Saper distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato è una delle colonne portanti della capacità di intendere e di volere. Questo modello è stato messo in discussione nel sistema statunitense dalla sentenza della Corte Suprema James K. Kahler v. Kansas del 23 marzo 2020. La Corte Suprema ha sancito che nel sistema giuridico statunitense non c’è un principio di rango costituzionale che imponga una formulazione “minima” di insanity defense tale da includere la facoltà di discernimento morale. Lo stato del Kansas ha infatti adottato nel 1996 il c.d. mens rea approach, abbandonando formulazioni dell’insanity defense ben più diffuse (ad es. il M’Naghten test). Secondo tale costrutto, la presenza di una malattia mentale può assumere rilevanza solo ove escluda la sussistenza dell’elemento soggettivo, nella formulazione prevista dalla singola fattispecie di volta in volta applicabile. In quest’ottica, lo scritto si propone di analizzare le valutazioni sviluppate in tale sentenza e fornire alcuni spunti di riflessione sui punti di incontro, e non, della disciplina del folle reo in Italia e negli Stati Uniti. Si dialogherà, in un’ottica comparata, con due “titani” della scienza penalistica: l’istituto dell’insanity defense negli Stati Uniti e quello dell’(in)imputabilità in Italia. Per condurre questa indagine sarà necessario innanzitutto inquadrare, a livello dogmatico, l’istituto dell’insanity defense nel panorama statunitense, nonché dar conto del significato mutevole del termine mens rea. Sulla base di tali rilievi verranno poi sviluppate alcune osservazioni critiche in merito all’interpretazione ristretta del concetto di “colpevolezza” sviluppatosi negli Stati Uniti ed espresso nella sentenza analizzata.
Mad or bad? Una riflessione comparata su imputabilità ed insanity defense a partire dalla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti Kahler v. Kansas / Alice Giannini. - In: RIVISTA ITALIANA DI MEDICINA LEGALE E DEL DIRITTO IN CAMPO SANITARIO. - ISSN 2499-2860. - STAMPA. - 1-2:(2024), pp. 53-76.
Mad or bad? Una riflessione comparata su imputabilità ed insanity defense a partire dalla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti Kahler v. Kansas
Alice Giannini
2024
Abstract
Saper distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato è una delle colonne portanti della capacità di intendere e di volere. Questo modello è stato messo in discussione nel sistema statunitense dalla sentenza della Corte Suprema James K. Kahler v. Kansas del 23 marzo 2020. La Corte Suprema ha sancito che nel sistema giuridico statunitense non c’è un principio di rango costituzionale che imponga una formulazione “minima” di insanity defense tale da includere la facoltà di discernimento morale. Lo stato del Kansas ha infatti adottato nel 1996 il c.d. mens rea approach, abbandonando formulazioni dell’insanity defense ben più diffuse (ad es. il M’Naghten test). Secondo tale costrutto, la presenza di una malattia mentale può assumere rilevanza solo ove escluda la sussistenza dell’elemento soggettivo, nella formulazione prevista dalla singola fattispecie di volta in volta applicabile. In quest’ottica, lo scritto si propone di analizzare le valutazioni sviluppate in tale sentenza e fornire alcuni spunti di riflessione sui punti di incontro, e non, della disciplina del folle reo in Italia e negli Stati Uniti. Si dialogherà, in un’ottica comparata, con due “titani” della scienza penalistica: l’istituto dell’insanity defense negli Stati Uniti e quello dell’(in)imputabilità in Italia. Per condurre questa indagine sarà necessario innanzitutto inquadrare, a livello dogmatico, l’istituto dell’insanity defense nel panorama statunitense, nonché dar conto del significato mutevole del termine mens rea. Sulla base di tali rilievi verranno poi sviluppate alcune osservazioni critiche in merito all’interpretazione ristretta del concetto di “colpevolezza” sviluppatosi negli Stati Uniti ed espresso nella sentenza analizzata.| File | Dimensione | Formato | |
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