Il paper si interroga su quali nuovi legami di cura possono tessersi tra territorio e vulnerabilità psichiatrica. Esso propone una ricognizione su come in Italia si sia sviluppato il legame tra territorio e follia attraverso la lettura dei dispositivi spaziali – architettonici e urbani – che, a partire dalla nascita della disciplina psichiatrica a metà dell’Ottocento, sono stati nel tempo utilizzati per ‘gestire’ il disagio mentale. In tale prospettiva vengono presentati alcuni degli esiti di una ricerca-azione svolta dall’autrice (Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze), per conto del Comune di Volterra. La ricerca, finalizzata all’attivazione di un processo di rigenerazione territoriale in affiancamento al processo di candidatura della città a capitale italiana della cultura 2022, si è inevitabilmente confrontata col tema della relazione tra follia e territorio. La città di Volterra ha infatti accolto uno dei più grandi ospedali psichiatrici novecenteschi d’Italia ed è attualmente sede dell'unica Residenza per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza presente in Toscana. Essa ha inoltre individuato la cura della diversità e della 'devianza' quale pilastro identitario su cui appoggiare il suddetto processo di candidatura. Le riflessioni qui proposte entrano in dialogo con la disciplina urbanistica, chiamandola a confrontarsi con il concetto di ‘città che cura’, inteso quale progetto di salute mentale e di coesione sociale basato sulla partecipazione attiva della comunità locale e sull’attivazione dal basso delle risorse territoriali.
Ripensare il territorio della follia. Volterra: la città e la cura / Maddalena Rossi. - ELETTRONICO. - (2024), pp. 77-83. (Intervento presentato al convegno XXV Conferenza Nazionale SIU Transizioni, giustizia spaziale e progetto di territorio).
Ripensare il territorio della follia. Volterra: la città e la cura.
Maddalena Rossi
2024
Abstract
Il paper si interroga su quali nuovi legami di cura possono tessersi tra territorio e vulnerabilità psichiatrica. Esso propone una ricognizione su come in Italia si sia sviluppato il legame tra territorio e follia attraverso la lettura dei dispositivi spaziali – architettonici e urbani – che, a partire dalla nascita della disciplina psichiatrica a metà dell’Ottocento, sono stati nel tempo utilizzati per ‘gestire’ il disagio mentale. In tale prospettiva vengono presentati alcuni degli esiti di una ricerca-azione svolta dall’autrice (Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze), per conto del Comune di Volterra. La ricerca, finalizzata all’attivazione di un processo di rigenerazione territoriale in affiancamento al processo di candidatura della città a capitale italiana della cultura 2022, si è inevitabilmente confrontata col tema della relazione tra follia e territorio. La città di Volterra ha infatti accolto uno dei più grandi ospedali psichiatrici novecenteschi d’Italia ed è attualmente sede dell'unica Residenza per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza presente in Toscana. Essa ha inoltre individuato la cura della diversità e della 'devianza' quale pilastro identitario su cui appoggiare il suddetto processo di candidatura. Le riflessioni qui proposte entrano in dialogo con la disciplina urbanistica, chiamandola a confrontarsi con il concetto di ‘città che cura’, inteso quale progetto di salute mentale e di coesione sociale basato sulla partecipazione attiva della comunità locale e sull’attivazione dal basso delle risorse territoriali.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.