Tradizionalmente, le fattispecie che sul piano processuale danno luogo alla chiamata in garanzia di cui all'art. 106 cod. proc. civ., vengono distinte in due categorie la garanzia c.d. propria e la garanzia c.d. impropria. Al primo gruppo vengono ascritte le ipotesi di garanzia da trasferimento dei diritti, il cui prototipo è fissato nella garanzia per evizione e la garanzia da vincoli di coobbligazione, tipo la fideiussione; al secondo la assicurazione contro la responsabilità civile (come anche il mandato) e le vendite a catena, e più in generale i subcontratti. Si tratta di una distinzione non meramente classificatoria dal momento che per opinione costante di giurisprudenza e dottrina, tutta la disciplina processuale delle due classi di ipotesi deve essere tenuta distinta. Tra le questioni con riferimento alle quali la distinzione ha sempre avuto rilevanza, si segnala quella relativa alla possibilità di attuare il cumulo tra causa principale e causa di garanzia anche in deroga ai criteri originari di giurisdizione. In base ad orientamenti consolidati, infatti, sia l'art. 6 n. 2 della Convenzione di Bruxelles, sia l'art. 4 n. 3 del codice di procedura civile italiano sarebbero stati applicabili alle sole fattispecie di garanzia propria. Invero, l'orientamento che esclude le fattispecie di garanzia impropria dall'ambito applicativo dell'art. 6 n. 2 Conv. Bruxelles, si scontra con la giurisprudenza della Corte di giustizia europea. E sul punto, conviene ricordare che l'interpretazione dell'art. 6 della Convenzione di Bruxelles, in quanto norma di diritto comune, è retta dal principio dell'autonomia: lo scopo di favorire l'armonizzazione delle soluzioni giudiziarie giudiziario, infatti, è perseguito tramite la regola secondo cui tutte le disposizioni convenzionali devono essere lette in base a canoni ermeneutici comuni, prescindendo da assorbenti riferimenti ai vari ordinamenti interni. Ora, proprio la direttiva dell'interpretazione autonoma delle norme pattizie, impone di adottare una nozione ampia di garanzia ovvero comprensiva anche delle fattispecie che la tradizione italiana continua a definire di garanzia impropria; infatti la stessa relazione Jenard, nel richiamare l'attenzione degli interpreti circa il rilievo delle cause di garanzia, riporta l'esempio classico delle vendite a catena (una fattispecie evidentemente molto diffusa nell'ambito dei rapporti tra Paesi europei). Quanto alle norme interne, ed in particolare l'art. 4 n. 3 cod. proc. civ. (ora abrogato) che consentiva il cumulo processuale delle cause in deroga alla giurisdizione straniera solo con riferimento alle figure di connessione idonee ad attuare la deroga ai criteri di competenza interna per territorio, conviene ricordare che invero tutte le fattispecie ricondotte all'art. 106 cod. proc. civ., dunque non solo quelle di garanzia propria ma anche quelle di garanzia impropria, esibiscono la stessa forma di connessione per pregiudizialità dipendenza e come tali sono perfettamente idonee a rientrare nell'ambito applicativo dell'art. 32 cod. proc. civ. che consente di proporre la domanda di garanzia di fronte al giudice territorialmente competente con riferimento alla causa principale. La conclusione risulta ulteriormente rafforzata a seguito dell'entrata in vigore della l. 218 del 1995 di Riforma del sistema di diritto internazionale privato e processuale laddove, dopo aver definito i criteri generali su cui si radica la giurisdizione italiana, richiama espressamente, come ulteriori criteri interni, quelli enunciati nelle sezioni 2, 3 e 4 Conv. Bruxelles tra cui si rinviene l'art. 6 n. 2 dedicato alla chiamata in garanzia. Siccome la ratio sottesa al richiamo alle disposizioni della Conv. Bruxelles, è quella di rendere applicabile un unico insieme di regole a tutte le cause in materia civile e commerciale, sia che si tratti di cause relativi a convenuti domiciliati in uno degli Stati aderenti alla Conv., sia che si tratti di cause collegate con Stati estranei alla Conv. medesima, e risparmiare al giudice italiano le complesse operazioni ermeneutiche necessarie per stabilire l'ambito di efficacia dei vari sistemi di norme di conflitto (quello pattizio e quello interno), appare chiaro che il giudice italiano ogni volta che si tratta di applicare le norme pattizie, direttamente o in forza del rinvio disposto dalla l. 218 del 1995, dovrà attenersi ai canoni interpretativi convenzionali ed in particolare alle pronunce interpretative della Corte di giustizia. Solo per questa via - infatti - la disciplina di diritto processuale civile internazionale nella materia civile e commerciale potrà davvero dirsi unitaria.

Giurisdizione italiana e chiamata in garanzia: la garanzia impropria continua a mietere vittime / B. Gambineri. - In: INT'L LIS. - ISSN 1594-7955. - STAMPA. - fasc. 3-4:(2003), pp. 136-139.

Giurisdizione italiana e chiamata in garanzia: la garanzia impropria continua a mietere vittime

GAMBINERI, BEATRICE
2003

Abstract

Tradizionalmente, le fattispecie che sul piano processuale danno luogo alla chiamata in garanzia di cui all'art. 106 cod. proc. civ., vengono distinte in due categorie la garanzia c.d. propria e la garanzia c.d. impropria. Al primo gruppo vengono ascritte le ipotesi di garanzia da trasferimento dei diritti, il cui prototipo è fissato nella garanzia per evizione e la garanzia da vincoli di coobbligazione, tipo la fideiussione; al secondo la assicurazione contro la responsabilità civile (come anche il mandato) e le vendite a catena, e più in generale i subcontratti. Si tratta di una distinzione non meramente classificatoria dal momento che per opinione costante di giurisprudenza e dottrina, tutta la disciplina processuale delle due classi di ipotesi deve essere tenuta distinta. Tra le questioni con riferimento alle quali la distinzione ha sempre avuto rilevanza, si segnala quella relativa alla possibilità di attuare il cumulo tra causa principale e causa di garanzia anche in deroga ai criteri originari di giurisdizione. In base ad orientamenti consolidati, infatti, sia l'art. 6 n. 2 della Convenzione di Bruxelles, sia l'art. 4 n. 3 del codice di procedura civile italiano sarebbero stati applicabili alle sole fattispecie di garanzia propria. Invero, l'orientamento che esclude le fattispecie di garanzia impropria dall'ambito applicativo dell'art. 6 n. 2 Conv. Bruxelles, si scontra con la giurisprudenza della Corte di giustizia europea. E sul punto, conviene ricordare che l'interpretazione dell'art. 6 della Convenzione di Bruxelles, in quanto norma di diritto comune, è retta dal principio dell'autonomia: lo scopo di favorire l'armonizzazione delle soluzioni giudiziarie giudiziario, infatti, è perseguito tramite la regola secondo cui tutte le disposizioni convenzionali devono essere lette in base a canoni ermeneutici comuni, prescindendo da assorbenti riferimenti ai vari ordinamenti interni. Ora, proprio la direttiva dell'interpretazione autonoma delle norme pattizie, impone di adottare una nozione ampia di garanzia ovvero comprensiva anche delle fattispecie che la tradizione italiana continua a definire di garanzia impropria; infatti la stessa relazione Jenard, nel richiamare l'attenzione degli interpreti circa il rilievo delle cause di garanzia, riporta l'esempio classico delle vendite a catena (una fattispecie evidentemente molto diffusa nell'ambito dei rapporti tra Paesi europei). Quanto alle norme interne, ed in particolare l'art. 4 n. 3 cod. proc. civ. (ora abrogato) che consentiva il cumulo processuale delle cause in deroga alla giurisdizione straniera solo con riferimento alle figure di connessione idonee ad attuare la deroga ai criteri di competenza interna per territorio, conviene ricordare che invero tutte le fattispecie ricondotte all'art. 106 cod. proc. civ., dunque non solo quelle di garanzia propria ma anche quelle di garanzia impropria, esibiscono la stessa forma di connessione per pregiudizialità dipendenza e come tali sono perfettamente idonee a rientrare nell'ambito applicativo dell'art. 32 cod. proc. civ. che consente di proporre la domanda di garanzia di fronte al giudice territorialmente competente con riferimento alla causa principale. La conclusione risulta ulteriormente rafforzata a seguito dell'entrata in vigore della l. 218 del 1995 di Riforma del sistema di diritto internazionale privato e processuale laddove, dopo aver definito i criteri generali su cui si radica la giurisdizione italiana, richiama espressamente, come ulteriori criteri interni, quelli enunciati nelle sezioni 2, 3 e 4 Conv. Bruxelles tra cui si rinviene l'art. 6 n. 2 dedicato alla chiamata in garanzia. Siccome la ratio sottesa al richiamo alle disposizioni della Conv. Bruxelles, è quella di rendere applicabile un unico insieme di regole a tutte le cause in materia civile e commerciale, sia che si tratti di cause relativi a convenuti domiciliati in uno degli Stati aderenti alla Conv., sia che si tratti di cause collegate con Stati estranei alla Conv. medesima, e risparmiare al giudice italiano le complesse operazioni ermeneutiche necessarie per stabilire l'ambito di efficacia dei vari sistemi di norme di conflitto (quello pattizio e quello interno), appare chiaro che il giudice italiano ogni volta che si tratta di applicare le norme pattizie, direttamente o in forza del rinvio disposto dalla l. 218 del 1995, dovrà attenersi ai canoni interpretativi convenzionali ed in particolare alle pronunce interpretative della Corte di giustizia. Solo per questa via - infatti - la disciplina di diritto processuale civile internazionale nella materia civile e commerciale potrà davvero dirsi unitaria.
2003
fasc. 3-4
136
139
B. Gambineri
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