Molto spesso, ancora oggi, dopo anni di discussioni, si tende a parlare del «problema dell’online» o della «questione della connessione» come se fossero istanze distaccate dalla nostra vita reale, un mondo completamente distaccato da quello nel quale viviamo fisicamente. Ma questo non corrisponde, propriamente, alla realtà dei fatti. Reale e virtuale non sono separati, ma in continuità. Il che non vuol dire che siano uguali; semplicemente, non sono due compartimenti reciprocamente stagni. La visione dell’online che si può riassumere nelle metafore «spaziali», di ambiente, e di noi utenti come abitanti del cyberspazio (visione tanto cara a un certo tipo di fantascienza dei decenni passati), corrisponde a come vedono la rete e la connessione coloro che, per ragioni anagrafiche, hanno vissuto il momento dell’arrivo del digitale, quando entrare in rete implicava un vero e proprio movimento quasi fisico verso di essa: posizionarsi davanti al pc, accendere il modem, aprire la connessione e, finalmente, navigare. Oggi, per chi ci è «nato dentro», non è più questa la percezione della rete: internet è, per parafrasare una nota pubblicità degli anni Novanta, tutta intorno a noi; un ragazzo non ha una visione della rete come qualcosa in cui entrare, ma semplicemente come una parte della sua vita che non va di certo a sostituire il reale (tranne casi patologici, come quello degli hikikomori, che di fatto vivono dentro ai loro computer), ma che è una sua continuazione, un’estensione. Una parola chiave rilevante, in questo contesto, diventa permeabilità. E ne possiamo elencare, sostanzialmente, tre tipi. Il primo tipo, come accennato, è la permeabilità tra online e offline: i due stati sono in comunicazione, e un’azione compiuta nella vita reale riverbera online esattamente come un’azione compiuta nella vita online ha ripercussioni in quella offline. Quindi è sciocco pensare di compiere un’azione in uno dei due «mondi» tenendolo fuori dall’altro. Per esempio, è superficiale ritenere che basti non pubblicare un testo in rete, ma solo su carta, per evitarne la circolazione in internet: presto o tardi, se l’argomento è interessante o controverso, qualcuno lo «traslerà» in rete (sotto forma di immagine o di trascrizione testuale). Similmente, quella foto o quel pensiero affidati alla rete ne potranno uscire con grande facilità, finendo su un giornale o in un altro contesto «tangibile». Il secondo tipo di permeabilità riguarda i vari ambienti online: è di fatto impossibile pensare di immettere materiale in qualsiasi contesto della rete (per esempio, un gruppo WhatsApp, un sito web o un profilo social magari privato) e pensare che rimanga solamente là dentro. Intanto, perché difficilmente possiamo mettere la mano sul fuoco per tutti i membri del gruppo (fosse anche composto da solamente un’altra persona oltre a sé medesimi), poi, perché riprodurre un testo o un’immagine è davvero facile, se non altro tramite la pratica dello screenshot; infine, come nota il filosofo ed esperto di comunicazione Bruno Mastroianni, perché di fatto non possiamo avere la matematica certezza di dove si trovi il dispositivo a cui stiamo inviando una certa immagine o un testo (perché inviamo sempre un messaggio da un dispositivo a un altro, non da una persona a un’altra). Insomma, se non si vuol far sapere una cosa o far circolare un’informazione in rete (e poi fuori dalla rete), è meglio riferirla di persona o tacere del tutto, facendo proprio il saggio e millenario consiglio inciso nella pietra della catacomba di Commodilla più di mille anni fa: NON DICERE ILLE SECRITA A BBOCE. Il terzo tipo di permeabilità, infine, è trasversale alla divisione tra online e offline e riguarda l’idea di poter dividere, stante l’iperconnessione in cui viviamo, la propria vita pubblica o professionale dalla propria vita privata. I due «territori» della propria esistenza finiscono per avere contorni poco nitidi. Potremmo prendere in prestito il termine che Elena Ferrante usa nella tetralogia dell’Amica Geniale, smarginatura: vita professionale e privata si smarginano, ed è inevitabile che un atto commesso con leggerezza nel privato pubblico del proprio profilo Facebook, Twitter o Instagram finisca per avere ripercussioni nella professione. Pensare di riuscire a tenere separati gli ambiti della propria vita nel mondo di oggi è quasi una missione impossibile, come dimostrano i continui episodi che derivano proprio dall’aver pensato di poter vivere così, con una vita a compartimenti stagni (con una vita professionale magari ineccepibile e un profilo Facebook pieno di insulti e minacce di morte verso i propri «nemici»). In conclusione, dunque, una delle possibili parole chiave per una vita «felice e connessa» è proprio permeabilità: prima ci rendiamo conto del livello di smarginatura a cui sono arrivate le nostre vite iperconnesse, meglio possiamo prepararci a vivere il presente in maniera matura e soddisfacente.

Vivere in un mondo iperconnesso e permeabile / Vera Gheno. - In: TOSCANAOGGI. - STAMPA. - 16:(2019), pp. 7-7.

Vivere in un mondo iperconnesso e permeabile

Vera Gheno
2019

Abstract

Molto spesso, ancora oggi, dopo anni di discussioni, si tende a parlare del «problema dell’online» o della «questione della connessione» come se fossero istanze distaccate dalla nostra vita reale, un mondo completamente distaccato da quello nel quale viviamo fisicamente. Ma questo non corrisponde, propriamente, alla realtà dei fatti. Reale e virtuale non sono separati, ma in continuità. Il che non vuol dire che siano uguali; semplicemente, non sono due compartimenti reciprocamente stagni. La visione dell’online che si può riassumere nelle metafore «spaziali», di ambiente, e di noi utenti come abitanti del cyberspazio (visione tanto cara a un certo tipo di fantascienza dei decenni passati), corrisponde a come vedono la rete e la connessione coloro che, per ragioni anagrafiche, hanno vissuto il momento dell’arrivo del digitale, quando entrare in rete implicava un vero e proprio movimento quasi fisico verso di essa: posizionarsi davanti al pc, accendere il modem, aprire la connessione e, finalmente, navigare. Oggi, per chi ci è «nato dentro», non è più questa la percezione della rete: internet è, per parafrasare una nota pubblicità degli anni Novanta, tutta intorno a noi; un ragazzo non ha una visione della rete come qualcosa in cui entrare, ma semplicemente come una parte della sua vita che non va di certo a sostituire il reale (tranne casi patologici, come quello degli hikikomori, che di fatto vivono dentro ai loro computer), ma che è una sua continuazione, un’estensione. Una parola chiave rilevante, in questo contesto, diventa permeabilità. E ne possiamo elencare, sostanzialmente, tre tipi. Il primo tipo, come accennato, è la permeabilità tra online e offline: i due stati sono in comunicazione, e un’azione compiuta nella vita reale riverbera online esattamente come un’azione compiuta nella vita online ha ripercussioni in quella offline. Quindi è sciocco pensare di compiere un’azione in uno dei due «mondi» tenendolo fuori dall’altro. Per esempio, è superficiale ritenere che basti non pubblicare un testo in rete, ma solo su carta, per evitarne la circolazione in internet: presto o tardi, se l’argomento è interessante o controverso, qualcuno lo «traslerà» in rete (sotto forma di immagine o di trascrizione testuale). Similmente, quella foto o quel pensiero affidati alla rete ne potranno uscire con grande facilità, finendo su un giornale o in un altro contesto «tangibile». Il secondo tipo di permeabilità riguarda i vari ambienti online: è di fatto impossibile pensare di immettere materiale in qualsiasi contesto della rete (per esempio, un gruppo WhatsApp, un sito web o un profilo social magari privato) e pensare che rimanga solamente là dentro. Intanto, perché difficilmente possiamo mettere la mano sul fuoco per tutti i membri del gruppo (fosse anche composto da solamente un’altra persona oltre a sé medesimi), poi, perché riprodurre un testo o un’immagine è davvero facile, se non altro tramite la pratica dello screenshot; infine, come nota il filosofo ed esperto di comunicazione Bruno Mastroianni, perché di fatto non possiamo avere la matematica certezza di dove si trovi il dispositivo a cui stiamo inviando una certa immagine o un testo (perché inviamo sempre un messaggio da un dispositivo a un altro, non da una persona a un’altra). Insomma, se non si vuol far sapere una cosa o far circolare un’informazione in rete (e poi fuori dalla rete), è meglio riferirla di persona o tacere del tutto, facendo proprio il saggio e millenario consiglio inciso nella pietra della catacomba di Commodilla più di mille anni fa: NON DICERE ILLE SECRITA A BBOCE. Il terzo tipo di permeabilità, infine, è trasversale alla divisione tra online e offline e riguarda l’idea di poter dividere, stante l’iperconnessione in cui viviamo, la propria vita pubblica o professionale dalla propria vita privata. I due «territori» della propria esistenza finiscono per avere contorni poco nitidi. Potremmo prendere in prestito il termine che Elena Ferrante usa nella tetralogia dell’Amica Geniale, smarginatura: vita professionale e privata si smarginano, ed è inevitabile che un atto commesso con leggerezza nel privato pubblico del proprio profilo Facebook, Twitter o Instagram finisca per avere ripercussioni nella professione. Pensare di riuscire a tenere separati gli ambiti della propria vita nel mondo di oggi è quasi una missione impossibile, come dimostrano i continui episodi che derivano proprio dall’aver pensato di poter vivere così, con una vita a compartimenti stagni (con una vita professionale magari ineccepibile e un profilo Facebook pieno di insulti e minacce di morte verso i propri «nemici»). In conclusione, dunque, una delle possibili parole chiave per una vita «felice e connessa» è proprio permeabilità: prima ci rendiamo conto del livello di smarginatura a cui sono arrivate le nostre vite iperconnesse, meglio possiamo prepararci a vivere il presente in maniera matura e soddisfacente.
2019
16
7
7
Vera Gheno
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1258802
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