Uno stereotipo linguistico diffuso in Italia afferma che crescere conoscendo più lingue sarebbe fonte di confusione non solo linguistica, ma anche mentale, e che chi parla più lingue le conoscerebbe tutte peggio che se ne parlasse solo una. Dunque, secondo questa visione, le lingue straniere dovrebbero (eventualmente) venire apprese solo dopo aver imparato alla perfezione la propria lingua madre (qualsiasi cosa questo voglia dire) e il bi-, o ancora peggio il multilinguismo, sarebbero il male. Questa visione poco scientifica, non supportata da dati reali, ha spopolato per decenni, coinvolgendo anche il dialetto, considerato a lungo come una conoscenza da estirpare per fare posto, invece, all’italiano. Oggi, fortunatamente, la convinzione è meno diffusa di una volta, perlomeno in ambito scolastico, ma sopravvive ancora l’idea che il dialetto sia una lingua di cui vergognarsi, da evitare in qualsiasi contesto. Anzi, è molto diffusa l’opinione che il dialetto sia un italiano “corrotto”, e per questo da tenere nascosto. Se, invece, consideriamo la specificità della situazione italiana ricordando che le lingue areali sono varietà sorelle, non figlie, di quella diventata standard, che per determinati motivi “ha fatto carriera” (come disse Max Weinreich, “una lingua è un dialetto con un esercito e una marina”), è facile rendersi conto che in Italia abbiamo una fortuna particolare: quella di nascere generalmente in condizioni di bilinguismo, dato che i dialetti sono ancora assai diffusi sulla Penisola. Certo, è un bilinguismo con diglossia, nel senso che italiano e dialetto – o meglio, lingua areale – non possono e generalmente non sono usati negli stessi contesti. Nonostante i limiti di impiego del dialetto, dunque, effettivamente siamo bilingui; e a livello cerebrale, avere due lingue a disposizione sin dalla più tenera età porta innegabili vantaggi cognitivi.

Conoscere almeno una lingua straniera è importante / Vera Gheno. - In: UN PEDIATRA PER AMICO. - ISSN 2038-5986. - STAMPA. - (2021), pp. 62-63.

Conoscere almeno una lingua straniera è importante

Vera Gheno
2021

Abstract

Uno stereotipo linguistico diffuso in Italia afferma che crescere conoscendo più lingue sarebbe fonte di confusione non solo linguistica, ma anche mentale, e che chi parla più lingue le conoscerebbe tutte peggio che se ne parlasse solo una. Dunque, secondo questa visione, le lingue straniere dovrebbero (eventualmente) venire apprese solo dopo aver imparato alla perfezione la propria lingua madre (qualsiasi cosa questo voglia dire) e il bi-, o ancora peggio il multilinguismo, sarebbero il male. Questa visione poco scientifica, non supportata da dati reali, ha spopolato per decenni, coinvolgendo anche il dialetto, considerato a lungo come una conoscenza da estirpare per fare posto, invece, all’italiano. Oggi, fortunatamente, la convinzione è meno diffusa di una volta, perlomeno in ambito scolastico, ma sopravvive ancora l’idea che il dialetto sia una lingua di cui vergognarsi, da evitare in qualsiasi contesto. Anzi, è molto diffusa l’opinione che il dialetto sia un italiano “corrotto”, e per questo da tenere nascosto. Se, invece, consideriamo la specificità della situazione italiana ricordando che le lingue areali sono varietà sorelle, non figlie, di quella diventata standard, che per determinati motivi “ha fatto carriera” (come disse Max Weinreich, “una lingua è un dialetto con un esercito e una marina”), è facile rendersi conto che in Italia abbiamo una fortuna particolare: quella di nascere generalmente in condizioni di bilinguismo, dato che i dialetti sono ancora assai diffusi sulla Penisola. Certo, è un bilinguismo con diglossia, nel senso che italiano e dialetto – o meglio, lingua areale – non possono e generalmente non sono usati negli stessi contesti. Nonostante i limiti di impiego del dialetto, dunque, effettivamente siamo bilingui; e a livello cerebrale, avere due lingue a disposizione sin dalla più tenera età porta innegabili vantaggi cognitivi.
2021
62
63
Vera Gheno
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