiamo sulle implicazioni delle nostre scelte linguistiche. In condizioni regolar,i impariamo a parlare e poi a scrivere piuttosto precocemente nella nostra vita, e quindi tendiamo a dare per scontata la capacità di comunicare. Almeno finché il nostro mondo non si complica, che è ciò che vediamo succedere oggi. Una volta nascevamo, vivevamo e spesso morivamo in un milieu abbastanza ristretto, tolti momenti specifici di incontro con gli “altri” (per esempio, un viaggio); adesso, come nota sovente Bruno Mastroianni , i nostri mondi sono diventati molto più complessi, e l’incontro con culture diverse è esperienza quotidiana sia nella vita reale che in quella virtuale (ormai di fatto in continuità). Nella odierna società dell’informazione e dell’iperconnessione, il ruolo della lingua è cresciuto di conseguenza. Non possiamo più contare sulla benevolenza di chi ci vuole bene, sul sottinteso che chi ci conosce comprenderà perfettamente: ogni nostra scelta linguistica concorre alla narrazione di ciò che noi siamo su un palcoscenico molto più grande che in precedenza. Oggi, tra un atto comunicativo online, in cui non abbiamo l’ausilio del corpo, della voce e della prossemica, e il costante incontro con persone che parlano lingue diverse, con culture differenti, con convinzioni distanti dalle nostre, la parola dovrebbe essere ancora più curata e accurata, quando invece, come scriveva Italo Calvino in “Lezioni americane” (1988, in particolare L’Esattezza), “Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola”. Viviamo immersi in un flusso inarrestabile di parole, eppure la nostra competenza linguistica non è cresciuta di pari passo. E ogni parola del cui significato non siamo certi, ma che non controlliamo in un dizionario, ogni termine che scambiamo per un neologismo e che ci infastidisce semplicemente perché non l’abbiamo mai incontrato prima, ogni anglismo usato per pigrizia rispetto al termine corrispondente italiano, ogni giudizio lanciato con leggerezza, senza pensare al suo effetto, ci rende in qualche modo complici di ciò che la maggior parte di noi critica: una supposta decadenza dell’italiano che è piuttosto la cartina di tornasole di una generalizzata pigrizia cognitiva. Questa, peraltro, ha come effetto collaterale non un’afasia diffusa, quanto piuttosto un’incontrollata emissione di parole a caso, una inutile e inquinante logorrea. Davanti a tutto questo abbiamo varie possibilità; per esempio, indignarci per la superficialità con cui “la gente” comunica. È una reazione piuttosto diffusa, che comprende la citazione, da parte di molti, della famosa dichiarazione di Umberto Eco sugli imbecilli (senza che chi pubblica la frase sul proprio profilo social si renda conto di essere lui stesso uno di quei famosi imbecilli ai quali la rete ha dato diritto di parola). Oppure, in alternativa, possiamo iniziare dei circoli virtuosi: ognuno, nel proprio piccolo, riscoprendo il gusto della parola adatta (alla situazione, all’interlocutore, al ruolo ricoperto, al registro), può trarre maggiore soddisfazione dalla comunicazione, e insieme contribuire a dare una forma diversa al contesto comunicativo che lo circonda. È una forma di ecologia della comunicazione praticabile da chiunque.

Il peso delle parole. Una proposta per combattere l’inquinamento della comunicazione / Vera Gheno. - In: LA CHIAVE DI SOPHIA. - ISSN 2531-954X. - STAMPA. - 8:(2019), pp. 62-63.

Il peso delle parole. Una proposta per combattere l’inquinamento della comunicazione

Vera Gheno
2019

Abstract

Le parole che diciamo e non diciamo dicono moltissimo di noi (e degli altri); più di quanto immaginiamo. Anzi, la discrasia è proprio questa: la maggior parte delle persone non ha idea dell’importanza della parola nella nostra vita. La parola, infatti, è la caratteristica nucleare del nostro essere umani; in più, è un vero e proprio atto di identità : la costante espressione, volontaria o meno, del proprio pensiero e del proprio mondo. Questo rimane ignoto a molti perché normalmente non pratichiamo la riflessione metalinguistica, cioè non ci interroghiamo sulle implicazioni delle nostre scelte linguistiche. In condizioni regolar,i impariamo a parlare e poi a scrivere piuttosto precocemente nella nostra vita, e quindi tendiamo a dare per scontata la capacità di comunicare. Almeno finché il nostro mondo non si complica, che è ciò che vediamo succedere oggi. Una volta nascevamo, vivevamo e spesso morivamo in un milieu abbastanza ristretto, tolti momenti specifici di incontro con gli “altri” (per esempio, un viaggio); adesso, come nota sovente Bruno Mastroianni , i nostri mondi sono diventati molto più complessi, e l’incontro con culture diverse è esperienza quotidiana sia nella vita reale che in quella virtuale (ormai di fatto in continuità). Nella odierna società dell’informazione e dell’iperconnessione, il ruolo della lingua è cresciuto di conseguenza. Non possiamo più contare sulla benevolenza di chi ci vuole bene, sul sottinteso che chi ci conosce comprenderà perfettamente: ogni nostra scelta linguistica concorre alla narrazione di ciò che noi siamo su un palcoscenico molto più grande che in precedenza. Oggi, tra un atto comunicativo online, in cui non abbiamo l’ausilio del corpo, della voce e della prossemica, e il costante incontro con persone che parlano lingue diverse, con culture differenti, con convinzioni distanti dalle nostre, la parola dovrebbe essere ancora più curata e accurata, quando invece, come scriveva Italo Calvino in “Lezioni americane” (1988, in particolare L’Esattezza), “Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola”. Viviamo immersi in un flusso inarrestabile di parole, eppure la nostra competenza linguistica non è cresciuta di pari passo. E ogni parola del cui significato non siamo certi, ma che non controlliamo in un dizionario, ogni termine che scambiamo per un neologismo e che ci infastidisce semplicemente perché non l’abbiamo mai incontrato prima, ogni anglismo usato per pigrizia rispetto al termine corrispondente italiano, ogni giudizio lanciato con leggerezza, senza pensare al suo effetto, ci rende in qualche modo complici di ciò che la maggior parte di noi critica: una supposta decadenza dell’italiano che è piuttosto la cartina di tornasole di una generalizzata pigrizia cognitiva. Questa, peraltro, ha come effetto collaterale non un’afasia diffusa, quanto piuttosto un’incontrollata emissione di parole a caso, una inutile e inquinante logorrea. Davanti a tutto questo abbiamo varie possibilità; per esempio, indignarci per la superficialità con cui “la gente” comunica. È una reazione piuttosto diffusa, che comprende la citazione, da parte di molti, della famosa dichiarazione di Umberto Eco sugli imbecilli (senza che chi pubblica la frase sul proprio profilo social si renda conto di essere lui stesso uno di quei famosi imbecilli ai quali la rete ha dato diritto di parola). Oppure, in alternativa, possiamo iniziare dei circoli virtuosi: ognuno, nel proprio piccolo, riscoprendo il gusto della parola adatta (alla situazione, all’interlocutore, al ruolo ricoperto, al registro), può trarre maggiore soddisfazione dalla comunicazione, e insieme contribuire a dare una forma diversa al contesto comunicativo che lo circonda. È una forma di ecologia della comunicazione praticabile da chiunque.
2019
8
62
63
Vera Gheno
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1258364
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