Gli ultimi giorni dell’anno 2020 sono stati allietati da una serie televisiva disponibile su Netflix che, prima negli Stati Uniti e subito dopo in Italia, ha ottenuto un successo stellare: è stata vista da più di 82 milioni di persone in un mese di permanenza sulla piattaforma. Sto parlando di Bridgerton, serie di otto puntate, basata sui romanzi di Julia Quinn, prodotta da Shonda Rhimes, già famosissima per Grey’s Anatomy e Scandal. Bridgerton segue le vicende dell’omonima famiglia, composta dalla viscontéssa (femminile di visconte, dal provenzale vescomte, composto di ves– ‘vice-’ e comte ‘conte’, av. 1348) Lady Violet, rimasta vedova, e dai suoi otto figli: Anthony, Benedict, Colin, Daphne, Eloise, Francesca, Gregory e Hyacinth (da notare i nomi in progressione alfabetica). Accanto a loro vive la famiglia dei baróni (dal francese baron, dal francone baro ‘uomo libero, atto a lottare’, 1287) Featherington, Lord Archibald e Lady Portia, e le loro tre figlie Philippa, Prudence e Penelope. La vicenda si svolge nella Gran Bretagna dell’Età della Reggenza (in inglese Regency era, dal latino rĕgere), il periodo che va dal 1811 al 1820, fase finale dell’era di Giorgio III. Nella realtà, la reggenza del regno venne affidata dai Lord Commissari (dall’anglosassone hláford ‘guardiano (ward) del pane (hlaf)’, 1668) al Principe di Galles, Giorgio Augusto Federico, dato che il padre non aveva più la lucidità sufficiente per governare. Nella versione bridgertoniana, invece, al potere siede la moglie di Giorgio III, la regina Carlotta di Meclemburgo-Strelitz. Nella serie televisiva, la regina è impersonata da un’attrice guyanese-britannica, Golda Rosheuvel; e tale scelta non è del tutto casuale, perché sulle possibili radici africane di Carlotta ci si è interrogati a lungo: in molte descrizioni d’epoca, infatti, si fa cenno ai suoi tratti somatici esotici e al colore della pelle insolitamente dorato. Non si tratterebbe, dunque, di un puro colorblind casting, “selezione daltonica degli attori”, più correttamente chiamato non-traditional casting, “selezione di attori etnici, appartenenti a una minoranza o di sesso femminile in ruoli in cui la razza, l’etnia o il sesso non sono pertinenti allo sviluppo del personaggio o della storia”, ma, almeno in questo caso, di una scelta precisa, seppure frutto di una piccola esagerazione storica. La vicenda si concentra sulla social season, la “stagione degli eventi mondani”, del 1813, all’inizio della quale la regina riceve le debuttànti (dal francese débuter, da but nel significato di ‘segno, bersaglio’ attraverso l’antico significato ‘giocare un primo colpo’, 1831) a corte ed elegge l’incomparàbile (dal latino imcomparābile(m), composto di in- e comparābilis ‘comparabile’, 1336 ca.), cioè la fanciulla più desiderabile del ton (diminutivo di bon ton, usato con il significato di “alta società” o “élite”). La scelta della regina cade su Daphne, la maggiore delle figlie Bridgerton: educatissima, bellissima, intelligente, perfettamente inserita nel sistema che impone alle donne di sposarsi con un buon partito quanto prima per evitare di “rimanere sullo scaffale” (così dicono nella serie), cioè invecchiare senza trovare un marito e rischiare, quindi, di restare sole: il più grande timore di Daphne e delle giovani donne attorno a lei. Al contrario di Daphne, che si adegua alla situazione – non senza qualche sofferenza interiore, dato che è consapevole dei sacrifici sociali e culturali richiesti alle donne –, sua sorella Eloise coltiva invece sogni femministi: vorrebbe studiare e si danna di dover fare “cose da donne”, fosse anche vestirsi e ingioiellarsi per un ballo. Il suo disagio nei confronti delle attese sociali imposte alle donne è costante e continuamente espresso: Eloise si distingue dalle altre sin dall’abbigliamento, meno “femminile” di quello delle sue sorelle e amiche; in più, la vediamo spesso fumare, nonostante alle donne fosse proibito, e in generale rifiutarsi di parlare e di muoversi come converrebbe a una signorina della sua età ed estrazione sociale (con grande preoccupazione della madre): in una delle prime scene della puntata d’esordio la troviamo ai piedi della scalinata di casa, mani sui fianchi, mentre urla alla sorella Daphne di… darsi una mossa e scendere. Segni di inquietudine femminile emergono anche in altri personaggi, come in quello della sua amica Penelope, considerata poco attraente per via delle sue forme burrose (come le fanno prontamente notare le sue perfide sorelle: così si introduce anche il tema del fatshaming, ossia dello stigma sociale basato sul peso) che, a sua volta, vorrebbe studiare, mentre la madre preferirebbe che smettesse di leggere “ché poi ti metti in testa idee sciocche”. Perfino l’irreprensibile e perfetta Daphne sbotta contro la madre quando si rende conto di non sapere nulla di questioni importanti come il sesso e la riproduzione umana, cosa che le causerà più di un imbarazzo nel corso della storia. Il protagonista maschile della serie è Simon Basset, duca (dal bizantino dôuka, accusativo di dôux ‘duce’, dal lat. dūx ‘duce’, av. 1294]) di Hastings suo malgrado (avendo ereditato il titolo dal padre, che lo detestava e che lui ricambiava in questo suo sentimento). Il duca non intende sposarsi, per un motivo che verrà svelato nel corso della serie; ciononostante, è l’uomo più richiesto dalle mamme-panzer delle debuttanti, disposte quasi a tutto pur di “piazzare” le loro figlie: è giovane, bellissimo, ha un titolo nobiliare di tutto rispetto… insomma, è lo scapolo d’oro (dal latino parlato *excapulāre ‘disbrigarsi’, composto di ĕx (s-) e di căpulus ‘cappio’) della situazione, nonostante una fama piuttosto turbolenta: nella serie viene definito rake, letteralmente “rastrello”, che nel gergo dell’epoca voleva dire “farfallone impenitente, gigolò”. Dunque, Daphne deve sposarsi con un buon partito, Simon vuole evitare di venire continuamente corteggiato: cosa potrà nascere dal loro incontro? Nella serie seguiamo l’evolversi della loro relazione anche tramite le parole di un personaggio misterioso, che non vediamo mai: Lady Whistledown (in originale, la voce del personaggio è di Julie Andrews), che scrive e pubblica un giornaletto di gossip (in inglese propriamente “chiacchiera”), di pettegolezzi (dal veneto petégolo), sull’alta società londinese, distribuito in tutta la città, e che spesso sembra saperne più dei diretti protagonisti, con grande fastidio loro e della regina, che infatti decide di mettersi sulle orme della misteriosa pettegola. Bridgerton è un telefilm in costume, ma non ha pretese di veridicità storica; tanto è vero che l’alta società londinese è rappresentata come molto più cosmopolita ed etnicamente variegata della realtà, a partire dall’attore che interpreta Simon, anch’egli africano di origine: Regé-Jean Page è dello Zimbabwe. E questa stessa scelta di grande libertà rispetto ai fatti storici riecheggia nei costumi, che presentano caratteri regency, come la vita alta, “stile impero”, le maniche a sbuffo, i corsétti (dal francese corset, dall’antico francese cors ‘corpo’, 1278), ma contemporaneamente si discostano dall’abbigliamento del periodo per molti altri particolari. Quello che si nota subito è la presenza di colori sgargianti, in alcuni casi quasi fluo (da fluorescente, dal francese fluorescent, derivato di fluor ‘fluoro’, 1855) inesistenti all’epoca, come pure di stoffe e accessori in materiali altrettanto impossibili da trovare all’inizio dell’Ottocento: è una Reggenza pop, quella raffigurata nella serie. Recentemente ho visto l’intervista a una costumista esperta dell’epoca, che, dopo aver ampiamente illustrato gli errori di abbigliamento visibili nella serie – dalle consuete falsità sui corsetti, che non erano così stretti da soffocare le donne, all’implausibilità dei grossi e vistosi gioielli di bigiotterìa (dal francese bijouterie, da bijou ‘gioiello’, 1794) in materiali non preziosi, come per esempio la plastica) – riconosce che, nonostante questo, le scelte costumistiche funzionano. Basta accettare che non si tratta di una ricostruzione storicamente veritiera et voilà, il feuilleton (vocabolo francese, da feuillet, diminutivo di feuille ‘foglio’, 1819, usato nel significato di “romanzo d’appendice”) è servito.

Immaginare un passato colorito con Bridgerton / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2021).

Immaginare un passato colorito con Bridgerton

Vera Gheno
2021

Abstract

Gli ultimi giorni dell’anno 2020 sono stati allietati da una serie televisiva disponibile su Netflix che, prima negli Stati Uniti e subito dopo in Italia, ha ottenuto un successo stellare: è stata vista da più di 82 milioni di persone in un mese di permanenza sulla piattaforma. Sto parlando di Bridgerton, serie di otto puntate, basata sui romanzi di Julia Quinn, prodotta da Shonda Rhimes, già famosissima per Grey’s Anatomy e Scandal. Bridgerton segue le vicende dell’omonima famiglia, composta dalla viscontéssa (femminile di visconte, dal provenzale vescomte, composto di ves– ‘vice-’ e comte ‘conte’, av. 1348) Lady Violet, rimasta vedova, e dai suoi otto figli: Anthony, Benedict, Colin, Daphne, Eloise, Francesca, Gregory e Hyacinth (da notare i nomi in progressione alfabetica). Accanto a loro vive la famiglia dei baróni (dal francese baron, dal francone baro ‘uomo libero, atto a lottare’, 1287) Featherington, Lord Archibald e Lady Portia, e le loro tre figlie Philippa, Prudence e Penelope. La vicenda si svolge nella Gran Bretagna dell’Età della Reggenza (in inglese Regency era, dal latino rĕgere), il periodo che va dal 1811 al 1820, fase finale dell’era di Giorgio III. Nella realtà, la reggenza del regno venne affidata dai Lord Commissari (dall’anglosassone hláford ‘guardiano (ward) del pane (hlaf)’, 1668) al Principe di Galles, Giorgio Augusto Federico, dato che il padre non aveva più la lucidità sufficiente per governare. Nella versione bridgertoniana, invece, al potere siede la moglie di Giorgio III, la regina Carlotta di Meclemburgo-Strelitz. Nella serie televisiva, la regina è impersonata da un’attrice guyanese-britannica, Golda Rosheuvel; e tale scelta non è del tutto casuale, perché sulle possibili radici africane di Carlotta ci si è interrogati a lungo: in molte descrizioni d’epoca, infatti, si fa cenno ai suoi tratti somatici esotici e al colore della pelle insolitamente dorato. Non si tratterebbe, dunque, di un puro colorblind casting, “selezione daltonica degli attori”, più correttamente chiamato non-traditional casting, “selezione di attori etnici, appartenenti a una minoranza o di sesso femminile in ruoli in cui la razza, l’etnia o il sesso non sono pertinenti allo sviluppo del personaggio o della storia”, ma, almeno in questo caso, di una scelta precisa, seppure frutto di una piccola esagerazione storica. La vicenda si concentra sulla social season, la “stagione degli eventi mondani”, del 1813, all’inizio della quale la regina riceve le debuttànti (dal francese débuter, da but nel significato di ‘segno, bersaglio’ attraverso l’antico significato ‘giocare un primo colpo’, 1831) a corte ed elegge l’incomparàbile (dal latino imcomparābile(m), composto di in- e comparābilis ‘comparabile’, 1336 ca.), cioè la fanciulla più desiderabile del ton (diminutivo di bon ton, usato con il significato di “alta società” o “élite”). La scelta della regina cade su Daphne, la maggiore delle figlie Bridgerton: educatissima, bellissima, intelligente, perfettamente inserita nel sistema che impone alle donne di sposarsi con un buon partito quanto prima per evitare di “rimanere sullo scaffale” (così dicono nella serie), cioè invecchiare senza trovare un marito e rischiare, quindi, di restare sole: il più grande timore di Daphne e delle giovani donne attorno a lei. Al contrario di Daphne, che si adegua alla situazione – non senza qualche sofferenza interiore, dato che è consapevole dei sacrifici sociali e culturali richiesti alle donne –, sua sorella Eloise coltiva invece sogni femministi: vorrebbe studiare e si danna di dover fare “cose da donne”, fosse anche vestirsi e ingioiellarsi per un ballo. Il suo disagio nei confronti delle attese sociali imposte alle donne è costante e continuamente espresso: Eloise si distingue dalle altre sin dall’abbigliamento, meno “femminile” di quello delle sue sorelle e amiche; in più, la vediamo spesso fumare, nonostante alle donne fosse proibito, e in generale rifiutarsi di parlare e di muoversi come converrebbe a una signorina della sua età ed estrazione sociale (con grande preoccupazione della madre): in una delle prime scene della puntata d’esordio la troviamo ai piedi della scalinata di casa, mani sui fianchi, mentre urla alla sorella Daphne di… darsi una mossa e scendere. Segni di inquietudine femminile emergono anche in altri personaggi, come in quello della sua amica Penelope, considerata poco attraente per via delle sue forme burrose (come le fanno prontamente notare le sue perfide sorelle: così si introduce anche il tema del fatshaming, ossia dello stigma sociale basato sul peso) che, a sua volta, vorrebbe studiare, mentre la madre preferirebbe che smettesse di leggere “ché poi ti metti in testa idee sciocche”. Perfino l’irreprensibile e perfetta Daphne sbotta contro la madre quando si rende conto di non sapere nulla di questioni importanti come il sesso e la riproduzione umana, cosa che le causerà più di un imbarazzo nel corso della storia. Il protagonista maschile della serie è Simon Basset, duca (dal bizantino dôuka, accusativo di dôux ‘duce’, dal lat. dūx ‘duce’, av. 1294]) di Hastings suo malgrado (avendo ereditato il titolo dal padre, che lo detestava e che lui ricambiava in questo suo sentimento). Il duca non intende sposarsi, per un motivo che verrà svelato nel corso della serie; ciononostante, è l’uomo più richiesto dalle mamme-panzer delle debuttanti, disposte quasi a tutto pur di “piazzare” le loro figlie: è giovane, bellissimo, ha un titolo nobiliare di tutto rispetto… insomma, è lo scapolo d’oro (dal latino parlato *excapulāre ‘disbrigarsi’, composto di ĕx (s-) e di căpulus ‘cappio’) della situazione, nonostante una fama piuttosto turbolenta: nella serie viene definito rake, letteralmente “rastrello”, che nel gergo dell’epoca voleva dire “farfallone impenitente, gigolò”. Dunque, Daphne deve sposarsi con un buon partito, Simon vuole evitare di venire continuamente corteggiato: cosa potrà nascere dal loro incontro? Nella serie seguiamo l’evolversi della loro relazione anche tramite le parole di un personaggio misterioso, che non vediamo mai: Lady Whistledown (in originale, la voce del personaggio è di Julie Andrews), che scrive e pubblica un giornaletto di gossip (in inglese propriamente “chiacchiera”), di pettegolezzi (dal veneto petégolo), sull’alta società londinese, distribuito in tutta la città, e che spesso sembra saperne più dei diretti protagonisti, con grande fastidio loro e della regina, che infatti decide di mettersi sulle orme della misteriosa pettegola. Bridgerton è un telefilm in costume, ma non ha pretese di veridicità storica; tanto è vero che l’alta società londinese è rappresentata come molto più cosmopolita ed etnicamente variegata della realtà, a partire dall’attore che interpreta Simon, anch’egli africano di origine: Regé-Jean Page è dello Zimbabwe. E questa stessa scelta di grande libertà rispetto ai fatti storici riecheggia nei costumi, che presentano caratteri regency, come la vita alta, “stile impero”, le maniche a sbuffo, i corsétti (dal francese corset, dall’antico francese cors ‘corpo’, 1278), ma contemporaneamente si discostano dall’abbigliamento del periodo per molti altri particolari. Quello che si nota subito è la presenza di colori sgargianti, in alcuni casi quasi fluo (da fluorescente, dal francese fluorescent, derivato di fluor ‘fluoro’, 1855) inesistenti all’epoca, come pure di stoffe e accessori in materiali altrettanto impossibili da trovare all’inizio dell’Ottocento: è una Reggenza pop, quella raffigurata nella serie. Recentemente ho visto l’intervista a una costumista esperta dell’epoca, che, dopo aver ampiamente illustrato gli errori di abbigliamento visibili nella serie – dalle consuete falsità sui corsetti, che non erano così stretti da soffocare le donne, all’implausibilità dei grossi e vistosi gioielli di bigiotterìa (dal francese bijouterie, da bijou ‘gioiello’, 1794) in materiali non preziosi, come per esempio la plastica) – riconosce che, nonostante questo, le scelte costumistiche funzionano. Basta accettare che non si tratta di una ricostruzione storicamente veritiera et voilà, il feuilleton (vocabolo francese, da feuillet, diminutivo di feuille ‘foglio’, 1819, usato nel significato di “romanzo d’appendice”) è servito.
2021
Vera Gheno
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1258682
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