Con la sentenza in epigrafe, la Suprema Corte ha stabilito che l’uso plurimo e protratto di un medesimo marchio patronimico da parte di più entità imprenditoriali, che operano nello stesso settore commerciale, genera confusione fra i consumatori e comporta l’effetto della mancanza della capacità distintiva di un marchio (patronimico). La norma rubricata “capacità distintiva” (ossia l’art. 13 c.p.i.) non prevede un’elencazione tassonomica di tutte le fattispecie di marchio prive di capacità distintiva ma si limita ad indicare in via generica (e non specifica) solo alcuni tipi di marchio certamente privi di tale requisito. Oltre alle fattispecie ivi indicate, si ritiene che un marchio sia privo della capacità distintiva quando genera nel consumatore medio un rischio di confusione e/o rischio di associazione. Il “rischio di confusione”, determinato dalla identità o dalla somi- glianza dei segni utilizzati per contrassegnare prodotti identici o affini, si concretizza quando un consumatore, dotato di media avvedutezza, col- lega ad un marchio originale un segno simile/identico/imitante, senza distinguere che i beni o servizi provengano da due (o più) realtà impren- ditoriali diverse. Il “rischio di associazione”, invece, si concretizza, quando, pur senza incorrere in confusione, un consumatore associa mentalmente il marchio originale ad un segno simile/identico/imitante appartenente ad un’altra impresa, si crea cioè, un’associazione fra i due segni, tale da poter indurre in errore il pubblico circa la sussistenza di un particolare legame com- merciale o di gruppo ovvero una vera e propria associazione tra l’impresa terza ed il titolare del marchio imitato. Per far luce sulle motivazioni espresse dalla Suprema Corte e sul principio di diritto enunciato, sembra opportuno ripercorrere le teorie della dottrina sulla funzione del marchio e i precedenti orientamenti giurisprudenziali sul tema della capacità distintiva del marchio.

Prospettive epistemiche ed opzioni ermeneutiche applicate alla capacità distintiva del marchio patronimico / Dario Mastrelia. - In: RIVISTA DI DIRITTO INDUSTRIALE. - ISSN 0035-614X. - STAMPA. - 6/2016:(2016), pp. 482-493.

Prospettive epistemiche ed opzioni ermeneutiche applicate alla capacità distintiva del marchio patronimico

Dario Mastrelia
2016

Abstract

Con la sentenza in epigrafe, la Suprema Corte ha stabilito che l’uso plurimo e protratto di un medesimo marchio patronimico da parte di più entità imprenditoriali, che operano nello stesso settore commerciale, genera confusione fra i consumatori e comporta l’effetto della mancanza della capacità distintiva di un marchio (patronimico). La norma rubricata “capacità distintiva” (ossia l’art. 13 c.p.i.) non prevede un’elencazione tassonomica di tutte le fattispecie di marchio prive di capacità distintiva ma si limita ad indicare in via generica (e non specifica) solo alcuni tipi di marchio certamente privi di tale requisito. Oltre alle fattispecie ivi indicate, si ritiene che un marchio sia privo della capacità distintiva quando genera nel consumatore medio un rischio di confusione e/o rischio di associazione. Il “rischio di confusione”, determinato dalla identità o dalla somi- glianza dei segni utilizzati per contrassegnare prodotti identici o affini, si concretizza quando un consumatore, dotato di media avvedutezza, col- lega ad un marchio originale un segno simile/identico/imitante, senza distinguere che i beni o servizi provengano da due (o più) realtà impren- ditoriali diverse. Il “rischio di associazione”, invece, si concretizza, quando, pur senza incorrere in confusione, un consumatore associa mentalmente il marchio originale ad un segno simile/identico/imitante appartenente ad un’altra impresa, si crea cioè, un’associazione fra i due segni, tale da poter indurre in errore il pubblico circa la sussistenza di un particolare legame com- merciale o di gruppo ovvero una vera e propria associazione tra l’impresa terza ed il titolare del marchio imitato. Per far luce sulle motivazioni espresse dalla Suprema Corte e sul principio di diritto enunciato, sembra opportuno ripercorrere le teorie della dottrina sulla funzione del marchio e i precedenti orientamenti giurisprudenziali sul tema della capacità distintiva del marchio.
2016
Dario Mastrelia
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