Lo spazio come dono dei luoghi: La Plaza de los Fueros a Vitoria-Gasteiz, di Eduardo Chillida e Luis Peña Ganchegui

Tra il 1976 e il 1982, l’artista Eduardo Chillida e l’architetto Luis Peña Ganchegui realizzano a Vitoria-Gasteiz, nei Paesi Baschi, una piazza celebrativa dei codici legislativi della regione, i Fueros Vascos. Situata nell’ensanche della città, alla confluenza di tre importanti assi viari che la collegano anche idealmente al territorio vasto, la piazza ricompone in un mirabile disegno gli spazi necessari al ciclico ripetersi dei giochi popolari della tradizione (frontón, probaleku, bolatoki). Al suo interno, un labirinto, opera di Eduardo Chillida, traduce i confini della provincia di Álava in astratti bastioni di pietra. Sul finire degli anni Sessanta, sette lito-collages di Chillida avevano accompagnato la prima edizione del testo di Martin Heidegger Die Kunst und der Raum nel quale il filosofo tedesco si interrogava sul rapporto tra l’arte e lo spazio, definendo quest’ultimo (e con esso il vuoto) come un gioco tra «luogo» e «contrada». Ed è proprio a partire da queste categorie heideggeriane che il saggio propone una lettura critica della piazza-scultura. Between 1976 and 1982, within the city of Vitoria-Gasteiz, the artist Eduardo Chillida and the architect Luis Peña Ganchegui created a plaza celebrating the legislative codes – the Fueros Vascos – of an entire region: the Basque Country. The square, located in the city’s ensanche at the intersection of three important roadways, ideally connecting it to a broader territory, incorporates into a remarkable design the spaces necessary for the cyclical reproduction of traditional popular games ( frontón, probaleku, bolatoki). At its center, a labyrinth – an artwork by Eduardo Chillida – translates the boundaries of the Álava province into abstract stone bastions. In the late 1960s, seven litho-collages by Chillida accompanied the first edition of Martin Heidegger’s text Die Kunst und der Raum, in which the German philosopher reflected on the relationship between art and space, defining the latter (and with it the void) as a play between «place» and «region». It is precisely from these Heideggerian categories that the present essay proposes a critical outlook on the square-as-sculpture.