Antonio Canova nasce a Possagno, in Veneto, il 1° novembre 1757. Scultore eccelso, fu uno tra i maggiori esponenti del neoclassicìsmo. Questo termine deriva dall’aggettivo neoclassico, risale al 1882 e si riferisce alla “tendenza, sorta tra la fine del sec. XVIII e l’inizio del XIX, che ripropone in arte e in letteratura lo studio e l’imitazione dei classici greco-romani”. Canova è particolarmente conosciuto per monumenti funerari e per le statue con soggetti della mitologia. Grazie al suo primo mecenàte (antonomasia dal latino Maecenāte(m) ‘G. Mecenate’ (70 ca.-8 a.C.) amico di Augusto, protettore di Virgilio e Orazio; nome di origine etrusca, 1374), che fu Giovanni Falier, ebbe modo di fare un garzonado, un apprendistàto (1926, “rapporto di lavoro subordinato finalizzato al tirocinio del prestatore d’opera”) a Venezia, che contribuì a formare le sue capacità e le sue inclinazioni artistiche. Dopo questo periodo iniziale nella città lagunare, durante il quale si era già fatto conoscere nell’ambiente delle arti, si trasferì ben presto a Roma, città con la quale mantenne poi sempre un rapporto intenso. Lavorò molto per prestigiosi committènti (dal latino committĕnte(m), participio presente di commĭttere ‘affidare’, termine risalente a prima del 1600), ossia “commissionari di opere d’arte”, come i Borbone e gli Asburgo. Fu un artista riconosciuto e celebrato già in vita, tanto da venire scelto, nel 1804, come ritrattìsta (dal verbo latino retrăhere, composto di re– e trăhere ‘trarre’, 1250) ufficiale di Napoleone; ricoprì molti altri incarichi prestigiosi, tra cui quello di Ispettore Generale delle Antichità e delle Arti dello Stato della Chiesa. Il campo semantico delle parole correlate alla figura del Canova è ovviamente quello della scultùra (dal latino tardo sculptūra(m) ‘scultura’, da scŭlptus ‘scolpito’, av. 1320, “arte e tecnica dello scolpire”), anche se l’artista lavorò anche come pittore. Per esempio, ricorre per ovvi motivi molto spesso la parola stàtua: dal latino stătua(m), da statŭere ‘stabilire, collocare’ (1276), cioè “opera di scultura a tutto tondo, rappresentante una persona, un animale o una cosa personificata”. Una ricerca su Google Immagini restituisce le foto di bellissimi monuménti (dal latino monumĕntu(m) ‘ricordo’, da monēre ‘far ricordare’, av. 1292) marmòrei (dal latino marmŏreu(m), da mărmor, genit. mărmoris ‘marmo’, 1290), cioè “di marmo”, il materiale d’elezione dello scultore: una delle sue sculture più note raffigura la principessa Paolina Borghese come Venere Vincitrice. Questa scultura, commissionata dal marito di Paolina, Camillo Borghese, destò scalpore per la sensualità della posa della donna, che si vociferava avesse posato (semi)nuda davanti allo scultore. Recentemente, Paolina è stata protagonista delle cronache perché un incauto turista austriaco, nell’agosto del 2020, ha danneggiato il piede del calco preparatorio in gesso della statua, conservato presso la gipsotèca (“luogo dove viene conservata una raccolta di gessi”, dal greco gýpsos, “gesso”) di Possagno. La seconda opera del Canova che ricorre nelle immagini del motore di ricerca è Amore e Psiche; vi è immortalato il momento in cui i due si abbracciano e si stanno per baciare: lo scultore ha scelto di rappresentare il momento appena prima che le loro labbra si tocchino, creando come un’istantanea di un attimo in movimento. La particolarità del gruppo scultoreo è di essere estremamente “tridimensionale”: all’epoca, alcuni critici ebbero da lamentarsi del fatto che non esiste nessun punto di vista dal quale si vedono in contemporanea i volti dei due protagonisti; questo, secondo altri, è anche il segreto del suo fascino: la scultura ebbe enorme risonanza all’epoca, e fu amatissima e celebrata dal poeta John Keats, che le dedicò nel 1819 Ode to Psyche. Una delle mie sculture preferite del Canova è, invece, Endimione dormiente. Venne commissionata nel 1819 dal sesto duca di Devonshire, William Cavendish, che non volle specificare un soggetto, ma si affidò pienamente all’ispirazione dello scultore. Si tratta, ancora una volta, di un soggetto disteso – come la Paolina già menzionata, ma anche altre sculture dell’artista, per esempio la Ninfa dormiente e la Maddalena giacente – ma il motivo per cui mi piace più di ogni altra è il particolare che accompagna Endimione che dorme con un braccio alzato a mo’ di cuscino: il cagnolino, che vigila attento sul sonno (eterno, come eterna sarebbe stata la sua giovinezza) del padrone. Se vi capita di trovare un primo piano del cagnetto, osservatelo bene: ha le orecchie ritte e non distoglie lo sguardo dal corpo rilassato di Endimione. Mi sembra una così bella raffigurazione dell’amore incondizionato che ci tributano i cani che… era facile immaginare che fosse il mio Canova preferito. Uscendo dal settore delle statue e dei gruppi marmorei, Canova realizzò, anche varie stele funerarie. Una stèle (dal latino stēla(m), dal greco stḗlē ‘colonna’, connesso con stéllein ‘collocare’, 1813) è in questo caso una “lastra in pietra o marmo, adorna spesso di rilievi, con iscrizione dedicatoria a una divinità, a un imperatore o a un defunto”; particolarmente famosa la stele funeraria per Giovanni Volpato, amico del Canova con la cui figlia l’artista era anche stato fidanzato. Lo stesso tema (una donna addolorata, ritratta a sedere) venne ripresa dall’artista per un’altra stele funeraria, nota come “stele Tadini”; in questo secondo caso, però, invece che il busto del defunto, nella rappresentazione compare un’urna cineraria sostenuta da un pilastro. Oltre che scultore, Antonio Canova fu anche pittore, anche se, in base ad alcune testimonianze, pare che concepisse la pittura come un passatempo privato e non avesse piacere di esibire i suoi dipinti. Probabilmente per tale motivo, le sue tele sono meno conosciute delle sue sculture. Ma la cosa davvero interessante è che il Canova, essendo così popolare già in vita, una sorta di star del tempo, venne anche immortalato in numerosi ritràtti (“opera d’arte che rappresenta, totalmente o parzialmente, la figura umana”): cosa che, del resto, non ci deve stupire, dato che all’epoca la pittura era ancora il modo più usato per immortalare le fattezze di una persona. Nel ritratto dipinto da Thomas Lawrence nel 1815 appare come un bell’uomo, dall’aspetto giovanile, con i capelli scuri, pur avendo lo scultore quasi sessant’anni al momento della realizzazione del quadro; probabilmente, la scelta di Lawrence fu di ritrarlo con fattezze quasi “immortali” a sottolineare l’immortalità del suo genio. Ecco, dunque, il mio breve tributo ad Antonio Canova, nella speranza di avere incuriosito qualcuno dei miei lettori a conoscere meglio la sua mirabolante e sensuale opera.

La bellezza eterna delle opere di Canova: un glossario dedicato all’artista / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2020).

La bellezza eterna delle opere di Canova: un glossario dedicato all’artista

Vera Gheno
2020

Abstract

Antonio Canova nasce a Possagno, in Veneto, il 1° novembre 1757. Scultore eccelso, fu uno tra i maggiori esponenti del neoclassicìsmo. Questo termine deriva dall’aggettivo neoclassico, risale al 1882 e si riferisce alla “tendenza, sorta tra la fine del sec. XVIII e l’inizio del XIX, che ripropone in arte e in letteratura lo studio e l’imitazione dei classici greco-romani”. Canova è particolarmente conosciuto per monumenti funerari e per le statue con soggetti della mitologia. Grazie al suo primo mecenàte (antonomasia dal latino Maecenāte(m) ‘G. Mecenate’ (70 ca.-8 a.C.) amico di Augusto, protettore di Virgilio e Orazio; nome di origine etrusca, 1374), che fu Giovanni Falier, ebbe modo di fare un garzonado, un apprendistàto (1926, “rapporto di lavoro subordinato finalizzato al tirocinio del prestatore d’opera”) a Venezia, che contribuì a formare le sue capacità e le sue inclinazioni artistiche. Dopo questo periodo iniziale nella città lagunare, durante il quale si era già fatto conoscere nell’ambiente delle arti, si trasferì ben presto a Roma, città con la quale mantenne poi sempre un rapporto intenso. Lavorò molto per prestigiosi committènti (dal latino committĕnte(m), participio presente di commĭttere ‘affidare’, termine risalente a prima del 1600), ossia “commissionari di opere d’arte”, come i Borbone e gli Asburgo. Fu un artista riconosciuto e celebrato già in vita, tanto da venire scelto, nel 1804, come ritrattìsta (dal verbo latino retrăhere, composto di re– e trăhere ‘trarre’, 1250) ufficiale di Napoleone; ricoprì molti altri incarichi prestigiosi, tra cui quello di Ispettore Generale delle Antichità e delle Arti dello Stato della Chiesa. Il campo semantico delle parole correlate alla figura del Canova è ovviamente quello della scultùra (dal latino tardo sculptūra(m) ‘scultura’, da scŭlptus ‘scolpito’, av. 1320, “arte e tecnica dello scolpire”), anche se l’artista lavorò anche come pittore. Per esempio, ricorre per ovvi motivi molto spesso la parola stàtua: dal latino stătua(m), da statŭere ‘stabilire, collocare’ (1276), cioè “opera di scultura a tutto tondo, rappresentante una persona, un animale o una cosa personificata”. Una ricerca su Google Immagini restituisce le foto di bellissimi monuménti (dal latino monumĕntu(m) ‘ricordo’, da monēre ‘far ricordare’, av. 1292) marmòrei (dal latino marmŏreu(m), da mărmor, genit. mărmoris ‘marmo’, 1290), cioè “di marmo”, il materiale d’elezione dello scultore: una delle sue sculture più note raffigura la principessa Paolina Borghese come Venere Vincitrice. Questa scultura, commissionata dal marito di Paolina, Camillo Borghese, destò scalpore per la sensualità della posa della donna, che si vociferava avesse posato (semi)nuda davanti allo scultore. Recentemente, Paolina è stata protagonista delle cronache perché un incauto turista austriaco, nell’agosto del 2020, ha danneggiato il piede del calco preparatorio in gesso della statua, conservato presso la gipsotèca (“luogo dove viene conservata una raccolta di gessi”, dal greco gýpsos, “gesso”) di Possagno. La seconda opera del Canova che ricorre nelle immagini del motore di ricerca è Amore e Psiche; vi è immortalato il momento in cui i due si abbracciano e si stanno per baciare: lo scultore ha scelto di rappresentare il momento appena prima che le loro labbra si tocchino, creando come un’istantanea di un attimo in movimento. La particolarità del gruppo scultoreo è di essere estremamente “tridimensionale”: all’epoca, alcuni critici ebbero da lamentarsi del fatto che non esiste nessun punto di vista dal quale si vedono in contemporanea i volti dei due protagonisti; questo, secondo altri, è anche il segreto del suo fascino: la scultura ebbe enorme risonanza all’epoca, e fu amatissima e celebrata dal poeta John Keats, che le dedicò nel 1819 Ode to Psyche. Una delle mie sculture preferite del Canova è, invece, Endimione dormiente. Venne commissionata nel 1819 dal sesto duca di Devonshire, William Cavendish, che non volle specificare un soggetto, ma si affidò pienamente all’ispirazione dello scultore. Si tratta, ancora una volta, di un soggetto disteso – come la Paolina già menzionata, ma anche altre sculture dell’artista, per esempio la Ninfa dormiente e la Maddalena giacente – ma il motivo per cui mi piace più di ogni altra è il particolare che accompagna Endimione che dorme con un braccio alzato a mo’ di cuscino: il cagnolino, che vigila attento sul sonno (eterno, come eterna sarebbe stata la sua giovinezza) del padrone. Se vi capita di trovare un primo piano del cagnetto, osservatelo bene: ha le orecchie ritte e non distoglie lo sguardo dal corpo rilassato di Endimione. Mi sembra una così bella raffigurazione dell’amore incondizionato che ci tributano i cani che… era facile immaginare che fosse il mio Canova preferito. Uscendo dal settore delle statue e dei gruppi marmorei, Canova realizzò, anche varie stele funerarie. Una stèle (dal latino stēla(m), dal greco stḗlē ‘colonna’, connesso con stéllein ‘collocare’, 1813) è in questo caso una “lastra in pietra o marmo, adorna spesso di rilievi, con iscrizione dedicatoria a una divinità, a un imperatore o a un defunto”; particolarmente famosa la stele funeraria per Giovanni Volpato, amico del Canova con la cui figlia l’artista era anche stato fidanzato. Lo stesso tema (una donna addolorata, ritratta a sedere) venne ripresa dall’artista per un’altra stele funeraria, nota come “stele Tadini”; in questo secondo caso, però, invece che il busto del defunto, nella rappresentazione compare un’urna cineraria sostenuta da un pilastro. Oltre che scultore, Antonio Canova fu anche pittore, anche se, in base ad alcune testimonianze, pare che concepisse la pittura come un passatempo privato e non avesse piacere di esibire i suoi dipinti. Probabilmente per tale motivo, le sue tele sono meno conosciute delle sue sculture. Ma la cosa davvero interessante è che il Canova, essendo così popolare già in vita, una sorta di star del tempo, venne anche immortalato in numerosi ritràtti (“opera d’arte che rappresenta, totalmente o parzialmente, la figura umana”): cosa che, del resto, non ci deve stupire, dato che all’epoca la pittura era ancora il modo più usato per immortalare le fattezze di una persona. Nel ritratto dipinto da Thomas Lawrence nel 1815 appare come un bell’uomo, dall’aspetto giovanile, con i capelli scuri, pur avendo lo scultore quasi sessant’anni al momento della realizzazione del quadro; probabilmente, la scelta di Lawrence fu di ritrarlo con fattezze quasi “immortali” a sottolineare l’immortalità del suo genio. Ecco, dunque, il mio breve tributo ad Antonio Canova, nella speranza di avere incuriosito qualcuno dei miei lettori a conoscere meglio la sua mirabolante e sensuale opera.
2020
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1258690
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