Linguisticamente parlando, la ‘questione dei femminili’ appare tutto sommato semplice, o se non altro di semplice spiegazione; tuttavia, la discussione in merito è evidentemente connotata da aspetti sociali, culturali e politici. E questo, almeno in parte, è inevitabile, visto che tra lingua e società c’è un legame strettissimo e bidirezionale. Ma perché l’argomento desta così tante reazioni avverse? A mio avviso, c’è prima di tutto una tendenza connaturata all’essere umano: da un certo punto in poi delle loro vite, le persone diventano più o meno esplicitamente ‘renitenti al cambiamento’; forse non reazionarie, ma perlomeno conservatrici, anche in campo linguistico. Ciò è comprensibile: l’essere umano è un animale stanziale, per il quale ogni cambiamento coincide con un piccolo trauma. L’atteggiamento si manifesta ad esempio nei confronti dei neologismi o dei linguaggi giovanili, spesso visti come una ‘rovina dell’italiano’ quando sono, in realtà, fisiologici in qualsiasi lingua viva. In altre parole, esiste una reazione di fastidio quasi istintiva, pavloviana, nei confronti dei mutamenti linguistici; tale reazione coinvolge anche la questione dei femminili professionali, che sono sentiti come una minaccia a un supposto status quo (che però, analizzando la storia della lingua, abbiamo visto non essere vero).

Ministra, portiera, architetta: le ricadute sociali, politiche e culturali dei nomi professionali femminili (seconda parte) / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2020).

Ministra, portiera, architetta: le ricadute sociali, politiche e culturali dei nomi professionali femminili (seconda parte)

Vera Gheno
2020

Abstract

Linguisticamente parlando, la ‘questione dei femminili’ appare tutto sommato semplice, o se non altro di semplice spiegazione; tuttavia, la discussione in merito è evidentemente connotata da aspetti sociali, culturali e politici. E questo, almeno in parte, è inevitabile, visto che tra lingua e società c’è un legame strettissimo e bidirezionale. Ma perché l’argomento desta così tante reazioni avverse? A mio avviso, c’è prima di tutto una tendenza connaturata all’essere umano: da un certo punto in poi delle loro vite, le persone diventano più o meno esplicitamente ‘renitenti al cambiamento’; forse non reazionarie, ma perlomeno conservatrici, anche in campo linguistico. Ciò è comprensibile: l’essere umano è un animale stanziale, per il quale ogni cambiamento coincide con un piccolo trauma. L’atteggiamento si manifesta ad esempio nei confronti dei neologismi o dei linguaggi giovanili, spesso visti come una ‘rovina dell’italiano’ quando sono, in realtà, fisiologici in qualsiasi lingua viva. In altre parole, esiste una reazione di fastidio quasi istintiva, pavloviana, nei confronti dei mutamenti linguistici; tale reazione coinvolge anche la questione dei femminili professionali, che sono sentiti come una minaccia a un supposto status quo (che però, analizzando la storia della lingua, abbiamo visto non essere vero).
2020
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1258368
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