Càpita a tutti coloro che hanno interesse per l’italiano di notare uno strafalcione in un articolo di giornale, un post, una pubblicità. Soprattutto quando il presunto errore è stato commesso in un contesto (o da un personaggio) pubblico, a molti sale la pressione sanguigna, e arriva forte la tentazione di vergare un commento di fuoco contro il dilagare dell'ignoranza: è un atto quasi tribale che viene perpetrato spesso in rete; in sostanza, viene esposta al dileggio pubblico la presunta ignoranza altrui. Mediamente, chi se la prende pubblicamente con un presunto ignorante riceve grandi manifestazioni di incoraggiamento da coloro che lo circondano (e questa, forse, è la parte più tribale dell’atto); talvolta, l’incoraggiamento arriva anche se la correzione, in realtà, è immotivata. E succede più spesso di quanto non si creda, per vari motivi; in primis, perché la norma linguistica cambia nel tempo, e magari quello che abbiamo studiato a scuola non è più valido esattamente in quegli stessi termini; in altri casi perché a scuola abbiamo effettivamente mandato a mente come regola qualcosa che è poco più di un consiglio; in altri casi ancora, semplicemente perché ci ricordiamo male ciò che abbiamo studiato. Per questi motivi, quindi, occorrerebbe conservare una certa elasticità, evitando di andare in giro con il ditino alzato. Allora, d’ora in poi deve forse essere vietato segnalare gli svarioni linguistici? Niente affatto. Ma ho un consiglio per tutti: prima di reagire, conviene aspettare un attimo, fermarsi, fare un respiro profondo e sincerarsi di avere davvero individuato un errore. Ci sono tante fonti affidabili, anche in rete: basta dare una controllata prima di scrivere un commento di fuoco. Chiaramente, è meglio usare una fonte aggiornata: un dizionario di venti o trent’anni fa può dare indicazioni differenti da quelle di uno degli ultimi anni; e la stessa cosa vale anche per le grammatiche. Dove controllare? Ecco una lista di siti web: per accedervi, basta copiare nella barra del browser gli indirizzi forniti, mantenendo le maiuscole e le minuscole. Per molti dubbi (esistenza o meno di una parola, grafia corretta, significati, ecc.) serve un dizionario, come Il Nuovo De Mauro (bit.ly/NDeMauro), Il Sabatini Coletti (bit.ly/SabCol) o il vocabolario di Treccani (bit.ly/3caniVoc). È a pagamento, ma è un ottimo investimento, lo Zingarelli, che viene aggiornato annualmente (bit.ly/ZanDiz). Se il cruccio è grammaticale, esistono validi servizi di consulenza linguistica in rete. Ne segnalo due: quello dell’Accademia della Crusca (bit.ly/ConsCru) e quello di Treccani (bit.ly/3caniDR). In più, è in rete anche il mitologico “Si dice o non si dice?” di Aldo Gabrielli, per una consulenza al volo (dà risposte “secche”, senza spiegazioni): (bit.ly/SiDice). Infine, un vero asso pigliatutto per questioni di grafia e pronuncia, anche di nomi propri (Nòbel o Nobèl? Frìuli o Friùli?) è il DOP, Dizionario di Ortografia e Pronunzia, di Migliorini-Tagliavini-Fiorelli, nato negli anni Cinquanta come strumento per aiutare chi doveva lavorare in radio e televisione: (bit.ly/DOPRAI). Tre esempi di convinzioni linguistiche molto discusse, ma non corrispondenti a realtà? Qualche giorno fa, un titolo del Sole24Ore è stato criticato in malo modo perché c’era scritto “all’Aquila” invece che “a L’Aquila”; l’uso della preposizione articolata per i nomi propri contenenti un articolo è invece incoraggiato da Luca Serianni, uno dei migliori grammatici italiani, e anche dal succitato DOP. In merito alle partite della nazionale di calcio femminile, molti hanno affermazione “non esiste il femminile di arbitro”; bastava andare su un dizionario aggiornato, come lo Zingarelli, per verificare che esiste ed è arbitra (poi la forma può non piacere, e infatti non c’è obbligo di usarla; ma dire che non esiste non corrisponde a realtà). I costrutti contenenti la sequenza se avrei vengono spesso dileggiati come errati, senza se e senza ma: in realtà, esistono casi in cui è corretta, per esempio nelle interrogative indirette, quelle come mi domando se avrei il coraggio di compiere quell’azione. L’importante, insomma, è prendersi la briga di verificare, e non rispondere in base all’impulso o ai meri ricordi scolastici. E una volta verificato che sia davvero stato commesso uno strafalcione, si può prima di tutto segnalare in privato all’autore, ove possibile. Oppure, avendo verificato che nessun altro ha già segnalato lo stesso errore (è snervante leggere paginate di commenti tutti uguali!) si può scrivere un commento senza insulti, dal tono quieto e assertivo, possibilmente fornendo una fonte che certifichi quanto affermato. Non serve schernire, non serve alzare la voce. Le persone attorno, sotto sotto, apprezzeranno la pacatezza (nonché l’informazione fornita). Questa è la sottile linea rossa tra un grammarnazi, un pedissequo applicatore di regolette linguistiche talvolta obsolete, e un grammamante, che desidera promuovere il miglior uso possibile della propria lingua madre.

Linguisti e parlanti: chi deve proteggere l’italiano? / Vera Gheno. - In: TOSCANAOGGI. - STAMPA. - 8:(2019), pp. 11-11.

Linguisti e parlanti: chi deve proteggere l’italiano?

Vera Gheno
2019

Abstract

Càpita a tutti coloro che hanno interesse per l’italiano di notare uno strafalcione in un articolo di giornale, un post, una pubblicità. Soprattutto quando il presunto errore è stato commesso in un contesto (o da un personaggio) pubblico, a molti sale la pressione sanguigna, e arriva forte la tentazione di vergare un commento di fuoco contro il dilagare dell'ignoranza: è un atto quasi tribale che viene perpetrato spesso in rete; in sostanza, viene esposta al dileggio pubblico la presunta ignoranza altrui. Mediamente, chi se la prende pubblicamente con un presunto ignorante riceve grandi manifestazioni di incoraggiamento da coloro che lo circondano (e questa, forse, è la parte più tribale dell’atto); talvolta, l’incoraggiamento arriva anche se la correzione, in realtà, è immotivata. E succede più spesso di quanto non si creda, per vari motivi; in primis, perché la norma linguistica cambia nel tempo, e magari quello che abbiamo studiato a scuola non è più valido esattamente in quegli stessi termini; in altri casi perché a scuola abbiamo effettivamente mandato a mente come regola qualcosa che è poco più di un consiglio; in altri casi ancora, semplicemente perché ci ricordiamo male ciò che abbiamo studiato. Per questi motivi, quindi, occorrerebbe conservare una certa elasticità, evitando di andare in giro con il ditino alzato. Allora, d’ora in poi deve forse essere vietato segnalare gli svarioni linguistici? Niente affatto. Ma ho un consiglio per tutti: prima di reagire, conviene aspettare un attimo, fermarsi, fare un respiro profondo e sincerarsi di avere davvero individuato un errore. Ci sono tante fonti affidabili, anche in rete: basta dare una controllata prima di scrivere un commento di fuoco. Chiaramente, è meglio usare una fonte aggiornata: un dizionario di venti o trent’anni fa può dare indicazioni differenti da quelle di uno degli ultimi anni; e la stessa cosa vale anche per le grammatiche. Dove controllare? Ecco una lista di siti web: per accedervi, basta copiare nella barra del browser gli indirizzi forniti, mantenendo le maiuscole e le minuscole. Per molti dubbi (esistenza o meno di una parola, grafia corretta, significati, ecc.) serve un dizionario, come Il Nuovo De Mauro (bit.ly/NDeMauro), Il Sabatini Coletti (bit.ly/SabCol) o il vocabolario di Treccani (bit.ly/3caniVoc). È a pagamento, ma è un ottimo investimento, lo Zingarelli, che viene aggiornato annualmente (bit.ly/ZanDiz). Se il cruccio è grammaticale, esistono validi servizi di consulenza linguistica in rete. Ne segnalo due: quello dell’Accademia della Crusca (bit.ly/ConsCru) e quello di Treccani (bit.ly/3caniDR). In più, è in rete anche il mitologico “Si dice o non si dice?” di Aldo Gabrielli, per una consulenza al volo (dà risposte “secche”, senza spiegazioni): (bit.ly/SiDice). Infine, un vero asso pigliatutto per questioni di grafia e pronuncia, anche di nomi propri (Nòbel o Nobèl? Frìuli o Friùli?) è il DOP, Dizionario di Ortografia e Pronunzia, di Migliorini-Tagliavini-Fiorelli, nato negli anni Cinquanta come strumento per aiutare chi doveva lavorare in radio e televisione: (bit.ly/DOPRAI). Tre esempi di convinzioni linguistiche molto discusse, ma non corrispondenti a realtà? Qualche giorno fa, un titolo del Sole24Ore è stato criticato in malo modo perché c’era scritto “all’Aquila” invece che “a L’Aquila”; l’uso della preposizione articolata per i nomi propri contenenti un articolo è invece incoraggiato da Luca Serianni, uno dei migliori grammatici italiani, e anche dal succitato DOP. In merito alle partite della nazionale di calcio femminile, molti hanno affermazione “non esiste il femminile di arbitro”; bastava andare su un dizionario aggiornato, come lo Zingarelli, per verificare che esiste ed è arbitra (poi la forma può non piacere, e infatti non c’è obbligo di usarla; ma dire che non esiste non corrisponde a realtà). I costrutti contenenti la sequenza se avrei vengono spesso dileggiati come errati, senza se e senza ma: in realtà, esistono casi in cui è corretta, per esempio nelle interrogative indirette, quelle come mi domando se avrei il coraggio di compiere quell’azione. L’importante, insomma, è prendersi la briga di verificare, e non rispondere in base all’impulso o ai meri ricordi scolastici. E una volta verificato che sia davvero stato commesso uno strafalcione, si può prima di tutto segnalare in privato all’autore, ove possibile. Oppure, avendo verificato che nessun altro ha già segnalato lo stesso errore (è snervante leggere paginate di commenti tutti uguali!) si può scrivere un commento senza insulti, dal tono quieto e assertivo, possibilmente fornendo una fonte che certifichi quanto affermato. Non serve schernire, non serve alzare la voce. Le persone attorno, sotto sotto, apprezzeranno la pacatezza (nonché l’informazione fornita). Questa è la sottile linea rossa tra un grammarnazi, un pedissequo applicatore di regolette linguistiche talvolta obsolete, e un grammamante, che desidera promuovere il miglior uso possibile della propria lingua madre.
2019
8
11
11
Vera Gheno
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