5 giugno: Giornata mondiale dell’ambiente. Quest’anno, è una ricorrenza forse ancora più rilevante del solito, dal momento che è ormai divenuto chiaro alla maggior parte delle persone che la pandemia di COVID-19 (ossia “CoronaVirus disease”, ‘malattia da coronavirus’) causata dal SARS-CoV-2, il “nuovo coronavirus”, è intimamente collegata alla salute del nostro ecosistèma (composto di eco- e sistema, 1971), cioè “l’insieme degli esseri viventi, dell’ambiente e delle condizioni fisico-chimiche che, in uno spazio delimitato, sono inseparabilmente legati tra loro, sviluppando interazioni reciproche”. Insomma, noi interagiamo con l’ambiente nel quale viviamo, e non sempre in maniera virtuosa; e questo, ahinoi, ha delle conseguenze. Si è parlato molto, negli ultimi mesi, della biodiversità (1990), ossia dell’“insieme dei differenti patrimoni genetici presenti in un ecosistema, responsabile della varietà degli organismi viventi e quindi dell’integrità del sistema stesso”. Al diminuire della biodiversità, cioè della varietà di organismi viventi presenti in un sistema, si va a compromettere l’equilibrio dell’intero sistema. Questo avviene, per esempio, con la distruzione degli habitat naturali (dal latino habitāre ‘abitare’, 1782), che costringe molte specie di animali selvatici ad avvicinarsi ai luoghi abitati dall’uomo, con conseguenze talvolta catastrofiche. Si ipotizza che possa essere accaduto proprio questo anche per il “nostro” coronavirus, probabilmente trasportato dai pipistrelli, i cui habitat originari sono stati disturbati dall’essere umano così da spingerli in ambienti antropizzàti (dal greco dal ánthrōpos ‘uomo’, 1975), ossia ricchi di presenza umana. La “convivenza” avrebbe facilitato lo spillover, letteralmente la tracimazióne, cioè il salto di specie, con il passaggio del virus dagli animali agli esseri umani. La pandemia sarebbe dunque stata causata da una zoonòsi (composto di zoo- e del greco nósos ‘malattia’, 1865), cioè una malattia passata dagli animali agli umani. Come scrive David Quammen a pagina 45 del suo libro del 2012, Spillover, quasi preconizzatore di quanto è successo in questi mesi, «Là dove si abbattono alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie. Un parassita disturbato nella sua vita quotidiana e sfrattato dal suo ospite abituale ha due possibilità: trovare una nuova casa, un nuovo tipo di casa, o estinguersi. Dunque non ce l’hanno con noi, siamo noi a esser diventati molesti, visibili e assai abbondanti». Questa volta, la zoonosi ha dato origine a una vera e propria catàstrofe: prima di tutto sanitaria, ma anche economica, su scala globale. La parola, che nell’uso comune vuol dire “sciagura gravissima, evento disastroso”, è datata 1543, viene dal latino tardo catăstrophe(m), a sua volta dal greco katastrophḗ ‘rivolgimento, soluzione, catastrofe’, dal verbo katastréphō ‘io rivolto, rovescio’. Dunque, anche se ormai ne abbiamo perso consapevolezza, di per sé la catastrofe è “semplicemente” un rovesciamento, un cambiamento drastico: esattamente quello che molti ritengono necessario per la sopravvivenza della nostra specie, o forse dell’intero pianeta. Una sorta di metaforica grande esplosione, come scriveva Italo Svevo, «che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie». Senza bisogno di essere così drastici, è pur vero che la pandemia dovrebbe contribuire a farci riflettere. Viviamo nell’antropocène, (2002), ossia un’epoca in cui noi esseri umani abbiamo provocato enormi mutamenti ambientali, secondo la definizione dello scienziato P.J. Crutzen; ed è abbastanza chiaro che ci sia bisogno, da parte nostra, di un profondo rinnovamento di mentalità: o smettiamo di considerare il nostro pianeta come una risorsa infinita oppure, secondo molti, finiremo per esaurirlo completamente, fino a renderlo invivibile. È un po’ questo il messaggio della giovane attivista Greta Thunberg e dei suoi sostenitori, aderenti al movimento FridaysforFuture, definiti ironicamente gretini dai loro antagonisti. Per scongiurare la crisi climatica, insomma, occorre un grande cambiaménto. E i cambiamenti, si sa, fanno paura, dato che noi esseri umani siamo tendenzialmente abitudinari. Eppure, il cambiamento è tutto sommato una forza positiva: ci ricorda Charles Darwin che l’evoluzione stessa è frutto di cambiamenti. Ma quanto questo concetto sia ambiguo ce lo ricorda anche il filosofo Luciano Canfora nella Definizione d’Autore che ha scritto per lo Zingarelli: Cambiamento è il fenomeno più importante della storia umana (costume, politica, valori, istituzioni ecc.) e della storia naturale (ambiente, clima, estinzioni di stirpi animali ecc.). A torto il termine viene adoperato come sinonimo di “progresso”, forse per effetto di alcune filosofie ottimistiche smentite in modo fattuale dai disastri verificatisi, nella condizione umana e nel dissesto ambientale, al passaggio dal XX al XXI secolo. Ad ogni modo capire e, se possibile, intuire il cambiamento è – per tenersi all’ambito umano – il requisito dei grandi politici. Ma il discrimine tra questa dote e la spinta all’opportunismo è piuttosto sottile. cambiamento Ricordiamo che non tutti concordano con chi pensa che abbiamo abusato della pazienza del pianeta; c’è chi nemmeno crede nell’esistenza del riscaldamento globale. Questi sono definiti negazionisti climatici, cioè persone che negano che si sia un problema di cambiamento del clima provocato da noi esseri umani. In origine, il negazionismo era una “forma di revisionismo storico che nega la veridicità di avvenimenti della storia moderna, specialmente del periodo nazista e fascista”; oggigiorno, il termine viene usato anche con altri significati, come appunto quello riferito al clima; ma esiste anche il negazionismo scientifico (quando si nega la validità di questa o quella teoria scientifica, magari condivisa da una maggioranza) per esempio il negazionismo vaccinale. Ultimamente sono comparsi anche i negazionisti del coronavirus, ossia coloro che pensano che tutta la pandemia sia un falso, una messinscena. clima Lasciando da parte i vari negazionismi, credo che sia davvero importante volgere oggi, in questa ricorrenza così importante, uno sguardo al futùro. Pensiamo alla parola: letteralmente significa “ciò che sarà”, essendo il latino futūru(m) proprio il participio futuro del verbo ĕsse ‘essere’ (1261). E tutto quello che noi saremo non può che dipendere da ciò che decidiamo di essere già oggi.

Giornata Mondiale dell’Ambiente: cambiare per trovare nuovi equilibri / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2020).

Giornata Mondiale dell’Ambiente: cambiare per trovare nuovi equilibri

Vera Gheno
2020

Abstract

5 giugno: Giornata mondiale dell’ambiente. Quest’anno, è una ricorrenza forse ancora più rilevante del solito, dal momento che è ormai divenuto chiaro alla maggior parte delle persone che la pandemia di COVID-19 (ossia “CoronaVirus disease”, ‘malattia da coronavirus’) causata dal SARS-CoV-2, il “nuovo coronavirus”, è intimamente collegata alla salute del nostro ecosistèma (composto di eco- e sistema, 1971), cioè “l’insieme degli esseri viventi, dell’ambiente e delle condizioni fisico-chimiche che, in uno spazio delimitato, sono inseparabilmente legati tra loro, sviluppando interazioni reciproche”. Insomma, noi interagiamo con l’ambiente nel quale viviamo, e non sempre in maniera virtuosa; e questo, ahinoi, ha delle conseguenze. Si è parlato molto, negli ultimi mesi, della biodiversità (1990), ossia dell’“insieme dei differenti patrimoni genetici presenti in un ecosistema, responsabile della varietà degli organismi viventi e quindi dell’integrità del sistema stesso”. Al diminuire della biodiversità, cioè della varietà di organismi viventi presenti in un sistema, si va a compromettere l’equilibrio dell’intero sistema. Questo avviene, per esempio, con la distruzione degli habitat naturali (dal latino habitāre ‘abitare’, 1782), che costringe molte specie di animali selvatici ad avvicinarsi ai luoghi abitati dall’uomo, con conseguenze talvolta catastrofiche. Si ipotizza che possa essere accaduto proprio questo anche per il “nostro” coronavirus, probabilmente trasportato dai pipistrelli, i cui habitat originari sono stati disturbati dall’essere umano così da spingerli in ambienti antropizzàti (dal greco dal ánthrōpos ‘uomo’, 1975), ossia ricchi di presenza umana. La “convivenza” avrebbe facilitato lo spillover, letteralmente la tracimazióne, cioè il salto di specie, con il passaggio del virus dagli animali agli esseri umani. La pandemia sarebbe dunque stata causata da una zoonòsi (composto di zoo- e del greco nósos ‘malattia’, 1865), cioè una malattia passata dagli animali agli umani. Come scrive David Quammen a pagina 45 del suo libro del 2012, Spillover, quasi preconizzatore di quanto è successo in questi mesi, «Là dove si abbattono alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie. Un parassita disturbato nella sua vita quotidiana e sfrattato dal suo ospite abituale ha due possibilità: trovare una nuova casa, un nuovo tipo di casa, o estinguersi. Dunque non ce l’hanno con noi, siamo noi a esser diventati molesti, visibili e assai abbondanti». Questa volta, la zoonosi ha dato origine a una vera e propria catàstrofe: prima di tutto sanitaria, ma anche economica, su scala globale. La parola, che nell’uso comune vuol dire “sciagura gravissima, evento disastroso”, è datata 1543, viene dal latino tardo catăstrophe(m), a sua volta dal greco katastrophḗ ‘rivolgimento, soluzione, catastrofe’, dal verbo katastréphō ‘io rivolto, rovescio’. Dunque, anche se ormai ne abbiamo perso consapevolezza, di per sé la catastrofe è “semplicemente” un rovesciamento, un cambiamento drastico: esattamente quello che molti ritengono necessario per la sopravvivenza della nostra specie, o forse dell’intero pianeta. Una sorta di metaforica grande esplosione, come scriveva Italo Svevo, «che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie». Senza bisogno di essere così drastici, è pur vero che la pandemia dovrebbe contribuire a farci riflettere. Viviamo nell’antropocène, (2002), ossia un’epoca in cui noi esseri umani abbiamo provocato enormi mutamenti ambientali, secondo la definizione dello scienziato P.J. Crutzen; ed è abbastanza chiaro che ci sia bisogno, da parte nostra, di un profondo rinnovamento di mentalità: o smettiamo di considerare il nostro pianeta come una risorsa infinita oppure, secondo molti, finiremo per esaurirlo completamente, fino a renderlo invivibile. È un po’ questo il messaggio della giovane attivista Greta Thunberg e dei suoi sostenitori, aderenti al movimento FridaysforFuture, definiti ironicamente gretini dai loro antagonisti. Per scongiurare la crisi climatica, insomma, occorre un grande cambiaménto. E i cambiamenti, si sa, fanno paura, dato che noi esseri umani siamo tendenzialmente abitudinari. Eppure, il cambiamento è tutto sommato una forza positiva: ci ricorda Charles Darwin che l’evoluzione stessa è frutto di cambiamenti. Ma quanto questo concetto sia ambiguo ce lo ricorda anche il filosofo Luciano Canfora nella Definizione d’Autore che ha scritto per lo Zingarelli: Cambiamento è il fenomeno più importante della storia umana (costume, politica, valori, istituzioni ecc.) e della storia naturale (ambiente, clima, estinzioni di stirpi animali ecc.). A torto il termine viene adoperato come sinonimo di “progresso”, forse per effetto di alcune filosofie ottimistiche smentite in modo fattuale dai disastri verificatisi, nella condizione umana e nel dissesto ambientale, al passaggio dal XX al XXI secolo. Ad ogni modo capire e, se possibile, intuire il cambiamento è – per tenersi all’ambito umano – il requisito dei grandi politici. Ma il discrimine tra questa dote e la spinta all’opportunismo è piuttosto sottile. cambiamento Ricordiamo che non tutti concordano con chi pensa che abbiamo abusato della pazienza del pianeta; c’è chi nemmeno crede nell’esistenza del riscaldamento globale. Questi sono definiti negazionisti climatici, cioè persone che negano che si sia un problema di cambiamento del clima provocato da noi esseri umani. In origine, il negazionismo era una “forma di revisionismo storico che nega la veridicità di avvenimenti della storia moderna, specialmente del periodo nazista e fascista”; oggigiorno, il termine viene usato anche con altri significati, come appunto quello riferito al clima; ma esiste anche il negazionismo scientifico (quando si nega la validità di questa o quella teoria scientifica, magari condivisa da una maggioranza) per esempio il negazionismo vaccinale. Ultimamente sono comparsi anche i negazionisti del coronavirus, ossia coloro che pensano che tutta la pandemia sia un falso, una messinscena. clima Lasciando da parte i vari negazionismi, credo che sia davvero importante volgere oggi, in questa ricorrenza così importante, uno sguardo al futùro. Pensiamo alla parola: letteralmente significa “ciò che sarà”, essendo il latino futūru(m) proprio il participio futuro del verbo ĕsse ‘essere’ (1261). E tutto quello che noi saremo non può che dipendere da ciò che decidiamo di essere già oggi.
2020
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