Nel 2018 gli iscritti a Facebook (FB) nel mondo hanno superato i due miliardi e cento milioni. Gli iscritti a Youtube, il secondo social network per popolarità, sono circa un miliardo e mezzo. In Italia, 43 milioni di persone usano Internet regolarmente; 34 milioni frequentano i social network, 30 milioni da dispositivi mobili. Mentre come grado di penetrazione di internet siamo ancora sotto la media europea, l’uso dei social network è andato crescendo soprattutto dal 2008, anno in cui FB viene tradotto in italiano. Proprio FB è uno dei social network più popolari, con quasi 34 milioni di utenti attivi; copre pressoché il 100% di alcune fasce anagrafiche, ma non quelle più giovani, che generalmente preferiscono stare altrove, ad esempio su Youtube e Instagram. Rispetto a gennaio 2017, il numero di iscritti a FB è cresciuto del 10%; il 48% dei profili si dichiara di sesso femminile e il 52% di sesso maschile; su questo dato, chiaramente, non c’è alcuna certezza, dato che si basa su una autocertificazione da parte degli utenti. Appendice virtuale delle persone Inizialmente guardato con curiosità e sospetto, soprattutto per timori legati alla diffusione dei propri dati personali, FB è diventato nel corso degli anni una naturale appendice virtuale delle persone, sempre più complessa e completa. Uno dei suoi punti di forza, infatti, è la costante evoluzione, in particolare tramite l’acquisto di aziende concorrenti per integrarne le tecnologie. Parallelamente alla sua evoluzione, è cambiato anche il modo degli utenti di stare su FB, perfino nello stile comunicativo. Forse, uno dei cambiamenti più evidenti è il passaggio dagli status update, o aggiornamenti di stato, scritti in terza persona, alla scrittura in prima persona. Ciononostante, esistono ancora alcuni “dinosauri” che fanno sopravvivere questa abitudine, che oggi appare peculiare. Ma che cosa fa, oggi, la gente su Facebook? Mentre sugli altri social network ci si metteva e ci si mette in contatto soprattutto in base a interessi comuni (si pensi a un forum di discussione di appassionati di qualsiasi argomento, o agli utenti che si decidono di seguire su Twitter in base a quello che scrivono), su Facebook si tende a riprodurre la struttura a cipolla della propria rete sociale reale: amici, conoscenti, via via a cerchie sempre più larghe. Sarà normale avere, tra i contatti, compagni di scuola o di lavoro, persone che si frequentano per diletto, il proprio partner e così via. Un discorso a parte meritano i familiari: averli tra i contatti su FB è da molti considerata una jattura, dato che di solito sono le persone più a rischio di figuracce. Il caso prototipico, oggigiorno, è dei ragazzi che hanno i genitori quaranta-cinquantenni su FB, magari con tendenze “buongiorniste”, che augurano quotidianamente il buongiorno a tutti, magari con una pletora di k – sentite come bimbominkia dopo i quattordici anni, e recuperate spesso dai “vecchi” – e di punti esclamativi: buongiornissimo!!!! Kaffèèèèèè? (La realtà a proposito di questo genere di condivisioni, tuttavia, è assai più complessa di quanto sembri, e non è dominio esclusivo degli ultratrentacinquenni). C’è chi usa Facebook per fare lifestreaming, ossia raccontare ogni cosa che gli succede, chi per questioni lavorative, chi per condividere contenuti che giudica rilevanti, chi come predella per proclami politici, sociali, religiosi, per fare quindi attivismo, o anzi, clicktivism. Molti invece lo usano più prosaicamente per mantenere i contatti con la propria rete sociale e intessere nuove relazioni umane. Qualcuno si innamora pure, e quando va bene finisce pure per sposarsi. Purtroppo, è anche noto che su FB prosperano le truffe romantiche di ogni genere: un grande classico sono gli ufficiali dell’esercito americano vedovi che chiedono l’amicizia a donne periquarantenni dallo status sentimentale non dichiarato, e viceversa le amorevoli infermiere procaci che si interessano a maschi di età simile. È facile incontrarsi e scontrarsi con chi ha opinioni differenti, ed è comune perfino fare marketing. Si fanno conoscere le proprie idee imprenditoriali, ci si fa pubblicità e si fa anche cultura. Ognuno di noi, su FB, è il centro di una rete di contatti della quale, nel suo piccolo, può essere un vero e proprio influencer. La distanza tra il reale e il virtuale è di fatto saltata, e la maggior parte delle persone vive il rapporto con FB in continuità, tanto che uno dei principi del Manifesto della comunicazione non ostile, nato per favorire una riflessione sul modo con il quale ognuno di noi sta in rete, recita proprio “virtuale è reale”. Molti problemi legati alla comunicazione in rete appaiono legati all’idea che tra questi due mondi ci sia una cesura netta, che, invece, non c’è più. Questioni di lingua (e di vita) Per quanto riguarda la lingua che si incontra su FB, sarebbe un’immane semplificazione pensare che sia una monovarietà: anche all’interno di un singolo canale come questo troveremo tipi di lingua molto diversi. Come si è visto, oggi su FB possiamo incontrare letteralmente tutti, dall’ente che proporrà contenuti massimamente formali a persone che scriveranno testi del tutto destrutturati: ipotesti, come li definisce Elena Pistolesi (2011). Insomma, ci troveremo di fronte al ventaglio completo dei registri esistenti nel “mondo reale”. Le caratteristiche sulle quali amano soffermarsi i mezzi di comunicazione di massa, spesso considerate segni di una degenerazione linguistica, compaiono quasi esclusivamente in contesti del tutto informali. La base del sistema della comunicazione (informale) su FB, similmente ad altri social, ma forse in maniera ancora più evidente (vista l’ampiezza dell’utenza e la sua diversificazione sociale) è l’italiano neostandard o dell’uso medio, sul quale si sedimentano le caratteristiche ormai note da tempo (per approfondimenti, cfr. Gheno 2017). Le tachigrafie o scritture veloci, generalmente distinguibili in acronimi (come YOLO ‘you live only once’ o FYI ‘for your information’), troncamenti (come risp o impo) e contrazioni (quali cmq o nn). Queste caratteristiche, studiate ormai da decenni, sono in regressione nell’uso, fondamentalmente perché non più necessarie per ragioni di spazio o di spese e perché soppiantate dai correttori automatici e dai sistemi di immissione testuale predittiva, che rendono superflui, anzi, antieconomici, gli escamotage di questo tipo. Si ricordi che oggi si accede a FB soprattutto da dispositivi mobili, con tutte le limitazioni fisiche poste dalla tastiera touch della maggior parte dei cellulari. Un codice iconico pressoché parallelo alle parole, quello degli emoji, i cui antenati sono stati le emoticon come :-). Tramite gli emoji si esprimono stati d’animo ed emozioni e, in generale, si esplicita il tono del testo, oppure lo si “anima” tramite l’aggiunta di piccole immagini (non più solo faccine, dunque). È interessante, a tale proposito, l’esperimento di Francesca Chiusaroli di tradurre tutto Pinocchio in emoji (cfr. Chiusaroli 2017). Un sistema interpuntivo rivoluzionato: è abolito quasi completamente il punto e virgola, tranne che per comporre la faccina che fa l’occhiolino, ;-). Il punto viene spesso omesso nei contesti di comunicazione (semi)sincrona come la messaggistica istantanea, ma anche nelle sequenze molto rapide di commenti su FB, dove di fatto basta premere “invio” e spezzettare il messaggio in più istanze per indicare l’interruzione della frase. Questo segno interpuntivo sembra, al contempo, subire una risemantizzazione acquisendo un significato specifico: denota fastidio, rabbia, stizza; viene da molti decodificato, in specifiche situazioni, come segno di particolare assertività. Nella lingua di FB, in generale estremamente polarizzata, diventano molto comuni anche i cumuli di punti interrogativi ed esclamativi e le “raffiche” di puntini in sovrannumero. Dal punto di vista lessicale, ricordiamo la ricorrenza di elementi isolati di vari dialetti (in base alle influenze del momento: Luciana Littizzetto ha portato alla ribalta il balengo, Maccio Capatonda con i suoi corti l’uso transitivo di verbi intransitivi), ma soprattutto del romanesco (ricordiamo solo il popolarissimo daje). Non sono rari nemmeno i gruppi FB di vero e proprio orgoglio locale, nei quali si tenderà a usare il dialetto del luogo. A tal proposito, Andrea Viviani (2012) ha studiato il gruppo Sei de Roma se... (sull’argomento cfr. anche Gheno 2016). I dialettismi convivono con numerose parole inglesi, sotto forma sia di forestierismi integrali (hashtag, selfie, screenshot) sia “ibridati” (taggare, spoilerare). Molte azioni che si compiono sui social sono comunque definite da sostantivi italiani da quando le piattaforme sono state tradotte: oggi si aggiungono persone al proprio profilo più che addarle (da to add) e si seguono invece di followarle; si leggono messaggi sulla bacheca più che post sul wall, si partecipa a una discussione piuttosto che a un thread, si nasconde una conversazione invece di metterla in hide o hidarla, Non mancano, in questo vivace miscuglio lessicale, i neologismi più o meno effimeri: per fare due esempi esterni a FB, l’azione di mettere un like su Instagram, ad esempio, viene chiamata cuorare, dato che consiste nell’apporre un cuore sulla foto che ci piace, quella di aggiungere un sito ai preferiti del proprio browser stellinare (perché i siti preferiti sono contrassegnati da una stellina). Mentre fino a non molto tempo fa appariva preponderante l’uso del tu telematico, oggi appare in recupero il lei; questo sarebbe coerente con il passaggio da una frequentazione della rete elitaria, in cui tutti si sentivano in qualche modo amici, allo sbarco in massa delle persone su FB, che hanno così ricreato il sistema degli allocutivi di cortesia della “vita reale”: non si dà, quindi, del tu automaticamente a uno sconosciuto (cfr. Gheno 2017). Una varietà di lingua dotata di senso Questi sono solo alcuni degli elementi più evidenti del linguaggio di FB, anche se non gli unici. Sono esempi di tendenze in atto da decenni e tuttora produttive, come la predisposizione alle tachigrafie o l’uso di una lingua fortemente polarizzata sulle forme più espressive. Due esempi recenti, che lasceranno perplessi gli adulti, sono shippare e la sua conseguenza, OTP. Che cosa vogliono dire queste due parole? Shippare due persone (spesso due personaggi di un film o di una serie, ma non solo) vuol dire, in sostanza, vederle bene come coppia; quando questa coppia si realizza, diventano un One True Pair(ing) tanto da portare alla fusione dei loro nomi, come, al tempo, Brangelina da Brad Pitt e Angelina Jolie oppure, più recentemente, Ferragnez, dalla felice unione della fashion blogger Chiara Ferragni e del cantante Fedez. Del resto, la maggior parte di queste caratteristiche si discosta poco da quelle riconosciute da decenni come proprie dei linguaggi giovanili e in generale dell’italiano informale: non a caso, del resto, Giuseppe Antonelli (2016) considera l’e-taliano come il primo, vero italiano scritto di massa. Nello specifico FB, all’interno della rete, proprio per la sua grande trasversalità sociale, funge principalmente come cartina di tornasole di tendenze presenti anche nel resto del panorama linguistico italiano. Il giudizio dei linguisti su questa varietà linguistica a livello di innovazione o cambiamento è piuttosto positivo, fino a quando l’uso di certi stilemi comunicativi rimane confinato a contesti in cui questi hanno un senso. La capacità mostrata dall’italiano di adattarsi alle nuove condizioni di comunicazione è considerata, in generale, segno della sua vitalità. Whatever! Altra questione è, invece, quella della sciatteria linguistica o whateverismo, secondo la definizione di Naomi Baron (2002). Particolarmente evidente su FB, viene spesso giustificata appellandosi alla velocità richiesta dal canale di comunicazione, che però, a ben vedere, è un falso mito. In realtà, in linea di massima si tratta di una comunicazione scritta – o più precisamente digitata – asincrona o semisincrona, e come tale nulla impedisce di prendersi un minuto di tempo in più per rileggere quanto si è scritto. Ovviamente, questo funzionerebbe anche come metodo per evitare di pubblicare in rete messaggi o materiali di cui ci si potrebbe pentire in un secondo momento: si pensi solo ai mille casi di hate speech di cui tanto si discute. Atti di identità Dal punto di vista dei singoli utenti, le scelte linguistiche su FB sono un vero e proprio atto di identità. In mancanza di indizi extralinguistici quali mimica facciale, tono della voce, prossemica o gestualità, la quasi totalità della costruzione della online persona dell’utente avviene tramite le parole, tanto che non è difficile tentare una specie di tipizzazione degli utenti di FB analizzando le loro scelte linguistiche preponderanti: gli SVEGLIAAAA!!!1!! possono permetterci di identificare un utente con tendenze complottiste, la frase “i problemi sono ben altri” il benaltrista, il “non ho tempo da perdere, la saluto” il salutista, e così via (in merito, cfr. Gheno 2017 e Arcangeli 2017). Le difficoltà dello stare su Facebook A parte le questioni specificamente di lingua, la comunicazione social, ma specificamente quella su FB, è resa più difficoltosa da vari fattori sociali e umani. Ricordiamone alcuni. Il fenomeno delle echo chamber o delle filter bubble, ossia la tendenza a chiudersi in gruppi dalle idee omogenee, favorita anche dal funzionamento degli algoritmi. Per ricreare in rete un ambiente gradevole, l’algoritmo tenderà a farci vedere prima, e di più, post di persone che “la pensano come noi”. Bruno Mastroianni definisce “effetto triceratopo” il momento in cui la vista di un singolo viene offuscata dall’opinione del gruppo; ricordiamo, del resto, che la tendenza a stare con persone dalle idee simili è connaturata all’essere umano, e spesso basta sapere che gli algoritmi tenderanno a enfatizzare questa tendenza e magari andare, scientemente, a cercare la diversità di opinione. I vari pregiudizi (in inglese bias), tra cui il pregiudizio di conferma, che, tra i molti effetti deleteri, fa sì che molti condividano bufale senza pensarci troppo, quando queste sono funzionali a ciò che si pensa. È stato così per la falsa intervista a Carlo Cracco lanciata dal collettivo satirico Lercio sulla ricetta dell’“agnello in lacrima d’agnello”, che ha fatto infuriare gli animalisti (pur essendo completamente inventata) o per la storia del termine petaloso, che molti pensano, erroneamente, che la Crusca abbia inserito nel suo vocabolario, o, ancora, per Laura Boldrini che, con il placet dell’Accademia della Crusca, avrebbe ottenuto di venire chiamata presidenta. Quest’ultima notizia falsa è particolarmente rilevante perché inventata da alcuni quotidiani e mai smentita, e poi resa immortale dai social network, soprattutto da FB. L’orizzontalità della comunicazione, per cui la maggior parte delle persone tende a non leggere i commenti altrui anche nella stessa conversazione, portando alla reiterazione di commenti già fatti e, di conseguenza, abbastanza inutili. Non a caso, esiste anche un gruppo su FB dedicato a questo fenomeno, Raccolta statistica di commenti ridondanti, che analizza proprio i casi più eclatanti. Ma non occorre nemmeno spingersi tanto lontano dal proprio milieu: a ogni utente sarà capitato di incontrare in una discussione il famigerato tipino social del commentatore compulsivo, che inizia il suo commento con “Non ho letto gli altri commenti ma...” (cfr. Gheno 2017). L’effetto-tinello, ossia la tendenza a esprimersi sui social come se si fosse tra amici, nel salotto di casa propria. Questa distorsione percettiva causa molti problemi nel momento in cui le persone si esprimono davanti a un pubblico potenzialmente enorme con la stessa libertà e noncuranza con cui lo farebbero tra le quattro mura private, in presenza di amici. Non a caso, molti dei cosiddetti hater poi intervistati dichiarano di non essersi resi conto del numero di lettori dei loro messaggi di odio. Neopatentati alla guida di una Ferrari Nel complesso, la situazione degli utenti alle prese con FB potrebbe essere definita come quella di neopatentati alla guida di una Ferrari (Gheno 2017): la maggior parte delle persone non è cattiva, come non lo è internet o, nello specifico, Facebook. Ma la combinazione tra inettitudine e potenza del mezzo provoca, spesso, problemi; secondo alcuni, dovrebbero essere le piattaforme stesse ad attivarsi per risolvere questi problemi, ad esempio la circolazione di fake news. In realtà, anche se è una strada molto lenta, è necessario procedere con una sana e approfondita educazione al digitale, contribuendo, ognuno nel suo piccolo, alla costruzione di una nuova etica della comunicazione.

Le lingue italiane di Facebook, galassia in espansione, speciale Lingua italiana “L’italiano e le reti sociali”, sito web Treccani / Vera Gheno. - ELETTRONICO. - (2018).

Le lingue italiane di Facebook, galassia in espansione, speciale Lingua italiana “L’italiano e le reti sociali”, sito web Treccani

Vera Gheno
2018

Abstract

Nel 2018 gli iscritti a Facebook (FB) nel mondo hanno superato i due miliardi e cento milioni. Gli iscritti a Youtube, il secondo social network per popolarità, sono circa un miliardo e mezzo. In Italia, 43 milioni di persone usano Internet regolarmente; 34 milioni frequentano i social network, 30 milioni da dispositivi mobili. Mentre come grado di penetrazione di internet siamo ancora sotto la media europea, l’uso dei social network è andato crescendo soprattutto dal 2008, anno in cui FB viene tradotto in italiano. Proprio FB è uno dei social network più popolari, con quasi 34 milioni di utenti attivi; copre pressoché il 100% di alcune fasce anagrafiche, ma non quelle più giovani, che generalmente preferiscono stare altrove, ad esempio su Youtube e Instagram. Rispetto a gennaio 2017, il numero di iscritti a FB è cresciuto del 10%; il 48% dei profili si dichiara di sesso femminile e il 52% di sesso maschile; su questo dato, chiaramente, non c’è alcuna certezza, dato che si basa su una autocertificazione da parte degli utenti. Appendice virtuale delle persone Inizialmente guardato con curiosità e sospetto, soprattutto per timori legati alla diffusione dei propri dati personali, FB è diventato nel corso degli anni una naturale appendice virtuale delle persone, sempre più complessa e completa. Uno dei suoi punti di forza, infatti, è la costante evoluzione, in particolare tramite l’acquisto di aziende concorrenti per integrarne le tecnologie. Parallelamente alla sua evoluzione, è cambiato anche il modo degli utenti di stare su FB, perfino nello stile comunicativo. Forse, uno dei cambiamenti più evidenti è il passaggio dagli status update, o aggiornamenti di stato, scritti in terza persona, alla scrittura in prima persona. Ciononostante, esistono ancora alcuni “dinosauri” che fanno sopravvivere questa abitudine, che oggi appare peculiare. Ma che cosa fa, oggi, la gente su Facebook? Mentre sugli altri social network ci si metteva e ci si mette in contatto soprattutto in base a interessi comuni (si pensi a un forum di discussione di appassionati di qualsiasi argomento, o agli utenti che si decidono di seguire su Twitter in base a quello che scrivono), su Facebook si tende a riprodurre la struttura a cipolla della propria rete sociale reale: amici, conoscenti, via via a cerchie sempre più larghe. Sarà normale avere, tra i contatti, compagni di scuola o di lavoro, persone che si frequentano per diletto, il proprio partner e così via. Un discorso a parte meritano i familiari: averli tra i contatti su FB è da molti considerata una jattura, dato che di solito sono le persone più a rischio di figuracce. Il caso prototipico, oggigiorno, è dei ragazzi che hanno i genitori quaranta-cinquantenni su FB, magari con tendenze “buongiorniste”, che augurano quotidianamente il buongiorno a tutti, magari con una pletora di k – sentite come bimbominkia dopo i quattordici anni, e recuperate spesso dai “vecchi” – e di punti esclamativi: buongiornissimo!!!! Kaffèèèèèè? (La realtà a proposito di questo genere di condivisioni, tuttavia, è assai più complessa di quanto sembri, e non è dominio esclusivo degli ultratrentacinquenni). C’è chi usa Facebook per fare lifestreaming, ossia raccontare ogni cosa che gli succede, chi per questioni lavorative, chi per condividere contenuti che giudica rilevanti, chi come predella per proclami politici, sociali, religiosi, per fare quindi attivismo, o anzi, clicktivism. Molti invece lo usano più prosaicamente per mantenere i contatti con la propria rete sociale e intessere nuove relazioni umane. Qualcuno si innamora pure, e quando va bene finisce pure per sposarsi. Purtroppo, è anche noto che su FB prosperano le truffe romantiche di ogni genere: un grande classico sono gli ufficiali dell’esercito americano vedovi che chiedono l’amicizia a donne periquarantenni dallo status sentimentale non dichiarato, e viceversa le amorevoli infermiere procaci che si interessano a maschi di età simile. È facile incontrarsi e scontrarsi con chi ha opinioni differenti, ed è comune perfino fare marketing. Si fanno conoscere le proprie idee imprenditoriali, ci si fa pubblicità e si fa anche cultura. Ognuno di noi, su FB, è il centro di una rete di contatti della quale, nel suo piccolo, può essere un vero e proprio influencer. La distanza tra il reale e il virtuale è di fatto saltata, e la maggior parte delle persone vive il rapporto con FB in continuità, tanto che uno dei principi del Manifesto della comunicazione non ostile, nato per favorire una riflessione sul modo con il quale ognuno di noi sta in rete, recita proprio “virtuale è reale”. Molti problemi legati alla comunicazione in rete appaiono legati all’idea che tra questi due mondi ci sia una cesura netta, che, invece, non c’è più. Questioni di lingua (e di vita) Per quanto riguarda la lingua che si incontra su FB, sarebbe un’immane semplificazione pensare che sia una monovarietà: anche all’interno di un singolo canale come questo troveremo tipi di lingua molto diversi. Come si è visto, oggi su FB possiamo incontrare letteralmente tutti, dall’ente che proporrà contenuti massimamente formali a persone che scriveranno testi del tutto destrutturati: ipotesti, come li definisce Elena Pistolesi (2011). Insomma, ci troveremo di fronte al ventaglio completo dei registri esistenti nel “mondo reale”. Le caratteristiche sulle quali amano soffermarsi i mezzi di comunicazione di massa, spesso considerate segni di una degenerazione linguistica, compaiono quasi esclusivamente in contesti del tutto informali. La base del sistema della comunicazione (informale) su FB, similmente ad altri social, ma forse in maniera ancora più evidente (vista l’ampiezza dell’utenza e la sua diversificazione sociale) è l’italiano neostandard o dell’uso medio, sul quale si sedimentano le caratteristiche ormai note da tempo (per approfondimenti, cfr. Gheno 2017). Le tachigrafie o scritture veloci, generalmente distinguibili in acronimi (come YOLO ‘you live only once’ o FYI ‘for your information’), troncamenti (come risp o impo) e contrazioni (quali cmq o nn). Queste caratteristiche, studiate ormai da decenni, sono in regressione nell’uso, fondamentalmente perché non più necessarie per ragioni di spazio o di spese e perché soppiantate dai correttori automatici e dai sistemi di immissione testuale predittiva, che rendono superflui, anzi, antieconomici, gli escamotage di questo tipo. Si ricordi che oggi si accede a FB soprattutto da dispositivi mobili, con tutte le limitazioni fisiche poste dalla tastiera touch della maggior parte dei cellulari. Un codice iconico pressoché parallelo alle parole, quello degli emoji, i cui antenati sono stati le emoticon come :-). Tramite gli emoji si esprimono stati d’animo ed emozioni e, in generale, si esplicita il tono del testo, oppure lo si “anima” tramite l’aggiunta di piccole immagini (non più solo faccine, dunque). È interessante, a tale proposito, l’esperimento di Francesca Chiusaroli di tradurre tutto Pinocchio in emoji (cfr. Chiusaroli 2017). Un sistema interpuntivo rivoluzionato: è abolito quasi completamente il punto e virgola, tranne che per comporre la faccina che fa l’occhiolino, ;-). Il punto viene spesso omesso nei contesti di comunicazione (semi)sincrona come la messaggistica istantanea, ma anche nelle sequenze molto rapide di commenti su FB, dove di fatto basta premere “invio” e spezzettare il messaggio in più istanze per indicare l’interruzione della frase. Questo segno interpuntivo sembra, al contempo, subire una risemantizzazione acquisendo un significato specifico: denota fastidio, rabbia, stizza; viene da molti decodificato, in specifiche situazioni, come segno di particolare assertività. Nella lingua di FB, in generale estremamente polarizzata, diventano molto comuni anche i cumuli di punti interrogativi ed esclamativi e le “raffiche” di puntini in sovrannumero. Dal punto di vista lessicale, ricordiamo la ricorrenza di elementi isolati di vari dialetti (in base alle influenze del momento: Luciana Littizzetto ha portato alla ribalta il balengo, Maccio Capatonda con i suoi corti l’uso transitivo di verbi intransitivi), ma soprattutto del romanesco (ricordiamo solo il popolarissimo daje). Non sono rari nemmeno i gruppi FB di vero e proprio orgoglio locale, nei quali si tenderà a usare il dialetto del luogo. A tal proposito, Andrea Viviani (2012) ha studiato il gruppo Sei de Roma se... (sull’argomento cfr. anche Gheno 2016). I dialettismi convivono con numerose parole inglesi, sotto forma sia di forestierismi integrali (hashtag, selfie, screenshot) sia “ibridati” (taggare, spoilerare). Molte azioni che si compiono sui social sono comunque definite da sostantivi italiani da quando le piattaforme sono state tradotte: oggi si aggiungono persone al proprio profilo più che addarle (da to add) e si seguono invece di followarle; si leggono messaggi sulla bacheca più che post sul wall, si partecipa a una discussione piuttosto che a un thread, si nasconde una conversazione invece di metterla in hide o hidarla, Non mancano, in questo vivace miscuglio lessicale, i neologismi più o meno effimeri: per fare due esempi esterni a FB, l’azione di mettere un like su Instagram, ad esempio, viene chiamata cuorare, dato che consiste nell’apporre un cuore sulla foto che ci piace, quella di aggiungere un sito ai preferiti del proprio browser stellinare (perché i siti preferiti sono contrassegnati da una stellina). Mentre fino a non molto tempo fa appariva preponderante l’uso del tu telematico, oggi appare in recupero il lei; questo sarebbe coerente con il passaggio da una frequentazione della rete elitaria, in cui tutti si sentivano in qualche modo amici, allo sbarco in massa delle persone su FB, che hanno così ricreato il sistema degli allocutivi di cortesia della “vita reale”: non si dà, quindi, del tu automaticamente a uno sconosciuto (cfr. Gheno 2017). Una varietà di lingua dotata di senso Questi sono solo alcuni degli elementi più evidenti del linguaggio di FB, anche se non gli unici. Sono esempi di tendenze in atto da decenni e tuttora produttive, come la predisposizione alle tachigrafie o l’uso di una lingua fortemente polarizzata sulle forme più espressive. Due esempi recenti, che lasceranno perplessi gli adulti, sono shippare e la sua conseguenza, OTP. Che cosa vogliono dire queste due parole? Shippare due persone (spesso due personaggi di un film o di una serie, ma non solo) vuol dire, in sostanza, vederle bene come coppia; quando questa coppia si realizza, diventano un One True Pair(ing) tanto da portare alla fusione dei loro nomi, come, al tempo, Brangelina da Brad Pitt e Angelina Jolie oppure, più recentemente, Ferragnez, dalla felice unione della fashion blogger Chiara Ferragni e del cantante Fedez. Del resto, la maggior parte di queste caratteristiche si discosta poco da quelle riconosciute da decenni come proprie dei linguaggi giovanili e in generale dell’italiano informale: non a caso, del resto, Giuseppe Antonelli (2016) considera l’e-taliano come il primo, vero italiano scritto di massa. Nello specifico FB, all’interno della rete, proprio per la sua grande trasversalità sociale, funge principalmente come cartina di tornasole di tendenze presenti anche nel resto del panorama linguistico italiano. Il giudizio dei linguisti su questa varietà linguistica a livello di innovazione o cambiamento è piuttosto positivo, fino a quando l’uso di certi stilemi comunicativi rimane confinato a contesti in cui questi hanno un senso. La capacità mostrata dall’italiano di adattarsi alle nuove condizioni di comunicazione è considerata, in generale, segno della sua vitalità. Whatever! Altra questione è, invece, quella della sciatteria linguistica o whateverismo, secondo la definizione di Naomi Baron (2002). Particolarmente evidente su FB, viene spesso giustificata appellandosi alla velocità richiesta dal canale di comunicazione, che però, a ben vedere, è un falso mito. In realtà, in linea di massima si tratta di una comunicazione scritta – o più precisamente digitata – asincrona o semisincrona, e come tale nulla impedisce di prendersi un minuto di tempo in più per rileggere quanto si è scritto. Ovviamente, questo funzionerebbe anche come metodo per evitare di pubblicare in rete messaggi o materiali di cui ci si potrebbe pentire in un secondo momento: si pensi solo ai mille casi di hate speech di cui tanto si discute. Atti di identità Dal punto di vista dei singoli utenti, le scelte linguistiche su FB sono un vero e proprio atto di identità. In mancanza di indizi extralinguistici quali mimica facciale, tono della voce, prossemica o gestualità, la quasi totalità della costruzione della online persona dell’utente avviene tramite le parole, tanto che non è difficile tentare una specie di tipizzazione degli utenti di FB analizzando le loro scelte linguistiche preponderanti: gli SVEGLIAAAA!!!1!! possono permetterci di identificare un utente con tendenze complottiste, la frase “i problemi sono ben altri” il benaltrista, il “non ho tempo da perdere, la saluto” il salutista, e così via (in merito, cfr. Gheno 2017 e Arcangeli 2017). Le difficoltà dello stare su Facebook A parte le questioni specificamente di lingua, la comunicazione social, ma specificamente quella su FB, è resa più difficoltosa da vari fattori sociali e umani. Ricordiamone alcuni. Il fenomeno delle echo chamber o delle filter bubble, ossia la tendenza a chiudersi in gruppi dalle idee omogenee, favorita anche dal funzionamento degli algoritmi. Per ricreare in rete un ambiente gradevole, l’algoritmo tenderà a farci vedere prima, e di più, post di persone che “la pensano come noi”. Bruno Mastroianni definisce “effetto triceratopo” il momento in cui la vista di un singolo viene offuscata dall’opinione del gruppo; ricordiamo, del resto, che la tendenza a stare con persone dalle idee simili è connaturata all’essere umano, e spesso basta sapere che gli algoritmi tenderanno a enfatizzare questa tendenza e magari andare, scientemente, a cercare la diversità di opinione. I vari pregiudizi (in inglese bias), tra cui il pregiudizio di conferma, che, tra i molti effetti deleteri, fa sì che molti condividano bufale senza pensarci troppo, quando queste sono funzionali a ciò che si pensa. È stato così per la falsa intervista a Carlo Cracco lanciata dal collettivo satirico Lercio sulla ricetta dell’“agnello in lacrima d’agnello”, che ha fatto infuriare gli animalisti (pur essendo completamente inventata) o per la storia del termine petaloso, che molti pensano, erroneamente, che la Crusca abbia inserito nel suo vocabolario, o, ancora, per Laura Boldrini che, con il placet dell’Accademia della Crusca, avrebbe ottenuto di venire chiamata presidenta. Quest’ultima notizia falsa è particolarmente rilevante perché inventata da alcuni quotidiani e mai smentita, e poi resa immortale dai social network, soprattutto da FB. L’orizzontalità della comunicazione, per cui la maggior parte delle persone tende a non leggere i commenti altrui anche nella stessa conversazione, portando alla reiterazione di commenti già fatti e, di conseguenza, abbastanza inutili. Non a caso, esiste anche un gruppo su FB dedicato a questo fenomeno, Raccolta statistica di commenti ridondanti, che analizza proprio i casi più eclatanti. Ma non occorre nemmeno spingersi tanto lontano dal proprio milieu: a ogni utente sarà capitato di incontrare in una discussione il famigerato tipino social del commentatore compulsivo, che inizia il suo commento con “Non ho letto gli altri commenti ma...” (cfr. Gheno 2017). L’effetto-tinello, ossia la tendenza a esprimersi sui social come se si fosse tra amici, nel salotto di casa propria. Questa distorsione percettiva causa molti problemi nel momento in cui le persone si esprimono davanti a un pubblico potenzialmente enorme con la stessa libertà e noncuranza con cui lo farebbero tra le quattro mura private, in presenza di amici. Non a caso, molti dei cosiddetti hater poi intervistati dichiarano di non essersi resi conto del numero di lettori dei loro messaggi di odio. Neopatentati alla guida di una Ferrari Nel complesso, la situazione degli utenti alle prese con FB potrebbe essere definita come quella di neopatentati alla guida di una Ferrari (Gheno 2017): la maggior parte delle persone non è cattiva, come non lo è internet o, nello specifico, Facebook. Ma la combinazione tra inettitudine e potenza del mezzo provoca, spesso, problemi; secondo alcuni, dovrebbero essere le piattaforme stesse ad attivarsi per risolvere questi problemi, ad esempio la circolazione di fake news. In realtà, anche se è una strada molto lenta, è necessario procedere con una sana e approfondita educazione al digitale, contribuendo, ognuno nel suo piccolo, alla costruzione di una nuova etica della comunicazione.
2018
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