Attualmente la crescente e aggressiva affermazione dei sistemi di informazioni digitale sta sottraendo sempre più spazio ai vecchi metodi di trasmissione a mezzo della carta stampata, per quanto questa possegga ancora alcune nicchie di utilizzo. Quotidiani, riviste, giornali sono strumenti di comunicazione, ma loro stessi necessitano di far conoscere e diffondere innanzitutto la loro presenza e di seguito i messaggi e le notizie da essi diffusi. Nell’Ottocento le riviste e i quotidiani, sia di tiratura locale che nazionale, erano l’unico strumento di informazione di massa, da qui la necessità di promuoverne la conoscenza e la diffusione sul territorio. Già dai primi decenni del secolo scorso, per pubblicizzare la carta stampata, in Italia così come in Europa, vengono chiamati i più importanti grafici pubblicitari dell’epoca, molti dei quali avevano già maturato esperienza e successo nella realizzazione di poster per spettacoli e réclame commerciali. Per pubblicizzare una rivista o un giornale, i manifesti realizzati devono veicolare alcuni concetti basilari: in primis l’appartenenza ad una nazione, ad un territorio, ad una ideologia. Altro fattore importante è rappresentare l’immediatezza di come avviene la comunicazione della notizia, il possibile bacino di utenza, le finalità sociali o politiche della testata, la dirigenza e i giornalisti che vi scrivono e, in ultimo, ma non di poco conto, il prezzo di vendita. Per realizzare i manifesti pubblicitari per i quotidiani italiani vengono chiamati i maggiori cartellonisti dell’epoca, quali, ad esempio, Adolf Hohenstein, Giovanni Maria Mataloni, Leopoldo Metlicovitz, Marcello Dudovich, Galileo Chini, Leonetto Cappiello, Franz Laskoff, Giovanni Beltrami, Sepo, Federico Seneca, Plinio Codognato, Achille Mauzan, pittori del calibro di Mario Sironi o artisti francesi quali Cassandre e Savignac.

Mutazioni del messaggio. Trasformazione dei manifesti pubblicitari di quotidiani nella prima metà del XX secolo / Scalzo M.. - In: AND. - ISSN 1723-9990. - STAMPA. - 45:(2024), pp. 118-127.

Mutazioni del messaggio. Trasformazione dei manifesti pubblicitari di quotidiani nella prima metà del XX secolo

Scalzo M.
2024

Abstract

Attualmente la crescente e aggressiva affermazione dei sistemi di informazioni digitale sta sottraendo sempre più spazio ai vecchi metodi di trasmissione a mezzo della carta stampata, per quanto questa possegga ancora alcune nicchie di utilizzo. Quotidiani, riviste, giornali sono strumenti di comunicazione, ma loro stessi necessitano di far conoscere e diffondere innanzitutto la loro presenza e di seguito i messaggi e le notizie da essi diffusi. Nell’Ottocento le riviste e i quotidiani, sia di tiratura locale che nazionale, erano l’unico strumento di informazione di massa, da qui la necessità di promuoverne la conoscenza e la diffusione sul territorio. Già dai primi decenni del secolo scorso, per pubblicizzare la carta stampata, in Italia così come in Europa, vengono chiamati i più importanti grafici pubblicitari dell’epoca, molti dei quali avevano già maturato esperienza e successo nella realizzazione di poster per spettacoli e réclame commerciali. Per pubblicizzare una rivista o un giornale, i manifesti realizzati devono veicolare alcuni concetti basilari: in primis l’appartenenza ad una nazione, ad un territorio, ad una ideologia. Altro fattore importante è rappresentare l’immediatezza di come avviene la comunicazione della notizia, il possibile bacino di utenza, le finalità sociali o politiche della testata, la dirigenza e i giornalisti che vi scrivono e, in ultimo, ma non di poco conto, il prezzo di vendita. Per realizzare i manifesti pubblicitari per i quotidiani italiani vengono chiamati i maggiori cartellonisti dell’epoca, quali, ad esempio, Adolf Hohenstein, Giovanni Maria Mataloni, Leopoldo Metlicovitz, Marcello Dudovich, Galileo Chini, Leonetto Cappiello, Franz Laskoff, Giovanni Beltrami, Sepo, Federico Seneca, Plinio Codognato, Achille Mauzan, pittori del calibro di Mario Sironi o artisti francesi quali Cassandre e Savignac.
2024
AND
45
118
127
Scalzo M.
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