C’è una nuova, bellissima passione sportiva là fuori: i campionati mondiali di calcio femminile. Quest’anno entriamo nell’estate seguendo le gèsta (cioè le imprese) delle nostre atlète che gareggiano con i colori dell’Italia, definite, a causa del colore tradizionale della divìsa della nazionàle, anche azzùrre – aggettivo che, a proposito, deriva dal persiano läžwärd, con la caduta della l- iniziale interpretata come articolo. Più avanti torneremo sulle definizioni femminili che sono, di questi tempi, oggetto di aspre discussioni e dibattiti sia offline che online. Intanto, notiamo che molte delle parole per raccontare questi mondiali sono senza ombra di dubbio di genere grammaticale femminile: sarà un caso? Prendiamo, per esempio, convocazióne: l’atto che dà inizio al tutto, e che in questo caso indica l’invito a un(’)atleta a presentarsi in un luogo di raduno. Così si forma la squàdra, “insieme dei giocatori o degli atleti che disputano partite o campionati o partecipano, collettivamente o individualmente, a competizioni per l’affermazione dei colori sociali o nazionali”. La parola deriva dal verbo squadràre, a sua volta dal latino parlato *exquadrāre, composto di ĕx- (s-) e quadrāre ‘ridurre in quadro’. Il passo successivo è preparare la tàttica (dal greco taktikḗ (sottinteso téchnē) ‘(l’arte) di ordinare’), cioè il sistema di schieramento dei giocatori in campo e, insieme, la condotta di gàra. Il fine ultimo, chiaramente, è la vittòria, che, come ci ricorda Sara Simeoni nella sua definizione d’autore, non vuol dire solo arrivare per primi, ma più profondamente «porsi un obiettivo, impegnarsi per raggiungerlo per poi spostarlo un po’ più in alto e raggiungerlo nuovamente, nel rispetto delle regole, dell’avversario e soprattutto di me stessa». Per arrivare a questo è necessaria una preparazióne atletica, in modo che ogni gara venga disputata nella migliore fórma fisica possibile: quella leggiadrìa che noi vediamo in càmpo è frutto di un esercizio costante, infaticabile, fatto con enorme dedizióne, cioè impegno appassionato. Non sono poche le voci di coloro che ritengono ancora il calcio femminile una sorta di “brutta copia” di quello maschile, ma l’entusiasmo che le nostre azzurre hanno creato tra gli spettatori sembra indicare l’esatto contrario. E tale entusiasmo, piano piano, si sta manifestando anche a livello linguistico: come spesso succede, la lingua segue i cambiamenti della realtà e della società. Non è un caso, dunque, che in contemporanea al tìfo per la nostra nazionale calcistica femminile, sempre più persone si stiano domandando come definire queste sportive. E come sempre, lo Zingarelli può correrci in aiuto. Occorre premettere che è dagli anni Novanta che il nostro dizionario ha scelto di registrare le versioni femminili del maggior numero possibile di termini riferiti a ruoli e professioni, compresi, ovviamente, quelli sportivi. Per questo motivo, in caso di (lecito) dubbio, sfogliarlo può essere di grande aiuto. Anche perché, giova ricordarlo, i femminili non si formano sempre mettendo -a in fondo alla parola, ma in maniere differenti a seconda della parola che dobbiamo coniugare (esiste un bell’approfondimento sul termine femminìle che consiglio sempre di leggere prima di fare errori innecessari come *attaccanta). Tutti i femminili qui citati sono regolarmente censiti dallo Zingarelli, dunque. Globalmente, le azzurre sono calciatrìci; l’ufficiale di gara incaricato di far osservare le règole, di sanzionare le infrazióni (cioè le violazioni), i fàlli e di convalidare il risultato finale sarà un’àrbitra, nel caso fosse donna, che come aiutanti potrebbe avere le guardalìnee (se sono donne pure loro: questo è uno di quei casi in cui basta cambiare l’articolo, quindi abbiamo il guardalinee e la guardalinee). Entrando invece nello specifico dei ruoli all’interno della squadra, abbiamo prima di tutto la capitàna; poi, ecco la portièra (e non è strano che lo stesso termine voglia dire più cose: anche il portiere può essere quello di uno stabile, ma dal contesto capiamo che la parola è usata con un significato diverso); la difensóra o difenditrìce (essendo un femminile per ora poco usato, le due forme sono in concorrenza), la terzìna (mentre per il ruolo di lìbero, al momento, il dizionario non riporta la versione femminile nell’accezione sportiva: chissà che un giorno…); l(a)’attaccànte (come tutti i termini che, alla lontana, derivano da participi presenti, anche qui cambia solo l’articolo: la attaccante come la docente, la gerente, la presidente – che ha anche il femminile presidentessa; differenza che si mantiene anche al plurale con gli attaccanti e le attaccanti), la centrocampìsta (anche qui, cambia l’articolo al singolare, mentre forma maschile e femminile si differenziano al plurale: i centrocampisti e le centrocampiste), la mediàna. Dunque, volendo, è possibile definire le nostre azzurre, con i loro ruoli, usando quasi esclusivamente le forme femminili. Ricordiamo, tuttavia, che non è un obbligo: in questo momento storico, un dizionario e un linguista – anzi, una linguista come me – non possono che avallare l’esistenza e correttezza delle forme femminili; ma devono essere i parlanti a decidere se, come e quando adottare queste forme. Non si ottiene mai nulla di buono con la coercizione; dunque, quale che sia la vostra posizione in merito, usate le forme che preferite ma, soprattutto, cercate di avere rispetto di chi la pensa diversamente da voi. Chiudiamo con una riflessione sul genere di VAR, ossia del Video Assistant Referee o arbitro assistente a video (“nel calcio, tecnologia televisiva che consente a due arbitri fuori campo di assistere in video replay quello principale in campo nel valutare azioni di gioco dubbie, suggerendogli via radio la decisione da prendere”): è il VAR o la VAR? Una risposta secca non esiste: in questo momento, come succede spesso per i forestierismi integrali, ancor più nel caso di sigle, il genere è fluttuante. Nessuno può decidere a priori sul genere di un forestierismo, perché la scelta dei parlanti dipende molto dal senso che danno a quella parola. Dunque, è assolutamente normale che ci sia un periodo di incertezza di genere, che poi normalmente si risolve in maniera pacifica in un modo o nell’altro (come è stato per email, oggi usato quasi esclusivamente al femminile). L’unica cosa che possiamo fare è verificare, con Google, l’andamento delle due forme. Ebbene, una ricerca in soli contesti di lingua italiana ci dice che il VAR prevale su la VAR 556.000 a 286.000; dunque, sembra che l’uso si stia assestando sul maschile.

Mondiali di calcio femminile: le parole (femminili) per raccontarli / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2019).

Mondiali di calcio femminile: le parole (femminili) per raccontarli

Vera Gheno
2019

Abstract

C’è una nuova, bellissima passione sportiva là fuori: i campionati mondiali di calcio femminile. Quest’anno entriamo nell’estate seguendo le gèsta (cioè le imprese) delle nostre atlète che gareggiano con i colori dell’Italia, definite, a causa del colore tradizionale della divìsa della nazionàle, anche azzùrre – aggettivo che, a proposito, deriva dal persiano läžwärd, con la caduta della l- iniziale interpretata come articolo. Più avanti torneremo sulle definizioni femminili che sono, di questi tempi, oggetto di aspre discussioni e dibattiti sia offline che online. Intanto, notiamo che molte delle parole per raccontare questi mondiali sono senza ombra di dubbio di genere grammaticale femminile: sarà un caso? Prendiamo, per esempio, convocazióne: l’atto che dà inizio al tutto, e che in questo caso indica l’invito a un(’)atleta a presentarsi in un luogo di raduno. Così si forma la squàdra, “insieme dei giocatori o degli atleti che disputano partite o campionati o partecipano, collettivamente o individualmente, a competizioni per l’affermazione dei colori sociali o nazionali”. La parola deriva dal verbo squadràre, a sua volta dal latino parlato *exquadrāre, composto di ĕx- (s-) e quadrāre ‘ridurre in quadro’. Il passo successivo è preparare la tàttica (dal greco taktikḗ (sottinteso téchnē) ‘(l’arte) di ordinare’), cioè il sistema di schieramento dei giocatori in campo e, insieme, la condotta di gàra. Il fine ultimo, chiaramente, è la vittòria, che, come ci ricorda Sara Simeoni nella sua definizione d’autore, non vuol dire solo arrivare per primi, ma più profondamente «porsi un obiettivo, impegnarsi per raggiungerlo per poi spostarlo un po’ più in alto e raggiungerlo nuovamente, nel rispetto delle regole, dell’avversario e soprattutto di me stessa». Per arrivare a questo è necessaria una preparazióne atletica, in modo che ogni gara venga disputata nella migliore fórma fisica possibile: quella leggiadrìa che noi vediamo in càmpo è frutto di un esercizio costante, infaticabile, fatto con enorme dedizióne, cioè impegno appassionato. Non sono poche le voci di coloro che ritengono ancora il calcio femminile una sorta di “brutta copia” di quello maschile, ma l’entusiasmo che le nostre azzurre hanno creato tra gli spettatori sembra indicare l’esatto contrario. E tale entusiasmo, piano piano, si sta manifestando anche a livello linguistico: come spesso succede, la lingua segue i cambiamenti della realtà e della società. Non è un caso, dunque, che in contemporanea al tìfo per la nostra nazionale calcistica femminile, sempre più persone si stiano domandando come definire queste sportive. E come sempre, lo Zingarelli può correrci in aiuto. Occorre premettere che è dagli anni Novanta che il nostro dizionario ha scelto di registrare le versioni femminili del maggior numero possibile di termini riferiti a ruoli e professioni, compresi, ovviamente, quelli sportivi. Per questo motivo, in caso di (lecito) dubbio, sfogliarlo può essere di grande aiuto. Anche perché, giova ricordarlo, i femminili non si formano sempre mettendo -a in fondo alla parola, ma in maniere differenti a seconda della parola che dobbiamo coniugare (esiste un bell’approfondimento sul termine femminìle che consiglio sempre di leggere prima di fare errori innecessari come *attaccanta). Tutti i femminili qui citati sono regolarmente censiti dallo Zingarelli, dunque. Globalmente, le azzurre sono calciatrìci; l’ufficiale di gara incaricato di far osservare le règole, di sanzionare le infrazióni (cioè le violazioni), i fàlli e di convalidare il risultato finale sarà un’àrbitra, nel caso fosse donna, che come aiutanti potrebbe avere le guardalìnee (se sono donne pure loro: questo è uno di quei casi in cui basta cambiare l’articolo, quindi abbiamo il guardalinee e la guardalinee). Entrando invece nello specifico dei ruoli all’interno della squadra, abbiamo prima di tutto la capitàna; poi, ecco la portièra (e non è strano che lo stesso termine voglia dire più cose: anche il portiere può essere quello di uno stabile, ma dal contesto capiamo che la parola è usata con un significato diverso); la difensóra o difenditrìce (essendo un femminile per ora poco usato, le due forme sono in concorrenza), la terzìna (mentre per il ruolo di lìbero, al momento, il dizionario non riporta la versione femminile nell’accezione sportiva: chissà che un giorno…); l(a)’attaccànte (come tutti i termini che, alla lontana, derivano da participi presenti, anche qui cambia solo l’articolo: la attaccante come la docente, la gerente, la presidente – che ha anche il femminile presidentessa; differenza che si mantiene anche al plurale con gli attaccanti e le attaccanti), la centrocampìsta (anche qui, cambia l’articolo al singolare, mentre forma maschile e femminile si differenziano al plurale: i centrocampisti e le centrocampiste), la mediàna. Dunque, volendo, è possibile definire le nostre azzurre, con i loro ruoli, usando quasi esclusivamente le forme femminili. Ricordiamo, tuttavia, che non è un obbligo: in questo momento storico, un dizionario e un linguista – anzi, una linguista come me – non possono che avallare l’esistenza e correttezza delle forme femminili; ma devono essere i parlanti a decidere se, come e quando adottare queste forme. Non si ottiene mai nulla di buono con la coercizione; dunque, quale che sia la vostra posizione in merito, usate le forme che preferite ma, soprattutto, cercate di avere rispetto di chi la pensa diversamente da voi. Chiudiamo con una riflessione sul genere di VAR, ossia del Video Assistant Referee o arbitro assistente a video (“nel calcio, tecnologia televisiva che consente a due arbitri fuori campo di assistere in video replay quello principale in campo nel valutare azioni di gioco dubbie, suggerendogli via radio la decisione da prendere”): è il VAR o la VAR? Una risposta secca non esiste: in questo momento, come succede spesso per i forestierismi integrali, ancor più nel caso di sigle, il genere è fluttuante. Nessuno può decidere a priori sul genere di un forestierismo, perché la scelta dei parlanti dipende molto dal senso che danno a quella parola. Dunque, è assolutamente normale che ci sia un periodo di incertezza di genere, che poi normalmente si risolve in maniera pacifica in un modo o nell’altro (come è stato per email, oggi usato quasi esclusivamente al femminile). L’unica cosa che possiamo fare è verificare, con Google, l’andamento delle due forme. Ebbene, una ricerca in soli contesti di lingua italiana ci dice che il VAR prevale su la VAR 556.000 a 286.000; dunque, sembra che l’uso si stia assestando sul maschile.
2019
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1258715
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