Il presente contributo esplora il rapporto tra il gioco d’azzardo e il mondo ecclesiastico e religioso, con una focalizzazione sulle normative di alcuni ordini monastici benedettini medievali. In età tardoantica, il divieto per chierici e monaci di partecipare a giochi aleatori si legò alla loro associazione alle pratiche ordaliche. Dall’età carolingia, si sottolineò la necessità di separare il clero dal mondo laico, mentre nel basso medioevo sia la legislazione secolare che quella ecclesiastica avrebbero disciplinato le pratiche considerate inadeguate per il clero, condannando severamente i religiosi coinvolti nel gioco d’azzardo. Le disposizioni canoniche, tuttavia, non coprivano tutte le esigenze della vita contemplativa, necessitando di integrazioni specifiche da parte delle normative delle singole obbedienze, soprattutto a partire dal secolo XIII-XIV. L’analisi si concentra su tre ordini monastici benedettini riformati di area italica: Camaldolesi, Vallombrosani e Olivetani, le cui costituzioni avrebbero sanzionato unanimemente il gioco d’azzardo in tutte le sue forme, inclusi dadi e scacchi, in virtù del loro legame col maneggio del denaro e la detenzione di proprietà privata. D’altro canto, le disposizioni normative avrebbero collegato il concetto di ludus (gioco) alla moderazione e all’equilibrio, ideali aristotelici recuperati nel basso medioevo attraverso la dottrina tomistica (eutrapelìa). Sin dal secolo VIII la sfera ludica assunse, nel contesto monastico, anche un ruolo educativo e rituale, trasfigurandosi da gioco di fortuna a gioco d’ingegno e conoscenza (ioca monachorum), legittimato in quanto mezzo per il conseguimento delle virtù.
Il dado e il dogma. Le normative sul gioco d'azzardo nella legislazione degli ordini monastici benedettini di Camaldoli, Vallombrosa e Monte Oliveto (XIII-XVI secolo) / Francesco Borghero. - In: LUDICA. - ISSN 1126-0890. - STAMPA. - 30:(2024), pp. 75-92.
Il dado e il dogma. Le normative sul gioco d'azzardo nella legislazione degli ordini monastici benedettini di Camaldoli, Vallombrosa e Monte Oliveto (XIII-XVI secolo)
Francesco Borghero
2024
Abstract
Il presente contributo esplora il rapporto tra il gioco d’azzardo e il mondo ecclesiastico e religioso, con una focalizzazione sulle normative di alcuni ordini monastici benedettini medievali. In età tardoantica, il divieto per chierici e monaci di partecipare a giochi aleatori si legò alla loro associazione alle pratiche ordaliche. Dall’età carolingia, si sottolineò la necessità di separare il clero dal mondo laico, mentre nel basso medioevo sia la legislazione secolare che quella ecclesiastica avrebbero disciplinato le pratiche considerate inadeguate per il clero, condannando severamente i religiosi coinvolti nel gioco d’azzardo. Le disposizioni canoniche, tuttavia, non coprivano tutte le esigenze della vita contemplativa, necessitando di integrazioni specifiche da parte delle normative delle singole obbedienze, soprattutto a partire dal secolo XIII-XIV. L’analisi si concentra su tre ordini monastici benedettini riformati di area italica: Camaldolesi, Vallombrosani e Olivetani, le cui costituzioni avrebbero sanzionato unanimemente il gioco d’azzardo in tutte le sue forme, inclusi dadi e scacchi, in virtù del loro legame col maneggio del denaro e la detenzione di proprietà privata. D’altro canto, le disposizioni normative avrebbero collegato il concetto di ludus (gioco) alla moderazione e all’equilibrio, ideali aristotelici recuperati nel basso medioevo attraverso la dottrina tomistica (eutrapelìa). Sin dal secolo VIII la sfera ludica assunse, nel contesto monastico, anche un ruolo educativo e rituale, trasfigurandosi da gioco di fortuna a gioco d’ingegno e conoscenza (ioca monachorum), legittimato in quanto mezzo per il conseguimento delle virtù.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.