È uscito da pochi giorni lo Zingarelli 2020; anche quest’anno, agli occhi di un attento lettore che si mettesse a sfogliare tutto il volumone, tra le pagine si paleserebbero numerose novità. Parto con una premessa: un dizionario è un oggetto in costante evoluzione. Ogni nuova edizione non contiene solo parole nuove, ma anche revisioni, modifiche o correzioni a volte infinitesimali. Per tutto l’anno, la redazione lavora al perfezionamento e al miglioramento dell’opera. Ritengo questo aspetto uno dei più affascinanti in assoluto della lessicografia: il lavoro non finisce mai, almeno finché una lingua è viva, ossia ci sono persone che la parlano. Solo le lingue morte diventano statiche; per queste, il vocabolario diventa il mero repertorio delle parole già esistenti. Un vocabolario sincronico o dell’uso come lo Zingarelli, invece, registra di anno in anno le micro- e macrovariazioni dell’italiano, in modo da rimanere sempre aggiornato. Sicuramente, a ogni nuova edizione, l’attenzione delle persone viene catalizzata dall’elenco dei neologismi, ossia delle parole nuove entrate nel lemmario. Come già ricordato in passato su questa rubrica, la decisione di registrare un neologismo dipende da fattori in larga parte misurabili, non dalla mera opinione dei lessicografi. In altre parole, un neologismo viene registrato dal vocabolario se viene usato da un numero sufficiente di persone per un tempo abbastanza lungo e, se possibile, in contesti differenti. Questi dati vengono desunti da analisi statistiche su grandi raccolte di testi differenti, aggiornate a loro volta nel tempo, chiamate corpora (plurale della parola latina corpus). Come conseguenza di questo modo di agire, è facile comprendere che organizzare petizioni a favore o contro una certa parola non è di nessuna utilità pratica: solo l’uso – o il non uso – di un termine da parte della comunità dei parlanti di una lingua ne determina la registrazione o meno nel dizionario. E questo meccanismo è assai difficile da forzare, anche se è indubbio che discutere di una parola può aumentarne la conoscenza e la diffusione. Per la cronaca, petaloso continua a non essere registrato nello Zingarelli per un motivo molto semplice: quasi sempre, chi usa l’aggettivo petaloso non lo usa in modo proprio (per esempio, per commentare un mandorlo in fiore), ma per parlare della parola petaloso stessa, ossia ne fa un impiego metalinguistico. In compenso, nello Zingarelli di quest’anno sono stati registrati termini come leniterapìa (“terapia basata su cure palliative”), ramen (giapponese “tipo di tagliatelle di farina di grano, specialità della cucina giapponese; comunemente, la pietanza in cui le stesse sono servite in brodo, spesso insaporite con miso o salsa di soia e guarnite con pezzi di carne o verdure”), aparthotel (inglese, “appartamento gestito come un residence, generalmente per soggiorni brevi”), bralette (inglese, “reggiseno leggero privo di ganci, imbottiture o sostegni; tipo di reggiseno morbido con spalline di pizzo, o variamente decorate, da portare a vista”), poliamóre (“relazione intima fra più di due partner, tutti consenzienti”), pìnsa (“focaccia simile alla pizza ma bassa, di forma ovale o rettangolare, a base di farina di riso, soia e frumento, lievito madre e olio evo, specialità della cucina romana”) e ciaóne (“grande e affettuoso ciao, come formula di saluto […]; (ironico) saluto di scherno a chi si sta separando da qualcuno o da un gruppo”); una selezione neologismi dello Zingarelli 2020 è stata inserita da Carlo Lucarelli nel suo racconto scritto appositamente per noi e pubblicato nell’inserto La Lettura del Corriere della Sera. Dal punto di vista puramente lessicografico, non c’è differenza tra neologismi endogeni (cioè formati con materiale linguistico italiano) come poliamore o ciaone e neologismi esogeni (cioè arrivati all’italiano da altre lingue) come bralette o ramen: il loro ingresso, come già ricordato, non dipende dal gusto dei lessicografi, ma dalle abitudini dei parlanti. E per quanto molte persone si preoccupino della preponderanza dell’inglese, molti dei termini registrati in questa edizione dello Zingarelli derivano da altre lingue: oltre al già nominato ramen, dal giapponese abbiamo anche edamame (“seme di soia immaturo, di elevate proprietà nutritive, cotto nel proprio baccello e usato per insalate o zuppe nella gastronomia cinese, giapponese e nell’alimentazione vegana”) o ukiyo-e (“tradizione figurativa giapponese, viva dal XVII al XIX secolo, consistente nell’incidere su matrici di legno soggetti di vita quotidiana per stampe destinate ad alte tirature; per estensione, stampa appartenente a questo genere”); e ancora, barbotine dal francese (“argilla semiliquida usata come legante nella lavorazione della ceramica o, già nell’arte minoica, per decorare in rilievo manufatti dello stesso materiale”), pro bono dal latino (“detto di assistenza legale prestata dall’avvocato gratuitamente a beneficio di chi non è in grado di pagarla”) e remontada dallo spagnolo (“nel linguaggio del giornalismo sportivo, e specialmente nel calcio, rimonta”). Infine, per tornare a noi, da quest’anno troveremo nel dizionario anche culurgiones dal sardo (“fagottini di pasta fresca tipici della cucina sarda, il cui ripieno varia a seconda delle aree dell’isola”). L’italiano, più che “inglesizzarsi”, continua a evolversi nel solco della sua tradizione di crocevia culturale e anche linguistico. Forse meno evidenti, ma non per questo meno numerosi o meno rilevanti, sono gli aggiornamenti alle definizioni. In alcuni casi, vengono aggiunte accezioni interamente nuove alle parole; l’anno scorso successe ad amicizia, a cui venne aggiunto il significato numero 4, circoscritto all’ambito di Internet, “relazione che si stabilisce fra due utenti Facebook quando esprimono reciproco consenso a condividere i contenuti del proprio profilo”; la nostra lingua, infatti, non cambia solo con l’aggiunta di neologismi, ma anche con gli slittamenti o gli arricchimenti semantici di parole già esistenti. Limitandoci al contesto dei social network, pensiamo a com’è cambiato dal loro avvento il significato di bacheca, profilo, bloccare o condividere. In altri casi, aggiornare le definizioni vuol dire aggiungere una specificazione a un’accezione (che magari, nel tempo, è diventata dispregiativa o al contrario ha perso la connotazione dispregiativa, o che da gergale è entrata a far parte del linguaggio comune) oppure inserire una pronuncia aggiuntiva con l’indicazione (evit.), cioè “evitare”, magari tenendo conto di un errore molto diffuso, o addirittura una grafia secondaria. Il punto è che, dovendo continuamente tenere conto dell’uso vivo di una lingua, il dizionario non può che mutare di conseguenza. Nel momento in cui diventasse statico, non sarebbe più specchio fedele del presente linguistico che deve andare a descrivere. Anche quest’anno, nello Zingarelli si troveranno non solo definizioni aggiornate e novità, ma anche la bella selezione di “Parole da salvare”: lemmi accanto ai quali è disegnato un fiorellino e che sono parole belle, ricche, espressive, spesso in semi-disuso, in ogni caso meno conosciute di una volta perché magari tipiche di un certo lessico oggi meno usato, ma che sarebbe un vero peccato perdere. La prospettiva non dovrebbe essere quella di preservare parole desuete per snobismo o per “parlare difficile”, ma per recuperare dei termini talmente efficaci da non potere spesso essere sostituiti se non da circonlocuzioni. Alcuni esempi? Si può dire “Ero al parco quando venni assalita da un cane piccolo, tozzo e ringhioso”; oppure: “Ero al parco quando venni assalita da un bòtolo”. E ancora: invece di dire “Tende a indulgere in atti di ossequio eccessivamente cerimoniosi e adulatori” possiamo sintetizzare con “Tende a indulgere in salamelècchi”. Infine: “Osservate la bellezza dei sottili getti d’acqua che sgorgano con impeto di quella fontana” si può sostituire, più sinteticamente, con “Osservate la bellezza degli zampìlli di quella fontana”. Le “Parole da salvare” sono 3.126: una più gustosa dell’altra. Infine, l’ultima “chicca” dello Zingarelli sono le Definizioni d’autore: interpretazioni del significato di singole parole date da personalità di spicco in vari campi della cultura, del sapere e della vita. Le ultime nove sono state presentate nell’inserto del Corriere della sera del 13 settembre 2019 e sono: acufène dell’artista Caparezza, cométa di Amalia Ercoli Finzi, ingegnera aerospaziale, cùra di Emanuela Palmerini, medico, oncologo, fréddo di Matteo Cerri, neurofisiologo, imparzialità di Giovanni Floris, giornalista, indifferènza della senatrice a vita Liliana Segre, ìsola di Antonio Marras, stilista, pìccolo di Gianfranco Pacchioni, chimico e stélla di Marica Branchesi, astronoma. Per chi fosse incuriosito dalle Definizioni d’Autore, le troverà pubblicate via via nella sezione a loro dedicata di questo sito.

La bellezza dell’evoluzione Come cambia la lingua italiana nel 2020 / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2019).

La bellezza dell’evoluzione Come cambia la lingua italiana nel 2020

Vera Gheno
2019

Abstract

È uscito da pochi giorni lo Zingarelli 2020; anche quest’anno, agli occhi di un attento lettore che si mettesse a sfogliare tutto il volumone, tra le pagine si paleserebbero numerose novità. Parto con una premessa: un dizionario è un oggetto in costante evoluzione. Ogni nuova edizione non contiene solo parole nuove, ma anche revisioni, modifiche o correzioni a volte infinitesimali. Per tutto l’anno, la redazione lavora al perfezionamento e al miglioramento dell’opera. Ritengo questo aspetto uno dei più affascinanti in assoluto della lessicografia: il lavoro non finisce mai, almeno finché una lingua è viva, ossia ci sono persone che la parlano. Solo le lingue morte diventano statiche; per queste, il vocabolario diventa il mero repertorio delle parole già esistenti. Un vocabolario sincronico o dell’uso come lo Zingarelli, invece, registra di anno in anno le micro- e macrovariazioni dell’italiano, in modo da rimanere sempre aggiornato. Sicuramente, a ogni nuova edizione, l’attenzione delle persone viene catalizzata dall’elenco dei neologismi, ossia delle parole nuove entrate nel lemmario. Come già ricordato in passato su questa rubrica, la decisione di registrare un neologismo dipende da fattori in larga parte misurabili, non dalla mera opinione dei lessicografi. In altre parole, un neologismo viene registrato dal vocabolario se viene usato da un numero sufficiente di persone per un tempo abbastanza lungo e, se possibile, in contesti differenti. Questi dati vengono desunti da analisi statistiche su grandi raccolte di testi differenti, aggiornate a loro volta nel tempo, chiamate corpora (plurale della parola latina corpus). Come conseguenza di questo modo di agire, è facile comprendere che organizzare petizioni a favore o contro una certa parola non è di nessuna utilità pratica: solo l’uso – o il non uso – di un termine da parte della comunità dei parlanti di una lingua ne determina la registrazione o meno nel dizionario. E questo meccanismo è assai difficile da forzare, anche se è indubbio che discutere di una parola può aumentarne la conoscenza e la diffusione. Per la cronaca, petaloso continua a non essere registrato nello Zingarelli per un motivo molto semplice: quasi sempre, chi usa l’aggettivo petaloso non lo usa in modo proprio (per esempio, per commentare un mandorlo in fiore), ma per parlare della parola petaloso stessa, ossia ne fa un impiego metalinguistico. In compenso, nello Zingarelli di quest’anno sono stati registrati termini come leniterapìa (“terapia basata su cure palliative”), ramen (giapponese “tipo di tagliatelle di farina di grano, specialità della cucina giapponese; comunemente, la pietanza in cui le stesse sono servite in brodo, spesso insaporite con miso o salsa di soia e guarnite con pezzi di carne o verdure”), aparthotel (inglese, “appartamento gestito come un residence, generalmente per soggiorni brevi”), bralette (inglese, “reggiseno leggero privo di ganci, imbottiture o sostegni; tipo di reggiseno morbido con spalline di pizzo, o variamente decorate, da portare a vista”), poliamóre (“relazione intima fra più di due partner, tutti consenzienti”), pìnsa (“focaccia simile alla pizza ma bassa, di forma ovale o rettangolare, a base di farina di riso, soia e frumento, lievito madre e olio evo, specialità della cucina romana”) e ciaóne (“grande e affettuoso ciao, come formula di saluto […]; (ironico) saluto di scherno a chi si sta separando da qualcuno o da un gruppo”); una selezione neologismi dello Zingarelli 2020 è stata inserita da Carlo Lucarelli nel suo racconto scritto appositamente per noi e pubblicato nell’inserto La Lettura del Corriere della Sera. Dal punto di vista puramente lessicografico, non c’è differenza tra neologismi endogeni (cioè formati con materiale linguistico italiano) come poliamore o ciaone e neologismi esogeni (cioè arrivati all’italiano da altre lingue) come bralette o ramen: il loro ingresso, come già ricordato, non dipende dal gusto dei lessicografi, ma dalle abitudini dei parlanti. E per quanto molte persone si preoccupino della preponderanza dell’inglese, molti dei termini registrati in questa edizione dello Zingarelli derivano da altre lingue: oltre al già nominato ramen, dal giapponese abbiamo anche edamame (“seme di soia immaturo, di elevate proprietà nutritive, cotto nel proprio baccello e usato per insalate o zuppe nella gastronomia cinese, giapponese e nell’alimentazione vegana”) o ukiyo-e (“tradizione figurativa giapponese, viva dal XVII al XIX secolo, consistente nell’incidere su matrici di legno soggetti di vita quotidiana per stampe destinate ad alte tirature; per estensione, stampa appartenente a questo genere”); e ancora, barbotine dal francese (“argilla semiliquida usata come legante nella lavorazione della ceramica o, già nell’arte minoica, per decorare in rilievo manufatti dello stesso materiale”), pro bono dal latino (“detto di assistenza legale prestata dall’avvocato gratuitamente a beneficio di chi non è in grado di pagarla”) e remontada dallo spagnolo (“nel linguaggio del giornalismo sportivo, e specialmente nel calcio, rimonta”). Infine, per tornare a noi, da quest’anno troveremo nel dizionario anche culurgiones dal sardo (“fagottini di pasta fresca tipici della cucina sarda, il cui ripieno varia a seconda delle aree dell’isola”). L’italiano, più che “inglesizzarsi”, continua a evolversi nel solco della sua tradizione di crocevia culturale e anche linguistico. Forse meno evidenti, ma non per questo meno numerosi o meno rilevanti, sono gli aggiornamenti alle definizioni. In alcuni casi, vengono aggiunte accezioni interamente nuove alle parole; l’anno scorso successe ad amicizia, a cui venne aggiunto il significato numero 4, circoscritto all’ambito di Internet, “relazione che si stabilisce fra due utenti Facebook quando esprimono reciproco consenso a condividere i contenuti del proprio profilo”; la nostra lingua, infatti, non cambia solo con l’aggiunta di neologismi, ma anche con gli slittamenti o gli arricchimenti semantici di parole già esistenti. Limitandoci al contesto dei social network, pensiamo a com’è cambiato dal loro avvento il significato di bacheca, profilo, bloccare o condividere. In altri casi, aggiornare le definizioni vuol dire aggiungere una specificazione a un’accezione (che magari, nel tempo, è diventata dispregiativa o al contrario ha perso la connotazione dispregiativa, o che da gergale è entrata a far parte del linguaggio comune) oppure inserire una pronuncia aggiuntiva con l’indicazione (evit.), cioè “evitare”, magari tenendo conto di un errore molto diffuso, o addirittura una grafia secondaria. Il punto è che, dovendo continuamente tenere conto dell’uso vivo di una lingua, il dizionario non può che mutare di conseguenza. Nel momento in cui diventasse statico, non sarebbe più specchio fedele del presente linguistico che deve andare a descrivere. Anche quest’anno, nello Zingarelli si troveranno non solo definizioni aggiornate e novità, ma anche la bella selezione di “Parole da salvare”: lemmi accanto ai quali è disegnato un fiorellino e che sono parole belle, ricche, espressive, spesso in semi-disuso, in ogni caso meno conosciute di una volta perché magari tipiche di un certo lessico oggi meno usato, ma che sarebbe un vero peccato perdere. La prospettiva non dovrebbe essere quella di preservare parole desuete per snobismo o per “parlare difficile”, ma per recuperare dei termini talmente efficaci da non potere spesso essere sostituiti se non da circonlocuzioni. Alcuni esempi? Si può dire “Ero al parco quando venni assalita da un cane piccolo, tozzo e ringhioso”; oppure: “Ero al parco quando venni assalita da un bòtolo”. E ancora: invece di dire “Tende a indulgere in atti di ossequio eccessivamente cerimoniosi e adulatori” possiamo sintetizzare con “Tende a indulgere in salamelècchi”. Infine: “Osservate la bellezza dei sottili getti d’acqua che sgorgano con impeto di quella fontana” si può sostituire, più sinteticamente, con “Osservate la bellezza degli zampìlli di quella fontana”. Le “Parole da salvare” sono 3.126: una più gustosa dell’altra. Infine, l’ultima “chicca” dello Zingarelli sono le Definizioni d’autore: interpretazioni del significato di singole parole date da personalità di spicco in vari campi della cultura, del sapere e della vita. Le ultime nove sono state presentate nell’inserto del Corriere della sera del 13 settembre 2019 e sono: acufène dell’artista Caparezza, cométa di Amalia Ercoli Finzi, ingegnera aerospaziale, cùra di Emanuela Palmerini, medico, oncologo, fréddo di Matteo Cerri, neurofisiologo, imparzialità di Giovanni Floris, giornalista, indifferènza della senatrice a vita Liliana Segre, ìsola di Antonio Marras, stilista, pìccolo di Gianfranco Pacchioni, chimico e stélla di Marica Branchesi, astronoma. Per chi fosse incuriosito dalle Definizioni d’Autore, le troverà pubblicate via via nella sezione a loro dedicata di questo sito.
2019
Vera Gheno
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