Che fa una linguista a Natale? Quello che fanno tutti, tranne una particolarità: anche in occasione delle festività natalizie, non si dimentica di riflettere sulle parole! Il tempo del Natale è… pieno di antonomasie e di alterati. L’antonomàṣia (voce dotta, dal latino antonomăsia(m), dal greco antonomasía, comp. di antì ‘in luogo di’ e un derivato di ónoma ‘nome’, secolo XIV) è precisamente una “figura retorica che consiste nell’adoperare un nome comune o una perifrasi invece di un nome proprio” e anche una “figura retorica che consiste nell’attribuire il nome di un personaggio famoso a una persona che si ritiene abbia caratteristiche simili; per es. l’uso del nome di Sardanapalo per indicare il vizioso ‘giovin signore’ del Parini”; il senso in cui lo uso qui è quello dell’espressione “per antonomasia” che indica “per eccellenza, per definizione”. Il periodo del Natale è quello delle “Feste” per eccellenza: quando si augurano “Buone Feste” tutti capiscono che ci si sta riferendo proprio a questa festa (dal latino fĕsta, neutro plurale di fĕstum, di etimologia incerta, 1266) in particolare. A Natale molti decorano l’albero (dal latino ărbore(m), di etimologia incerta, av. 1249) di nuovo “per eccellenza”, ossia l’”abete che a Natale si addobba con luci e ornamenti vari e sotto il quale si mettono i regali: che cosa hai trovato sotto l’albero?” (e nessuno pensa a una quercia o un acero!). Sull’albero montiamo le lucìne, diminutivo di luce (dal latino lūce(m), da una radice *lūc– ‘splendere’, di origine indoeuropea, av. 1250), e di nuovo non c’è bisogno di aggiungere ulteriore specificazione. Ma qui siamo già nell’ambito degli alterati, che in grammatica indicano un “derivato da un nome o aggettivo primitivo per mezzo di un suffisso che ne modifica il significato solo per alcuni aspetti (quantità, qualità, giudizio del parlante; per esempio casetta, da casa, o cagnaccio, da cane)”; quando un alterato assume un significato autonomo (come telefonino rispetto a telefono), abbiamo a che fare con un falso alterato, cioè un derivato vero e proprio. I bambini, in molti casi, scrivono ancora la letterìna (ovviamente a Babbo Natale), “lettera scritta dai bambini con un elenco di richieste di regali accompagnato da buoni propositi”, diminutivo di lèttera (dal latino lĭttera(m) ‘lettera dell’alfabeto’, di etimologia incerta, forse di derivazione greca attraverso l’etrusco, 1219), mentre nell’aria si spande il tintinnio allegro e argenteo dei campanèlli (derivato di campana, av. 1370, dal latino tardo campāna(m), da (vāsa) campāna ‘vasi di bronzo della Campania’, av. 1294); nel resto dell’anno, campanello ci fa pensare a quello della porta e campanella al suono che annuncia la fine delle lezioni a scuola, mentre a Natale il pensiero va immediatamente a Jingle Bells. Arrivando a San Silvestro, invece, si passa agli accrescitivi: si parla di veglióne (1799, in questo caso quello di Capodanno, dato che c’è anche quello di Carnevale), derivato di véglia (da vegliare, av. 1294, a sua volta dal latino vigilāre, da vĭgil ‘vigile, sveglio’, avo. 1250); e per rimanere svegli in attesa dello scoccare della mezzanotte, ecco il cenóne (1865), accrescitivo di céna (dal latino cēna(m), sec. XII), ancora più noto (e abbondante) del cenone di Natale. Per tutta una serie di ragioni (tradizione, usanze, superstizioni, abitudine…) è previsto che il cenone di San Silvestro sia davvero luculliàno “detto di banchetto, piatto ecc. sontuoso, raffinato e abbondante”, a volte fin troppo. Questo bell’aggettivo (in uso in italiano dal 1544) deriva da un nome proprio di persona: quello del “politico e generale romano Lucio Licinio Lucullo (106 ca.-57 a.C.), famoso per la sua ricchezza e per il lusso di cui si circondava”. Infine, ecco che a mezzanotte arriva il momento dell’imprescindibile brindisi, sul cui significato nessuno ha dubbi: “saluto, augurio per onorare o festeggiare qualcuno o qualcosa, pronunciato in un gruppo di persone, specialmente commensali, levando il bicchiere e invitando gli altri a bere insieme, talvolta toccandosi reciprocamente i bicchieri prima di bere”. Ma quanti conoscono l’etimologia di questa strana parola? Deriva dalla locuzione tedesca (ich) bring dir’s ‘te lo porto, offro’, formula di prammatica nel brindare, ed è in uso in italiano dal 1534. In alto i calici, dunque, e salutiamo l’anno nuovo con cin cin (che, incredibile a dirsi, deriva dall’inglese chin-chin, dal cinese ch’ing ch’ing ‘prego, prego’, ed è un’espressione esistente in italiano dal 1930), con l’ancora più tradizionale salute! o qualche variante estera, a seconda di dove vi troviate. Io ve li faccio nelle lingue a me note: kippis! (finnico), egészségetekre! (ungherese), skål! (norvegese), cheers! (inglese), Gesundheit! (tedesco), santé! (francese).

Le parole del Natale Antonomasie, derivati e alterati delle feste / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2018).

Le parole del Natale Antonomasie, derivati e alterati delle feste

Vera Gheno
2018

Abstract

Che fa una linguista a Natale? Quello che fanno tutti, tranne una particolarità: anche in occasione delle festività natalizie, non si dimentica di riflettere sulle parole! Il tempo del Natale è… pieno di antonomasie e di alterati. L’antonomàṣia (voce dotta, dal latino antonomăsia(m), dal greco antonomasía, comp. di antì ‘in luogo di’ e un derivato di ónoma ‘nome’, secolo XIV) è precisamente una “figura retorica che consiste nell’adoperare un nome comune o una perifrasi invece di un nome proprio” e anche una “figura retorica che consiste nell’attribuire il nome di un personaggio famoso a una persona che si ritiene abbia caratteristiche simili; per es. l’uso del nome di Sardanapalo per indicare il vizioso ‘giovin signore’ del Parini”; il senso in cui lo uso qui è quello dell’espressione “per antonomasia” che indica “per eccellenza, per definizione”. Il periodo del Natale è quello delle “Feste” per eccellenza: quando si augurano “Buone Feste” tutti capiscono che ci si sta riferendo proprio a questa festa (dal latino fĕsta, neutro plurale di fĕstum, di etimologia incerta, 1266) in particolare. A Natale molti decorano l’albero (dal latino ărbore(m), di etimologia incerta, av. 1249) di nuovo “per eccellenza”, ossia l’”abete che a Natale si addobba con luci e ornamenti vari e sotto il quale si mettono i regali: che cosa hai trovato sotto l’albero?” (e nessuno pensa a una quercia o un acero!). Sull’albero montiamo le lucìne, diminutivo di luce (dal latino lūce(m), da una radice *lūc– ‘splendere’, di origine indoeuropea, av. 1250), e di nuovo non c’è bisogno di aggiungere ulteriore specificazione. Ma qui siamo già nell’ambito degli alterati, che in grammatica indicano un “derivato da un nome o aggettivo primitivo per mezzo di un suffisso che ne modifica il significato solo per alcuni aspetti (quantità, qualità, giudizio del parlante; per esempio casetta, da casa, o cagnaccio, da cane)”; quando un alterato assume un significato autonomo (come telefonino rispetto a telefono), abbiamo a che fare con un falso alterato, cioè un derivato vero e proprio. I bambini, in molti casi, scrivono ancora la letterìna (ovviamente a Babbo Natale), “lettera scritta dai bambini con un elenco di richieste di regali accompagnato da buoni propositi”, diminutivo di lèttera (dal latino lĭttera(m) ‘lettera dell’alfabeto’, di etimologia incerta, forse di derivazione greca attraverso l’etrusco, 1219), mentre nell’aria si spande il tintinnio allegro e argenteo dei campanèlli (derivato di campana, av. 1370, dal latino tardo campāna(m), da (vāsa) campāna ‘vasi di bronzo della Campania’, av. 1294); nel resto dell’anno, campanello ci fa pensare a quello della porta e campanella al suono che annuncia la fine delle lezioni a scuola, mentre a Natale il pensiero va immediatamente a Jingle Bells. Arrivando a San Silvestro, invece, si passa agli accrescitivi: si parla di veglióne (1799, in questo caso quello di Capodanno, dato che c’è anche quello di Carnevale), derivato di véglia (da vegliare, av. 1294, a sua volta dal latino vigilāre, da vĭgil ‘vigile, sveglio’, avo. 1250); e per rimanere svegli in attesa dello scoccare della mezzanotte, ecco il cenóne (1865), accrescitivo di céna (dal latino cēna(m), sec. XII), ancora più noto (e abbondante) del cenone di Natale. Per tutta una serie di ragioni (tradizione, usanze, superstizioni, abitudine…) è previsto che il cenone di San Silvestro sia davvero luculliàno “detto di banchetto, piatto ecc. sontuoso, raffinato e abbondante”, a volte fin troppo. Questo bell’aggettivo (in uso in italiano dal 1544) deriva da un nome proprio di persona: quello del “politico e generale romano Lucio Licinio Lucullo (106 ca.-57 a.C.), famoso per la sua ricchezza e per il lusso di cui si circondava”. Infine, ecco che a mezzanotte arriva il momento dell’imprescindibile brindisi, sul cui significato nessuno ha dubbi: “saluto, augurio per onorare o festeggiare qualcuno o qualcosa, pronunciato in un gruppo di persone, specialmente commensali, levando il bicchiere e invitando gli altri a bere insieme, talvolta toccandosi reciprocamente i bicchieri prima di bere”. Ma quanti conoscono l’etimologia di questa strana parola? Deriva dalla locuzione tedesca (ich) bring dir’s ‘te lo porto, offro’, formula di prammatica nel brindare, ed è in uso in italiano dal 1534. In alto i calici, dunque, e salutiamo l’anno nuovo con cin cin (che, incredibile a dirsi, deriva dall’inglese chin-chin, dal cinese ch’ing ch’ing ‘prego, prego’, ed è un’espressione esistente in italiano dal 1930), con l’ancora più tradizionale salute! o qualche variante estera, a seconda di dove vi troviate. Io ve li faccio nelle lingue a me note: kippis! (finnico), egészségetekre! (ungherese), skål! (norvegese), cheers! (inglese), Gesundheit! (tedesco), santé! (francese).
2018
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