Eccoci a febbraio, tradizionalmente il mese del fèstival (o festivàl, come amava pronunciare Mike Bongiorno) di Sanremo. La consonante finale “tradisce” la natura di forestierismo del termine: è una voce inglese, dall’antico francese festival, derivante dal latino festīvus ‘piacevole, festivo’ (1846) ed è, come tutti i forestierismi, invariabile in italiano (insomma, non si parla mai dei *festivals). Il termine indica una “manifestazione organizzata periodicamente per presentare al pubblico opere musicali, teatrali o cinematografiche talora con assegnazione finale di premi”; ne dà una bella definizione d’autore Piera Detassis: https://dizionaripiu.zanichelli.it/cultura-e-attualita/definizionidautore/festival/. Il festival della canzone, modo alternativo di riferirsi al mitico Sanremo, è molto frequentato dai cantautori, termine recente (1961) composto da cantante+autore (femminile cantautrice), ossia un “cantante che interpreta canzoni scritte o musicate da lui stesso”. E anche per cantautore abbiamo una definizione speciale, questa volta di Francesco Guccini: https://dizionaripiu.zanichelli.it/cultura-e-attualita/definizionidautore/cantautore/. Ogni canzone (dal latino cantiōne(m), da căntus ‘canto’ av. 1250), cioè, in questa accezione, “composizione per canto e strumenti, orecchiabile, solitamente con ritornello”, per partecipare deve essere inèdita (voce dotta, dal latino inēditu(m), comp. di in- e ēditus ‘edito’, secolo XIII), cioè un pezzo “che non è stato ancora pubblicato”; questo, da un punto di vista legale. Per avere successo, invece, è importante che il bràno (dall’antico francese braon, dal francone brādo ampliato col suffisso accrescitivo -on, 1313) abbia una bella melodìa (voce dotta, dal latino tardo melōdia(m), dal greco melōidía, composto di mélos ‘musica’ e ōidḗ ‘canto’, av. 1292), “sequenza di suoni che producono una frase musicale compiuta, gradevole e orecchiabile”. E ciò che contraddistingue l’esecuzione sanremese è il fatto che ogni pezzo viene suonato da un’intera orchèstra (voce dotta, dal latino orchēstra(m), dal greco orchḗstra ‘spazio per le evoluzioni del coro’, da orchêisthai ‘danzare’, 1556), “complesso di strumenti e strumentisti necessari all’esecuzione di una composizione musicale, diverso a seconda delle epoche, degli stili e dei generi”. Se anche per voi, come cantava Edoardo Bennato, in fondo “sono solo canzonette”, sappiate che la gàra, “competizione tra due o più concorrenti o squadre impegnati a superarsi vicendevolmente” (dall’arabo ġāra ‘scorreria’, 1312) è accesissima, e che il giudizio positivo della giurìa (dal francese jury, 1877), “gruppo di persone che valutano e premiano i partecipanti a gare, concorsi e simili” è inseguito a colpi di virtuosismi. Una cosa che invece molti non sanno è che nel 1991, proprio a proposito di Sanremo, Michele Serra usò, nel periodico Panorama, per la prima – e a lungo unica – volta una parola che sarebbe salita agli onori della cronaca nel febbraio 2016 (ma a tutt’oggi non registrata dai dizionari, dato che non viene effettivamente usata dalle persone): «I fiori di Sanremo sono iperrealisti: troppo petalosi e colorati, sono fiori di rappresentanza e dunque la mettono giù dura».

Festival di Sanremo: sono solo canzonette? / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2019).

Festival di Sanremo: sono solo canzonette?

Vera Gheno
2019

Abstract

Eccoci a febbraio, tradizionalmente il mese del fèstival (o festivàl, come amava pronunciare Mike Bongiorno) di Sanremo. La consonante finale “tradisce” la natura di forestierismo del termine: è una voce inglese, dall’antico francese festival, derivante dal latino festīvus ‘piacevole, festivo’ (1846) ed è, come tutti i forestierismi, invariabile in italiano (insomma, non si parla mai dei *festivals). Il termine indica una “manifestazione organizzata periodicamente per presentare al pubblico opere musicali, teatrali o cinematografiche talora con assegnazione finale di premi”; ne dà una bella definizione d’autore Piera Detassis: https://dizionaripiu.zanichelli.it/cultura-e-attualita/definizionidautore/festival/. Il festival della canzone, modo alternativo di riferirsi al mitico Sanremo, è molto frequentato dai cantautori, termine recente (1961) composto da cantante+autore (femminile cantautrice), ossia un “cantante che interpreta canzoni scritte o musicate da lui stesso”. E anche per cantautore abbiamo una definizione speciale, questa volta di Francesco Guccini: https://dizionaripiu.zanichelli.it/cultura-e-attualita/definizionidautore/cantautore/. Ogni canzone (dal latino cantiōne(m), da căntus ‘canto’ av. 1250), cioè, in questa accezione, “composizione per canto e strumenti, orecchiabile, solitamente con ritornello”, per partecipare deve essere inèdita (voce dotta, dal latino inēditu(m), comp. di in- e ēditus ‘edito’, secolo XIII), cioè un pezzo “che non è stato ancora pubblicato”; questo, da un punto di vista legale. Per avere successo, invece, è importante che il bràno (dall’antico francese braon, dal francone brādo ampliato col suffisso accrescitivo -on, 1313) abbia una bella melodìa (voce dotta, dal latino tardo melōdia(m), dal greco melōidía, composto di mélos ‘musica’ e ōidḗ ‘canto’, av. 1292), “sequenza di suoni che producono una frase musicale compiuta, gradevole e orecchiabile”. E ciò che contraddistingue l’esecuzione sanremese è il fatto che ogni pezzo viene suonato da un’intera orchèstra (voce dotta, dal latino orchēstra(m), dal greco orchḗstra ‘spazio per le evoluzioni del coro’, da orchêisthai ‘danzare’, 1556), “complesso di strumenti e strumentisti necessari all’esecuzione di una composizione musicale, diverso a seconda delle epoche, degli stili e dei generi”. Se anche per voi, come cantava Edoardo Bennato, in fondo “sono solo canzonette”, sappiate che la gàra, “competizione tra due o più concorrenti o squadre impegnati a superarsi vicendevolmente” (dall’arabo ġāra ‘scorreria’, 1312) è accesissima, e che il giudizio positivo della giurìa (dal francese jury, 1877), “gruppo di persone che valutano e premiano i partecipanti a gare, concorsi e simili” è inseguito a colpi di virtuosismi. Una cosa che invece molti non sanno è che nel 1991, proprio a proposito di Sanremo, Michele Serra usò, nel periodico Panorama, per la prima – e a lungo unica – volta una parola che sarebbe salita agli onori della cronaca nel febbraio 2016 (ma a tutt’oggi non registrata dai dizionari, dato che non viene effettivamente usata dalle persone): «I fiori di Sanremo sono iperrealisti: troppo petalosi e colorati, sono fiori di rappresentanza e dunque la mettono giù dura».
2019
Vera Gheno
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1258728
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