Avevo undici anni, nel 1986. Io e la mia famiglia abitavamo in Finlandia. Il disàstro (composto di dis- e astro, nel senso di ‘cattiva stella’) di Chernobyl avvenne il 26 aprile alle ore 1:23 circa. Non se ne seppe nulla finché il 28 mattina, in Svezia, a Forsmark, non venne rilevato un pìcco anòmalo (dal latino anōmalu(m), dal greco anṓmalos, composto di an– privativo e homalós ‘piano, uguale’) di radiazióni. Questo fu inizialmente ricondotto a un problema alla centràle nucleàre locale, per poi scoprire che la nùbe radioattìva (dall’inglese radioactive, composto di radio– e active ‘attivo’) proveniva dai territori dell’allora Unione Sovietica. Ricordo il senso di frustrazione e di paura davanti a un pericolo così enorme e così invisibile, e ricordo ancor più chiaramente il divieto di consumare verdure fresche e latte perché erano a rischio di contaminazióne. Ero una ragazzina, certo, ma seguii con orrore misto a macabra fascinazione il dipanarsi della vicenda. Contaminazione Forse per questo mio pseudo-coinvolgimento personale, ho accolto con enorme interesse la miniserie televisiva Chernobyl. Me la sono divorata, anche per cercare di comprendere meglio gli annessi e i connessi di uno degli incidenti nucleari più gravi della storia. E la sequenza di eventi, errori e casualità che hanno portato alla catàstrofe è terrificante da seguire. La vicenda riguarda il reattóre (dal francese réacteur, sovrapposizione di réagir ‘reagire’ ad acteur ‘attore, che agisce’, 1946) numero 4 della centrale V.I. Lenin di Chernobyl, sottoposto a un presunto test di sicurezza che ebbe, però, conseguenze inimmaginabili. Ricordiamolo: in un reattore a fissióne (dall’inglese fission, dal latino fissiōne(m) ‘fendimento’, da fĭssus, 1950), si ha la rottura controllata del nùcleo (dal latino nŭcleu(m), che significa ‘nòcciolo’) atòmico con conseguente liberazione di grandi quantità di energia, che la centrale usa per generare corrente in vari modi. Il nòcciolo del reattore, in quel caso, era composto di bàrre di urànio naturàle (mentre le centrali, solitamente, usano uranio arricchìto, ovvero una miscela di isòtopi – elementi con lo stesso numero atomico, ma peso atomico diverso – dell’uranio che differisce da quello naturale per un maggior contenuto dell’isotopo 235; questo è l’unico isotopo che possa essere sottoposto a fissione nucleare innescata da neutroni termici: in altre parole, è quello più adatto per essere usato come “combustibile”). Nel corso dell’incidente, il nucleo si surriscaldò al punto da rompere il sistema delle sue stesse tubazióni di raffreddaménto; questo portò a un aumento incontrollato della temperatura del nucleo stessa e anche delle bàrre di contròllo di grafìte (dal tedesco Graphit, dal greco gráphein ‘scrivere’, perché minerale usato per matite da scrivere, col suffisso –ite) che sarebbero dovute servire proprio per controllare la reazione di fissione, provocando una violentissima esplosione. L’inattesa deflagrazione proiettò nell’atmosfera una nuvola di materiale radioattivo e scoperchiò il reattore stesso, esponendo il nucleo all’aria. Inizialmente, la gravità dell’avvenimento venne ampiamente sottostimata, tanto che il personale d’emergenza chiamato a spegnere l’incendio non venne minimamente informato della contaminazione radioattiva e non fu inizialmente dotato di alcuna protezione: la maggior parte perì nelle ore e nei giorni successivi all’incidente per via dell’esposizione più o meno intensa. I “liquidatóri”, cioè le migliaia di operai usati per spostare, nei giorni successivi, i detriti radioattivi rimasti sul tetto della centrale, perlomeno avevano un turno di lavoro di soli novanta secondi, in modo da minimizzare l’effetto delle radiazioni. Nella miniserie, la colonna sonora di molte scene, più terrificante di qualsiasi altra melodia, è il ticchettio dei contatóri Geiger, gli apparecchi che rivelano le particelle emesse durante una reazione nucleare, che prendono il nome da H. Geiger, che li inventò insieme a W. Müller nel 1928. La cittadina adiacente alla centrale, Pryp’jat’, venne evacuata solo nel pomeriggio del 27 aprile. Gli abitanti inizialmente pensavano che si sarebbe trattato di un allontanamento temporaneo; invece, non poterono mai più fare ritorno alle loro case. Ancora oggi è in vigore una zòna di alienazióne (o escluṣióne) con un raggio di circa trenta chilometri attorno al sito della centrale, nella quale è vietato abitare, anche se è oggi possibile soggiornarvi per un breve periodo. Del resto, la centrale di Chernobyl è ancora parzialmente tenuta in funzione da un personale ridotto, dato che non è possibile spegnere di colpo un reattore nucleare: il cosiddetto decommìssioning, il processo di smantellamento e decontaminazione di una centrale nucleare alla fine del suo ciclo di vita, richiede molto tempo. Nella miniserie vengono menzionate diverse unità di misura legate alla radioattività. In questo momento sento molto la mancanza di una laurea di fisica nucleare, quindi non farò altro che accennare alla loro origine. A parte rad, che deriva da radiazione, le altre unità di misura portano ognuna il nome dello scienziato a cui, in qualche modo, sono riconducibili: il curie dalla chimica e fisica polacca naturalizzata francese Marie Curie (1867-1934), il becquerel dal fisico francese A.H. Becquerel (1852-1908), il röntgen dal fisico tedesco W. C. Röntgen (1845-1923), il gray dal fisico inglese L. H. Gray (1905-1965), il sievert dal radiologo svedese R. M. Sievert (1896-1966). C’è un’ultima, terrificante parola che, al momento, non si trova nel dizionario italiano: corium. Chiamato in inglese anche FCM (fuel containing material) e LFCM (lava-like fuel containing material), il corium (dall’inglese core ‘nucleo’) è una sorta di lava creata come conseguenza della fusione del nocciolo di un reattore nucleare: contiene, quindi, una miscela di combustibile nucleare, barre di moderazione e materiali della struttura del reattore, compreso il calcestruzzo che normalmente si trova nel basamento della sala del reattore. Sotto al reattore numero 4 di Chernobyl venne scoperta, nel dicembre del 1986, una “colata” di corium a cui, per via della forma, venne dato il nome di “Piede d’elefante”. È una massa di materiale altamente radioattivo contenente diossido di silicio, uranio, cesio e plutonio, pericolosissimo per la salute umana (all’epoca bastavano cinque minuti di esposizione al “Piede” per ricevere una dose letale di radiazioni), che per fortuna da allora sembra essere rimasta piuttosto inerte. In rete se ne trovano alcune foto, scattate nel 1996, quando la radioattività era notevolmente diminuita (anche se rimane tuttora a livelli molto pericolosi). Forse qualcuno potrebbe pensare, anche in base a questa scheda, che Chernobyl sia una miniserie difficile da guardare per la sua tragicità; io, invece, ne consiglio la visione, non solo perché ritengo importante non dimenticare quanto è successo, ma anche perché i realizzatori sono riusciti a narrare queste tragiche vicende con una umanità degna di nota. La miniserie Chernobyl è soprattutto la storia delle persone coinvolte, a vario titolo, nell’incidente. Ed è giusto che tutti noi, al di là dell’avvenimento di cui magari abbiamo letto nei libri di storia, conosciamo e ricordiamo proprio quelle persone.

Effetto Chernobyl: le parole dell’incidente nucleare più grave della storia / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2019).

Effetto Chernobyl: le parole dell’incidente nucleare più grave della storia

Vera Gheno
2019

Abstract

Avevo undici anni, nel 1986. Io e la mia famiglia abitavamo in Finlandia. Il disàstro (composto di dis- e astro, nel senso di ‘cattiva stella’) di Chernobyl avvenne il 26 aprile alle ore 1:23 circa. Non se ne seppe nulla finché il 28 mattina, in Svezia, a Forsmark, non venne rilevato un pìcco anòmalo (dal latino anōmalu(m), dal greco anṓmalos, composto di an– privativo e homalós ‘piano, uguale’) di radiazióni. Questo fu inizialmente ricondotto a un problema alla centràle nucleàre locale, per poi scoprire che la nùbe radioattìva (dall’inglese radioactive, composto di radio– e active ‘attivo’) proveniva dai territori dell’allora Unione Sovietica. Ricordo il senso di frustrazione e di paura davanti a un pericolo così enorme e così invisibile, e ricordo ancor più chiaramente il divieto di consumare verdure fresche e latte perché erano a rischio di contaminazióne. Ero una ragazzina, certo, ma seguii con orrore misto a macabra fascinazione il dipanarsi della vicenda. Contaminazione Forse per questo mio pseudo-coinvolgimento personale, ho accolto con enorme interesse la miniserie televisiva Chernobyl. Me la sono divorata, anche per cercare di comprendere meglio gli annessi e i connessi di uno degli incidenti nucleari più gravi della storia. E la sequenza di eventi, errori e casualità che hanno portato alla catàstrofe è terrificante da seguire. La vicenda riguarda il reattóre (dal francese réacteur, sovrapposizione di réagir ‘reagire’ ad acteur ‘attore, che agisce’, 1946) numero 4 della centrale V.I. Lenin di Chernobyl, sottoposto a un presunto test di sicurezza che ebbe, però, conseguenze inimmaginabili. Ricordiamolo: in un reattore a fissióne (dall’inglese fission, dal latino fissiōne(m) ‘fendimento’, da fĭssus, 1950), si ha la rottura controllata del nùcleo (dal latino nŭcleu(m), che significa ‘nòcciolo’) atòmico con conseguente liberazione di grandi quantità di energia, che la centrale usa per generare corrente in vari modi. Il nòcciolo del reattore, in quel caso, era composto di bàrre di urànio naturàle (mentre le centrali, solitamente, usano uranio arricchìto, ovvero una miscela di isòtopi – elementi con lo stesso numero atomico, ma peso atomico diverso – dell’uranio che differisce da quello naturale per un maggior contenuto dell’isotopo 235; questo è l’unico isotopo che possa essere sottoposto a fissione nucleare innescata da neutroni termici: in altre parole, è quello più adatto per essere usato come “combustibile”). Nel corso dell’incidente, il nucleo si surriscaldò al punto da rompere il sistema delle sue stesse tubazióni di raffreddaménto; questo portò a un aumento incontrollato della temperatura del nucleo stessa e anche delle bàrre di contròllo di grafìte (dal tedesco Graphit, dal greco gráphein ‘scrivere’, perché minerale usato per matite da scrivere, col suffisso –ite) che sarebbero dovute servire proprio per controllare la reazione di fissione, provocando una violentissima esplosione. L’inattesa deflagrazione proiettò nell’atmosfera una nuvola di materiale radioattivo e scoperchiò il reattore stesso, esponendo il nucleo all’aria. Inizialmente, la gravità dell’avvenimento venne ampiamente sottostimata, tanto che il personale d’emergenza chiamato a spegnere l’incendio non venne minimamente informato della contaminazione radioattiva e non fu inizialmente dotato di alcuna protezione: la maggior parte perì nelle ore e nei giorni successivi all’incidente per via dell’esposizione più o meno intensa. I “liquidatóri”, cioè le migliaia di operai usati per spostare, nei giorni successivi, i detriti radioattivi rimasti sul tetto della centrale, perlomeno avevano un turno di lavoro di soli novanta secondi, in modo da minimizzare l’effetto delle radiazioni. Nella miniserie, la colonna sonora di molte scene, più terrificante di qualsiasi altra melodia, è il ticchettio dei contatóri Geiger, gli apparecchi che rivelano le particelle emesse durante una reazione nucleare, che prendono il nome da H. Geiger, che li inventò insieme a W. Müller nel 1928. La cittadina adiacente alla centrale, Pryp’jat’, venne evacuata solo nel pomeriggio del 27 aprile. Gli abitanti inizialmente pensavano che si sarebbe trattato di un allontanamento temporaneo; invece, non poterono mai più fare ritorno alle loro case. Ancora oggi è in vigore una zòna di alienazióne (o escluṣióne) con un raggio di circa trenta chilometri attorno al sito della centrale, nella quale è vietato abitare, anche se è oggi possibile soggiornarvi per un breve periodo. Del resto, la centrale di Chernobyl è ancora parzialmente tenuta in funzione da un personale ridotto, dato che non è possibile spegnere di colpo un reattore nucleare: il cosiddetto decommìssioning, il processo di smantellamento e decontaminazione di una centrale nucleare alla fine del suo ciclo di vita, richiede molto tempo. Nella miniserie vengono menzionate diverse unità di misura legate alla radioattività. In questo momento sento molto la mancanza di una laurea di fisica nucleare, quindi non farò altro che accennare alla loro origine. A parte rad, che deriva da radiazione, le altre unità di misura portano ognuna il nome dello scienziato a cui, in qualche modo, sono riconducibili: il curie dalla chimica e fisica polacca naturalizzata francese Marie Curie (1867-1934), il becquerel dal fisico francese A.H. Becquerel (1852-1908), il röntgen dal fisico tedesco W. C. Röntgen (1845-1923), il gray dal fisico inglese L. H. Gray (1905-1965), il sievert dal radiologo svedese R. M. Sievert (1896-1966). C’è un’ultima, terrificante parola che, al momento, non si trova nel dizionario italiano: corium. Chiamato in inglese anche FCM (fuel containing material) e LFCM (lava-like fuel containing material), il corium (dall’inglese core ‘nucleo’) è una sorta di lava creata come conseguenza della fusione del nocciolo di un reattore nucleare: contiene, quindi, una miscela di combustibile nucleare, barre di moderazione e materiali della struttura del reattore, compreso il calcestruzzo che normalmente si trova nel basamento della sala del reattore. Sotto al reattore numero 4 di Chernobyl venne scoperta, nel dicembre del 1986, una “colata” di corium a cui, per via della forma, venne dato il nome di “Piede d’elefante”. È una massa di materiale altamente radioattivo contenente diossido di silicio, uranio, cesio e plutonio, pericolosissimo per la salute umana (all’epoca bastavano cinque minuti di esposizione al “Piede” per ricevere una dose letale di radiazioni), che per fortuna da allora sembra essere rimasta piuttosto inerte. In rete se ne trovano alcune foto, scattate nel 1996, quando la radioattività era notevolmente diminuita (anche se rimane tuttora a livelli molto pericolosi). Forse qualcuno potrebbe pensare, anche in base a questa scheda, che Chernobyl sia una miniserie difficile da guardare per la sua tragicità; io, invece, ne consiglio la visione, non solo perché ritengo importante non dimenticare quanto è successo, ma anche perché i realizzatori sono riusciti a narrare queste tragiche vicende con una umanità degna di nota. La miniserie Chernobyl è soprattutto la storia delle persone coinvolte, a vario titolo, nell’incidente. Ed è giusto che tutti noi, al di là dell’avvenimento di cui magari abbiamo letto nei libri di storia, conosciamo e ricordiamo proprio quelle persone.
2019
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1258714
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