La Settimana Santa precede la Pàsqua; per i Cristiani è la solennità della resurrezione di Cristo, e cade nella domenica seguente al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera; per questo, la sua data è mobile: non a caso si parla di Pasqua alta, quando è in ritardo rispetto al solito, e Pasqua bassa, quando viceversa è in anticipo. La Pasqua ebraica era stata istituita per commemorare l’uscita degli Ebrei dall’Egitto, e proprio dall’ebraico pésah ‘passaggio’ arriva a noi la parola, passando dal greco páscha attraverso il latino cristiano Păscha. È anche la festa che, proverbialmente, non si deve per forza passare con i propri familiari: Natale coi tuoi, Pasqua con chi vuoi. Con iniziale minuscola, essere contenti come una pasqua vuol dire essere felicissimi: i due concetti, quello di Pasqua e di felicità, sembrano essere dunque collegati, nella saggezza popolare. Pasqua Ci sono molte consuetudini collegate alla Pasqua: una delle più note è quella della Domenica delle Palme (o degli Ulivi), che precede quella di Pasqua. Quel giorno, nelle chiese vengono benedetti ramoscelli di olìvo (o ulìvo, dal verbo latino parlato *olīre, in latino classico olēre ‘odorare’), che le persone poi portano a casa. Il ramoscello d’olivo è simbolo di pace; non a caso, figurativamente, si dice offrire un ramoscello l’ulivo per ‘dimostrare propositi di pace’. Un’altra consuetudine è il giro delle sette chiese, un rito a cui diede inizio San Filippo Neri nel 1540, che comprendeva la visita, il Giovedì Santo, alle sette basiliche più importanti della città, in una sorta di pellegrinaggio. Questa consuetudine ha, nel corso del tempo, assunto varie forme: in alcuni luoghi il giro si fa il Venerdì e (o) il Sabato Santo; in altri non è stabilito un numero di chiese da visitare e così via. Quel giro delle sette chiese è diventato proverbiale, venendo impiegato figurativamente per indicare una serie di visite a persone importanti per ottenere qualcosa: ho fatto il giro delle sette chiese per ottenere quel documento! (un significato molto meno lieto, a dire il vero…). Ma spostiamoci dal polo dell’anima al polo più “fisico”: ovviamente, anche la Pasqua si configura come occasione per preparare – e ingerire – leccornìe di ogni sorta. E qui, come sempre, abbiamo specialità regionali come la torta pasqualìna, una specialità della cucina genovese, costituita da un guscio di sfoglia con ripieno di bietole e altre verdure, uova e formaggio o, sul versante dolce, la mitica pastièra napoletana, una base di pasta frolla ripiena di grano bollito, ricotta, canditi e aroma di fiori d’arancio. Panitaliana è invece la tradizione della colómba, che è un po’ il corrispettivo pasquale del panettone (la base di partenza è di fatto la stessa), ma con una forma che ricorda quella di una colomba con le ali spiegate, a sua volta simbolo di pace. È una tradizione recente quella dell’uòvo di Pasqua, cioè di donare – prevalentemente ai bambini, ma non solo! – uova di cioccolato, di solito contenenti una sorprésa. L’uovo è tradizionalmente simbolo di vita, ma l’idea di trasformarlo in cioccolato è probabilmente da imputare ai mastri cioccolatieri torinesi del Settecento. Già, il cioccolato, croce e delizia dei nostri girovita… Lo sapevate che il nome deriva dall’azteco chocolatl attraverso il francese chocolat, e che la sua prima comparsa in italiano è del 1685? E a proposito di aneddotica: molti anni fa, quando ero ancora una ragazzina e i miei genitori mi regalavano l’uovo di Pasqua (in realtà lo fanno ancora, anche se ho più di quarant’anni), aprendo un uovo piuttosto costoso trovai una sorpresa davvero speciale e… poco pasquale: un coltellino svizzero multifunzione! Se pensavate che la serie di festeggiamenti si concludesse con la domenica di Pasqua, sappiate che non è ancora finita: il lunedì successivo alla domenica della Resurrezione, infatti, si celebra da qualche secolo la Pasquétta, tradizionalmente festeggiata con gite in campagna che vengono spesso definite gite fuoriporta. Casomai vi steste chiedendo a quali porte faccia riferimento l’espressione, sono quelle tradizionali delle città murate, per cui una gita “fuoriporta” era una breve puntata nelle campagne circostanti alla città. E per finire, anche gìta è un termine dall’etimo interessante: deriva dal participio passato del verbo gìre, che non è altro che la forma italianizzata del latino īre, cioè ‘andare’. E ora, andiamo a festeggiare!

Felici come una Pasqua: parole e dolci della tradizione / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2019).

Felici come una Pasqua: parole e dolci della tradizione

Vera Gheno
2019

Abstract

La Settimana Santa precede la Pàsqua; per i Cristiani è la solennità della resurrezione di Cristo, e cade nella domenica seguente al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera; per questo, la sua data è mobile: non a caso si parla di Pasqua alta, quando è in ritardo rispetto al solito, e Pasqua bassa, quando viceversa è in anticipo. La Pasqua ebraica era stata istituita per commemorare l’uscita degli Ebrei dall’Egitto, e proprio dall’ebraico pésah ‘passaggio’ arriva a noi la parola, passando dal greco páscha attraverso il latino cristiano Păscha. È anche la festa che, proverbialmente, non si deve per forza passare con i propri familiari: Natale coi tuoi, Pasqua con chi vuoi. Con iniziale minuscola, essere contenti come una pasqua vuol dire essere felicissimi: i due concetti, quello di Pasqua e di felicità, sembrano essere dunque collegati, nella saggezza popolare. Pasqua Ci sono molte consuetudini collegate alla Pasqua: una delle più note è quella della Domenica delle Palme (o degli Ulivi), che precede quella di Pasqua. Quel giorno, nelle chiese vengono benedetti ramoscelli di olìvo (o ulìvo, dal verbo latino parlato *olīre, in latino classico olēre ‘odorare’), che le persone poi portano a casa. Il ramoscello d’olivo è simbolo di pace; non a caso, figurativamente, si dice offrire un ramoscello l’ulivo per ‘dimostrare propositi di pace’. Un’altra consuetudine è il giro delle sette chiese, un rito a cui diede inizio San Filippo Neri nel 1540, che comprendeva la visita, il Giovedì Santo, alle sette basiliche più importanti della città, in una sorta di pellegrinaggio. Questa consuetudine ha, nel corso del tempo, assunto varie forme: in alcuni luoghi il giro si fa il Venerdì e (o) il Sabato Santo; in altri non è stabilito un numero di chiese da visitare e così via. Quel giro delle sette chiese è diventato proverbiale, venendo impiegato figurativamente per indicare una serie di visite a persone importanti per ottenere qualcosa: ho fatto il giro delle sette chiese per ottenere quel documento! (un significato molto meno lieto, a dire il vero…). Ma spostiamoci dal polo dell’anima al polo più “fisico”: ovviamente, anche la Pasqua si configura come occasione per preparare – e ingerire – leccornìe di ogni sorta. E qui, come sempre, abbiamo specialità regionali come la torta pasqualìna, una specialità della cucina genovese, costituita da un guscio di sfoglia con ripieno di bietole e altre verdure, uova e formaggio o, sul versante dolce, la mitica pastièra napoletana, una base di pasta frolla ripiena di grano bollito, ricotta, canditi e aroma di fiori d’arancio. Panitaliana è invece la tradizione della colómba, che è un po’ il corrispettivo pasquale del panettone (la base di partenza è di fatto la stessa), ma con una forma che ricorda quella di una colomba con le ali spiegate, a sua volta simbolo di pace. È una tradizione recente quella dell’uòvo di Pasqua, cioè di donare – prevalentemente ai bambini, ma non solo! – uova di cioccolato, di solito contenenti una sorprésa. L’uovo è tradizionalmente simbolo di vita, ma l’idea di trasformarlo in cioccolato è probabilmente da imputare ai mastri cioccolatieri torinesi del Settecento. Già, il cioccolato, croce e delizia dei nostri girovita… Lo sapevate che il nome deriva dall’azteco chocolatl attraverso il francese chocolat, e che la sua prima comparsa in italiano è del 1685? E a proposito di aneddotica: molti anni fa, quando ero ancora una ragazzina e i miei genitori mi regalavano l’uovo di Pasqua (in realtà lo fanno ancora, anche se ho più di quarant’anni), aprendo un uovo piuttosto costoso trovai una sorpresa davvero speciale e… poco pasquale: un coltellino svizzero multifunzione! Se pensavate che la serie di festeggiamenti si concludesse con la domenica di Pasqua, sappiate che non è ancora finita: il lunedì successivo alla domenica della Resurrezione, infatti, si celebra da qualche secolo la Pasquétta, tradizionalmente festeggiata con gite in campagna che vengono spesso definite gite fuoriporta. Casomai vi steste chiedendo a quali porte faccia riferimento l’espressione, sono quelle tradizionali delle città murate, per cui una gita “fuoriporta” era una breve puntata nelle campagne circostanti alla città. E per finire, anche gìta è un termine dall’etimo interessante: deriva dal participio passato del verbo gìre, che non è altro che la forma italianizzata del latino īre, cioè ‘andare’. E ora, andiamo a festeggiare!
2019
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1258722
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