Di questi tempi, si cita spesso la parola migrazione; molti si chiedono anche come mai abbia, di fatto, conquistato un suo spazio nelle cronache al posto di immigrazione ed emigrazione. Migrazione, voce dotta, dal latino migratiōne(m), da migrāre (av. 1544), indica, nell’accezione di nostro interesse, ‘spostamento di popolazioni, tribù, gruppi sociali e simili per un periodo molto lungo o in forma definitiva’. Si differenzia da emigrazione che è invece lo spostamento di persone o famiglie dal proprio luogo d’origine a un altro dove sia possibile trovare lavoro e migliori condizioni di vita. Il suo opposto è ovviamente immigrazione, che vede la questione dal punto di vista opposto, ossia in considerazione del posto di arrivo. Quando l’emigrazione è di massa e accade per una catastrofe naturale o la pressione di un nemico, si può parlare di esodo, mentre una emigrazione di un intero popolo costretto a disperdersi in varie direzioni viene definito diaspora. Chi emigra, o sta migrando, spesso cerca asilo. Voce dotta, dal latino asy̆lu(m), a sua volta dal greco ásylon ‘inviolabile’, comp. di a- e sy̆lon ‘violenza, rapina’ (parola nata prima del 1334), indica, tra gli altri significati, ‘rifugio, ricovero, ricetto’: quindi si cerca asilo o lo si chiede. Esiste un antico diritto all’asilo che sopravvive nel diritto canonico, ‘inviolabilità accordata al rifugiato in un tempio o in una chiesa’, mentre è tristemente famoso il concetto di asilo politico, ‘inviolabilità accordata allo straniero rifugiato per motivi politici in territorio estero o in luoghi che godono della extraterritorialità’. Dal punto di vista di chi riceve il migrante, è importante garantire l’accoglienza (1294, da accogliere, a sua volta composto del latino ăd e collĭgere, da lĕgere ‘raccogliere’), che genericamente è il ‘modo di ricevere un ospite’, ma più specificamente è la ‘disponibilità ad accogliere e inserire all’interno di un gruppo o più in generale di una società’, non a caso si parla di politica di accoglienza nei confronti dei migranti. Il centro di accoglienza è non a caso una ‘struttura che costituisce una prima forma di ospitalità data a profughi, immigrati, popolazioni sinistrate’, chiamata a volte centro di identificazione o anche hot spot. Purtroppo, spesso si dimentica la necessità di cooperazione (voce dotta, dal latino tardo cooperatiōne(m), da cooperāri ‘cooperare’, 1395), sia nel senso di ‘collaborazione’, affinché i migranti possano venire trattati in maniera umana, ma anche come ‘complesso di attività che mirano a fornire servizi o tecnologie a Paesi in via di sviluppo’, dato che una delle strade per diminuire la necessità stessa delle migrazioni è quella di migliorare le condizioni di vita delle persone nei loro paesi di origine. Un aggettivo chiave, in questa sfera semantica, è umanitario (dal francese humanitaire, da humanité ‘umanità’, 1838), che indica qualcuno ‘che pensa e opera secondo principi di generosità, comprensione, carità, amore verso il prossimo e simili’ o, se riferito a cose, ‘ciò che è improntato a umanitarismo: principi, scopi umanitari; opera, iniziativa umanitaria; ideali umanitari’. Purtroppo non è nemmeno raro che una guerra umanitaria, cioè intrapresa per difendere i diritti umani, diventi una catastrofe umanitaria, ‘che riguarda la vita di numerose persone’, con le conseguenze che tristemente conosciamo. Nemmeno le generazioni successive a quelle dei migranti veri e propri possono stare sempre tranquille: esiste, infatti, il problema di acquisire la cittadinanza del luogo in cui si sono stanziati, dato che in molti paesi, tra cui l’Italia, non basta nascere sul suolo italiano, ossia non vige lo ius soli (letteralmente “diritto del suolo”, locuzione latina che indica ‘diritto che sorge per il fatto di essere nati in un certo Stato’), ma lo ius sanguinis (o “diritto di sangue”, ‘diritto che sorge per il fatto di essere discendenti in linea retta di qualcuno’). In qualche modo, potremmo dire che tutte le questioni citate sono direttamente correlate al fatto che esista il concetto stesso di frontiera (dal francese frontière, da front ‘fronte’, sec. XIII), ossia la ‘linea di confine che delimita il territorio di uno Stato’, da cui espressioni come passare o chiudere la frontiera. E a proposito di frontiera, Claudio Magris ha scritto, per lo Zingarelli, una bella definizione d’autore, che forse conviene rileggere assieme. Clicca qui sotto per leggerla tutta:

Migrazione / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2018).

Migrazione

Vera Gheno
2018

Abstract

Di questi tempi, si cita spesso la parola migrazione; molti si chiedono anche come mai abbia, di fatto, conquistato un suo spazio nelle cronache al posto di immigrazione ed emigrazione. Migrazione, voce dotta, dal latino migratiōne(m), da migrāre (av. 1544), indica, nell’accezione di nostro interesse, ‘spostamento di popolazioni, tribù, gruppi sociali e simili per un periodo molto lungo o in forma definitiva’. Si differenzia da emigrazione che è invece lo spostamento di persone o famiglie dal proprio luogo d’origine a un altro dove sia possibile trovare lavoro e migliori condizioni di vita. Il suo opposto è ovviamente immigrazione, che vede la questione dal punto di vista opposto, ossia in considerazione del posto di arrivo. Quando l’emigrazione è di massa e accade per una catastrofe naturale o la pressione di un nemico, si può parlare di esodo, mentre una emigrazione di un intero popolo costretto a disperdersi in varie direzioni viene definito diaspora. Chi emigra, o sta migrando, spesso cerca asilo. Voce dotta, dal latino asy̆lu(m), a sua volta dal greco ásylon ‘inviolabile’, comp. di a- e sy̆lon ‘violenza, rapina’ (parola nata prima del 1334), indica, tra gli altri significati, ‘rifugio, ricovero, ricetto’: quindi si cerca asilo o lo si chiede. Esiste un antico diritto all’asilo che sopravvive nel diritto canonico, ‘inviolabilità accordata al rifugiato in un tempio o in una chiesa’, mentre è tristemente famoso il concetto di asilo politico, ‘inviolabilità accordata allo straniero rifugiato per motivi politici in territorio estero o in luoghi che godono della extraterritorialità’. Dal punto di vista di chi riceve il migrante, è importante garantire l’accoglienza (1294, da accogliere, a sua volta composto del latino ăd e collĭgere, da lĕgere ‘raccogliere’), che genericamente è il ‘modo di ricevere un ospite’, ma più specificamente è la ‘disponibilità ad accogliere e inserire all’interno di un gruppo o più in generale di una società’, non a caso si parla di politica di accoglienza nei confronti dei migranti. Il centro di accoglienza è non a caso una ‘struttura che costituisce una prima forma di ospitalità data a profughi, immigrati, popolazioni sinistrate’, chiamata a volte centro di identificazione o anche hot spot. Purtroppo, spesso si dimentica la necessità di cooperazione (voce dotta, dal latino tardo cooperatiōne(m), da cooperāri ‘cooperare’, 1395), sia nel senso di ‘collaborazione’, affinché i migranti possano venire trattati in maniera umana, ma anche come ‘complesso di attività che mirano a fornire servizi o tecnologie a Paesi in via di sviluppo’, dato che una delle strade per diminuire la necessità stessa delle migrazioni è quella di migliorare le condizioni di vita delle persone nei loro paesi di origine. Un aggettivo chiave, in questa sfera semantica, è umanitario (dal francese humanitaire, da humanité ‘umanità’, 1838), che indica qualcuno ‘che pensa e opera secondo principi di generosità, comprensione, carità, amore verso il prossimo e simili’ o, se riferito a cose, ‘ciò che è improntato a umanitarismo: principi, scopi umanitari; opera, iniziativa umanitaria; ideali umanitari’. Purtroppo non è nemmeno raro che una guerra umanitaria, cioè intrapresa per difendere i diritti umani, diventi una catastrofe umanitaria, ‘che riguarda la vita di numerose persone’, con le conseguenze che tristemente conosciamo. Nemmeno le generazioni successive a quelle dei migranti veri e propri possono stare sempre tranquille: esiste, infatti, il problema di acquisire la cittadinanza del luogo in cui si sono stanziati, dato che in molti paesi, tra cui l’Italia, non basta nascere sul suolo italiano, ossia non vige lo ius soli (letteralmente “diritto del suolo”, locuzione latina che indica ‘diritto che sorge per il fatto di essere nati in un certo Stato’), ma lo ius sanguinis (o “diritto di sangue”, ‘diritto che sorge per il fatto di essere discendenti in linea retta di qualcuno’). In qualche modo, potremmo dire che tutte le questioni citate sono direttamente correlate al fatto che esista il concetto stesso di frontiera (dal francese frontière, da front ‘fronte’, sec. XIII), ossia la ‘linea di confine che delimita il territorio di uno Stato’, da cui espressioni come passare o chiudere la frontiera. E a proposito di frontiera, Claudio Magris ha scritto, per lo Zingarelli, una bella definizione d’autore, che forse conviene rileggere assieme. Clicca qui sotto per leggerla tutta:
2018
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