Le spese della Sede apostolica, crescenti nel corso del XVI secolo, potevano essere coperte o mediante un inasprimento fiscale, o attraverso un allargamento della base dei contribuenti, o facendo ricorso ai prestiti: tutte queste vie furono perseguite. Già a fine Quattrocento l’appalto di varie entrate (nonché delle Tesorerie) nelle mani dei privati era diventata prassi consolidata: i mercatores anticipavano (prestavano) cifre consistenti, avendo come garanzia la riscossione delle entrate derivanti dall’imposta o dall’ufficio che appaltavano. Il rapporto con i privati, d’altronde, oltre che la possibilità di ricevere entrate certe e immediate, permetteva alla Camera apostolica di razionalizzare il prelievo fiscale delle comunità locali. Per i mercanti-banchieri, i profitti che derivavano dagli appalti erano notevoli, così come quelli provenienti dall’intermediazione nella vendita dei cavalierati e dei luoghi dei vari Monti. Per quanto riguarda le gare di appalto, se è vero che vi erano delle aste pubbliche, l’impressione è che in molti casi vi potessero essere anche accordi precedenti, con consorzi di banchieri che presentavano un’offerta. Infatti, spesso, dietro ai due o tre appaltatori che ufficialmente stipulavano il contratto, vi era un numero molto più elevato di operatori che da loro acquisivano quote anche rilevanti. Tra l’altro pubbliche lamentele e reiterati tentativi di disciplinarne il funzionamento corroborano tale ipotesi.
Banchieri appaltatori e aumento della pressione fiscale nello Stato pontificio tra Quattro e Cinquecento / F. Guidi Bruscoli. - STAMPA. - La fiscalità nell’economia europea. Secoli XIII-XVIII, a cura di S. Cavaciocchi, Fondazione Istituto Internazionale di Storia Economica "F. Datini":(2008), pp. 863-870. (Intervento presentato al convegno XXXIX Settimana di Studi dell’Istituto Internazionale di Storia Economica “F. Datini” tenutosi a Prato nel 22-26 Aprile 2007).
Banchieri appaltatori e aumento della pressione fiscale nello Stato pontificio tra Quattro e Cinquecento
GUIDI BRUSCOLI, FRANCESCO
2008
Abstract
Le spese della Sede apostolica, crescenti nel corso del XVI secolo, potevano essere coperte o mediante un inasprimento fiscale, o attraverso un allargamento della base dei contribuenti, o facendo ricorso ai prestiti: tutte queste vie furono perseguite. Già a fine Quattrocento l’appalto di varie entrate (nonché delle Tesorerie) nelle mani dei privati era diventata prassi consolidata: i mercatores anticipavano (prestavano) cifre consistenti, avendo come garanzia la riscossione delle entrate derivanti dall’imposta o dall’ufficio che appaltavano. Il rapporto con i privati, d’altronde, oltre che la possibilità di ricevere entrate certe e immediate, permetteva alla Camera apostolica di razionalizzare il prelievo fiscale delle comunità locali. Per i mercanti-banchieri, i profitti che derivavano dagli appalti erano notevoli, così come quelli provenienti dall’intermediazione nella vendita dei cavalierati e dei luoghi dei vari Monti. Per quanto riguarda le gare di appalto, se è vero che vi erano delle aste pubbliche, l’impressione è che in molti casi vi potessero essere anche accordi precedenti, con consorzi di banchieri che presentavano un’offerta. Infatti, spesso, dietro ai due o tre appaltatori che ufficialmente stipulavano il contratto, vi era un numero molto più elevato di operatori che da loro acquisivano quote anche rilevanti. Tra l’altro pubbliche lamentele e reiterati tentativi di disciplinarne il funzionamento corroborano tale ipotesi.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.